Nudo di donna EGON SCHIELE















venerdì 28 maggio 2010

ADRIANO PERSIANI FREAK



Freak è una persona dall’aspetto o dal comportamento inusuale, a metà tra un ibrido mostruoso e una figura simpaticamente stravagante. Il termine vuole indicare una persona affetta da gravi deformità fisiche. Ma Freaks è anche il film del regista statunitense Tod Browning (1882-1962)del 1932, in cui recitarono esseri deformi, in una sceneggiatura dura quanto originale che sollevò non poche perplessità. In Adriano Persiani, giovane artista bolognese, freak è tutto ciò che trasgredisce l’ordine naturale delle cose, e la reale percezione degli spazi. I suoi oggetti creano associazioni estetiche e dissociazioni formali, esprimono un nuovo modo di interpretare il readymade di Duchamp. La forma è semplificata, libera da qualsiasi volontà di rappresentazione e di decorativismo, mentre la logica lascia il posto alla fantasia, alla irregolarità, alla dissonanza e al ribaltamento formale e semantico degli oggetti. La barella rivestita con i paramenti sacri sacerdotali rappresenta un viaggio che si spera possa continuare verso la vita, ma che si pensa possa essere anche un ultimo viaggio su questa terra. Un’estetica raffinata da bohemien, la ricercatezza di una forma semplice, divertente e leziosa che non rinuncia al bello e che unisce l’antico alla contemporaneità: gli oggetti acquistano nuovi significati e gli spazi si vestono di apparenti contenuti narrativi. Tecniche miste realizzate con porzioni di statue lignee o con l’accostamento tra un prezioso vaso di XVIII secolo ed uno strano germoglio sintetico rivestito con la stoffa a fasce bicolori di un abito da lavoro. Un modo di intervenire sulla realtà operando strane tipologie di innesti, per un effetto di straniamento “otticamente interessante”.



Antonella Colaninno

venerdì 14 maggio 2010

JANNIS KOUNELLIS



di Antonella Colaninno

L’artista Jannis Kounellis opera negli spazi pubblici delle città per reinterpretare i luoghi nell’ottica di una fruizione collettività che esalta il valore pubblico dell’arte. La creatività interviene sulla realtà in nome di un’arte aperta che continua ad essere un’opera in progress, non finita o chiusa nei limiti di un decorativismo fine a se stesso.
“Sono stato attratto dalla Madonna di Tiziano per la sua sacralità, per la sua “liberazione” come l’inizio di un viaggio attraverso la realtà attuale, partendo proprio dal Rinascimento dove ha inizio la modernità. La Madonna di Tiziano è portatrice di molti “no”; è nei “no” la rivoluzione di una “diversità sognata”. Non si può pensare al liberalismo senza Tiziano e la sua Madonna, carnosa e liberatoria, autorevole diversità di vedere e di proporre la propria condizione storica ma anche emotiva ed erotica”. “La modernità è indossare questo passato”.
Così racconta Jannis Kounellis la sua rivoluzione estetica, distante dall’iconografia tradizionale, ma che cerca di rappresentare, allo stesso modo, l’idea della folgorazione e di un universo nel quale convivono i principi della dialettica degli opposti. Il suo mondo ha una dimensione teatrale e rappresenta il lungo viaggio nel quale “si porta altrove la propria identità” per combinare unioni e realizzare confronti. In questo descrive Kounellis il suo viaggio verso la modernità. “Fontana non era un modernista. I suoi tagli sono delle ferite sulla pelle. E’ Caravaggio che mette il dito di San Tommaso nella ferita del costato di Gesù. Queste ferite ci portano nel dramma di una figurazione, esprimono la volontà di ricongiungersi con una realtà”. E ancora: “Roma città aperta”o Pasolini sono come la Madonna di Tiziano”.

