Nudo di donna EGON SCHIELE















mercoledì 30 maggio 2012

BASTA ESISTERE LEONARDO RICCI: IL PENSIERO E I PROGETTI PER LE COMUNITA’

Leonardo Ricci
Casa di famiglia a Monterinaldi
Monterinaldi
Villaggio Monte degli Ulivi - Riesi




Leonardo Ricci è un architetto italiano quasi dimenticato che sosteneva che la tecnologia è solo uno strumento per giungere all’uomo e all’architettura. La progettazione era per lui un impegno comunitario anonimo nel quale l’etica prevale sull’estetica della bella forma.
Con il saggio Basta esistere. Leonardo Ricci: il pensiero e i progetti per le comunità, Maria Clara Ghia vince la quinta edizione del Premio Bruno Zevi per un saggio storico critico. La premiazione a cui è seguita una conferenza con proiezione del documentario Leonardo Ricci. Monterinaldi, Balmain, Borgese. (Italia, 2011) a cui ho avuto modo di partecipare su invito, si è svolta presso l’Aula Magna “Bruno Zevi”della facoltà di Architettura della Sapienza di Roma.
Una filosofia dell’abitare ma soprattutto del vivere, quella di Ricci, che lascia spazio a riflessioni più o meno concordanti.
L’architettura trova la sua dimensione umana come primaria necessità di un equilibrio con la vita, lontana da qualsiasi logica di affermazione dell’idea progettuale. Architetture che non lasciano posto a forme rigide e che si snodano dai propri spazi per unirsi alla natura in nuove porzioni di spazio libere. L’architettura è lo strumento che realizza le aspirazioni dell’umanità e non la propria vanità che si esprime in quello che lui chiama “linguaggio inumano”. In Ricci la capacità immaginativa si fa visionaria, si realizza nella realtà ma la trascende aprendosi al sacro e ad una profondità che fa parte dell’essere umano. Una filosofia oggi quanto mai attuale e calzante, per una società provata e disillusa da una post modernità che ha fatto della tecnica l’obiettivo principe, nella propria incapacità di produrre pensiero.
L’architettura diventa lo spazio dell’esistenza e di quelle aspirazioni che non trovano riscontro nella società. Egli stesso affermava che la sua architettura nasceva dall’infelicità e dalla tristezza di vivere in un mondo che non gli piaceva. Ricci è sicuramente anticonvenzionale nel negare l’attribuzione di un’idea al valore della persona e questo rappresenta un vuoto esistenziale che lo porta a considerare la collettività come l’unico porto sicuro. La sua è una ricerca scientifica che analizza e critica un sistema. “Ho sempre creduto (…) che l’architettura è stata, sarebbe, potrebbe essere uno dei veicoli più efficaci per la felicità dell’uomo.” Nel suo “Anonimo del XX secolo”, Ricci affronta il tema del mito e della dipendenza dallo stesso nella ricerca libera e incondizionata di un equilibrio che porti idealmente ad un congiungimento tra passato e presente. Eppure, scrive la Ghia, “in quest’abbandono dei miti, che rispecchia il tentativo di anonimato come fuga dal mito di sé, si rischia lo scacco di ciò che Ricci chiama l’assurdo.” Egli affida all’architettura il ruolo di fattore primario nella ricerca di un possibile equilibrio dei sensi. L’importante è esistere, è “creare cose vive con cose vive”, "creare spazi che esistono, che dividono, che danno senso al nostro vivere, che ci rappresentano. Gli spazi non predeterminano le nostre azioni del mangiare, dormire, etc…, ma rendono (…) desiderabili gli atti degli uomini”. Ricci afferma che prendere possesso del terreno è “qualcosa di analogo al possesso di una donna attraverso un atto di amore (…). L’amore è trascendenza (…) l’amore consente la rottura dell’identità.”
Soltanto attraverso l’anonimato e la libertà formale l’uomo può ritornare alla terra e alla comunione con gli altri uomini e l’architettura in tutto questo rappresenta lo sviluppo naturale dell’esistenza. Ricci è un architetto, un insegnante ma fondamentalmente è un esistenzialista e resta affascinato da Sartre durante un soggiorno parigino e dalla sua idea che attraverso le cose altre da noi ci accorgiamo di esistere.
Ricci sostiene che il limite dell’architettura è quello di non riuscire a rappresentare il divenire dell’uomo. E’convinto che l’etica domini sull’estetica ma che le due siano legate insieme nella continua ricerca di un equilibrio perché la forma si rinnova cercando dentro di sé possibili variazioni nella “ricerca non della bellezza ma della verità.”
Scrive la Ghia a proposito di Monterinaldi:” Eppure, salendo a Monterinaldi, si ha la sensazione che quelle forme siano lì da sempre, concepite non dall’uomo ma dalla stessa natura del luogo: sembra di tornare ad un modo autentico di abitare la terra (…)” ed in questo è il desiderio di Ricci di voler essere anonimo.

Scritto da Antonella Colaninno

Maria Clara Ghia è architetto, dottore di ricerca in Architettura e in Filosofia. Specializzata in Storia dell’Architettura contemporanea, esperta di architettura italiana del Novecento, insegna Storia dell’architettura contemporanea, Teorie dell’architettura ed Estetica alla Sapienza di Roma. Collabora con riviste di architetture e lavora presso il DIAP, Dipartimento di Architettura e Progetto della Sapienza.

sabato 12 maggio 2012

I CIECHI DI BRUEGEL IL VECCHIO AL MUSEO NAZIONALE DI CAPODIMONTE




Presso il Museo napoletano di Capodimonte è possibile ammirare la tela I Ciechi di Pieter Bruegel (1525-30, 1569) il pittore fiammingo che tra il 1551 ed il 1555 viaggiò in Italia e si fermò a Napoli lasciandone testimonianza nel dipinto la Veduta di Napoli, oggi conservato nella collezione di Villa Doria Pamphili a