PUBBLICATO DA ANTONELLA COLANINNO

FORTUNATO DEPERO E LA GALLERIA CAMPARI




DI ANTONELLA COLANINNO

E' stata inaugurata a Sesto San Giovanni la Galleria Campari, un museo disegnato da Mario Botta che ospita opere di Fortunato Depero, Ugo Nespolo e Bruno Munari. Con l'apertura dello spazio espositivo è stata allestita una mostra dedicata a Fortunato Depero (1892-1960) per celebrare i 150 anni di storia-Campari; un sodalizio tra arte e impresa di cui Depero è stato l’ideatore, lavorando con la storica azienda dal 1926 al 1936. Nel 1932 Depero realizzò la storica bottiglia del Campari soda, mentre nel 1926 dedicò a Campari la tela intitolata Squisito al selz che fu esposta in occasione della Biennale di Venezia. “Un solo industriale è più utile all’arte moderna e alla nazione che 100 critici d’arte o 1000 inutili passatisti”, dichiarava Depero proprio in quegli anni.
L'artista iniziò a realizzare i suoi primi lavori a soli quindici anni, quando frequentava la Scuola reale elisabettiana di Rovereto, un istituto simile ad una scuola di arti applicate. La sua pittura infatti, esprime la severità e l’ordine della cultura mitteleuropea e il gusto per la citazione tipico della tradizione artistica e letteraria italiana. Depero è, inoltre, attento allo studio dei volumi, sciolti, ormai,dagli incastri tipici del cubismo e accostati tra loro in libere relazioni  di rapporti cromatici, nei quali il colore crea un plasticismo pittorico attraverso le larghe campiture a tinte piatte. Nel marzo del 1915, insieme a Balla, Depero lancia il Manifesto “Ricostruzione futurista dell’universo”, definendosi un astrattista futurista e aprendosi, così, ad una nuova fase del futurismo che supera quella di Balla e di Boccioni. 
Verso la fine del primo decennio del Novecento, Depero fu il promotore, insieme allo scrittore e poeta svizzero Gilbert Clavel, del teatro plastico, e realizzò, in questo ambito, le coreografie per i balli plastici, un'esperienza importante che influenzerà la sua produzione artistica a partire dagli anni Venti del secolo scorso. Le opere di questo periodo rivelano una maggiore scomposizione dei volumi e delle figure che diventano delle pure stilizzazioni meccaniche, come si può notare nei lavori intitolati Prismi lunari (1932), Alto paesaggio d’acciaio (Alba e tramonto sulle Alpi) (1927). Si tratta di opere spesso monocromatiche nelle quali si creano vere architetture di luce.
Dopo la personale a Roma nel 1919, presso la Galleria Bragaglia, e dopo la partecipazione all’Esposizione Nazionale Futurista alla Galleria Moretti di Milano, Depero ritornò, sempre nello stesso anno, a Rovereto, dove fondò la Casa d’arte futurista. In realtà, le case d'arte futurista si diffusero un po’in tutta Italia, a partire dal 1918, con l’obiettivo di creare un design futurista nell'ambito delle arti applicate, con particolare attenzione per gli arazzi, che Depero definiva quadri di stoffa. Il suo interesse per il design, e per l’applicazione dell’arte al prodotto industriale, lo porterà a lavorare per imprese quali Verzocchi, San Pellegrino, e Bianchi. Ma sarà il sodalizio con Campari che segnerà una svolta decisiva nel rapporto tra arte e tecnica, tra creatività e industria, e troverà nel linguaggio pubblicitario una forma immediata e consumistica di fare arte. Nel 1928 Depero si trasferì a New York dove illustrerà copertine e lavorerà nel settore della pubblicità. Scriverà:"Il giorno avanza sensibilmente. Dalla fitta nebbia si vedono spuntare come magiche apparizioni, in alto strette pareti regolarmente foracchiate, come pezzi di gigantesco scatolame turrito. Sono i grattacieli che si vedono vagamente lontani”. E’ qui che il suo sogno futurista farà i conti con la realtà e con una società in crisi d'identità, che paga la corsa al progresso con la frenesia di una vita spesso priva di slanci, sempre in corsa con il tempo. Il suo rientro in Italia coincise con il recupero della tradizione e dei valori, che si riflette in una pittura più malinconica e dimessa nei toni. Nel 1959 sarà inaugurata a Rovereto la Galleria Museo Fortunato Depero. Fortunato Depero morirà il 29 ottobre 1960. Oggi la Casa d’Arte futurista Depero è una delle sedi del Mart, unico museo in Italia dedicato ad un esponente del futurismo.

Pubblicato da Antonella Colaninno

mercoledì 12 maggio 2010

TUTTI A TAVOLA!



EVERYONE TO THE TABLE!
DEI CINQUE SENSI E DELLA CONVIVIALITA’

ARTE, CINEMA, DESIGN, PROFUMI, TEATRO.

a cura di Franco Laera

14 aprile-9 maggio 2010
Galleria d’Arte Moderna Pinacoteca di Brera





Inizia nei sotterranei del palazzo settecentesco di Villa Reale o Villa Belgioioso dimora del Conte Barbiano e poi di Napolene, il percorso Tutti a tavola, nelle sale che all’origine erano adibite alle cucine e alle dispense. Alla morte del conte Ludovico Belgioioso, la villa venne comprata dal governo italiano. Divenne prima residenza di Napoleone, poi proprietà dei Vicerè austriaci, poi dello Stato italiano e dal 1919 del Comune di Milano.
I sotterranei si riappropriano della funzionalità dei propri spazi, anche se solo nella finzione scenica. Le cucine come luogo “di convivialità” e di preparazione del cibo. Il cibo come rituale di quotidianità, espressione culturale di un’arte sopraffina. Il pranzo come momento di festa, di incontro, di sana socialità. Un percorso di suggestioni attraverso i sontuosi banchetti rinascimentali, accompagnato dalle proiezioni di famose scene cinematografiche come il Satyricon di Federico Fellini e dalle performance teatrali (Ermanno Olmi, Peter Greenaway, Robert Wilson, Vanessa Beecroft). Il teatro nel teatro. Affascinanti coreografie di calchi in gesso sullo sfondo di suggestive impalcature scenografiche raccontano il raffinato percorso tra presenze umane e i sapori dei cibi. La trasparenza dei tendaggi lasciano intravedere queste misteriose sagome bianche di statue e frutti tra sonorità ed apparizioni sceniche tratte dal teatro burlesco di Dario Fò che ripropongono il gusto del banchetto in un percorso surreale fuori dal tempo inebriato dal profumo di miscele di miele e petali di rose. La convivialità è un esperienza dei sensi, è un momento di condivisione che coinvolge e unisce in relazione. I dipinti fanno da cornice a questo percorso del gusto: tra Brera e Villa Reale: la Madonna con Bambino di Garofalo, e la Madonna del Latte di Luca Signorelli (sala XVIII) accompagnano la storia del cibo dalla maternità all’allattamento, prime esperienze di nutrimento dell’infanzia, per proseguire poi, attraverso i sontuosi banchetti rinascimentali, le raffinate pietanze delle corti papali, sino all’opulenza dei ricevimenti ufficiali e delle colazioni di lavoro. La cucina di Everisto Baschenis, Natura morta con tavolo rotondo di Giorgio Morandi (XXXI) e Cena in casa di Simone di Paolo Veronese (sala IX). E ancora Le due madri di Giovanni Segantini (sala XVIII). Il rito del convivio ha una dimensione sacra nella sua quotidianità. Il pranzo nella tradizione italiana diventa un momento di comunione che ha radici lontane in epoca romana e cristiana. Un invito alla gioia e all’incontro conviviale in una società che ha perso forse, il piacere del buon cibo e la sana cultura del mangiar bene.


Antonella Colaninno


Mentre a Rho va in scena Eurocucina, i Saloni si aprono alla città di Milano con un evento multimediale a essa dedicato: “Tutti a tavola!”, a cura di Franco Laera. Le sale della Villa Reale diventano il palcoscenico per celebrare quel particolare momento che lega la cucina alla tavola, la preparazione del cibo alla sua degustazione e i sensi e i sentimenti che li accompagnano. Un viaggio attraverso le espressioni più significative del mangiare come atto di bellezza e di creatività, rievocato nella dimensione privata e in quella pubblica e fastosa. “Tutti a tavola!” è un originale percorso nella suntuosa dimora nobiliare, che inizia nei sotterranei, eccezionalmente accessibili al pubblico, in origine adibiti alle dispense e alle cucine, e prosegue attraverso gli altri piani della Villa alla ricerca dell’unicità dello spirito italiano dello stare a tavola, dei sentimenti e dei valori che si muovono intorno a questo rito. Salendo verso i piani nobili della Villa il pubblico ne attraversa le differenti sale in cui tutte le arti - teatro e cinema, pittura e video, musica e design, letteratura e architettura - testimoniano le numerose forme della convivialità nella cultura italiana: il pranzo della festa, il banchetto delle grandi occasioni, il pasto solidale, la cena tra amici, il caffè, il mondo delle sagre popolari e perfino la colazione di lavoro.


AT CASA Corriere della Sera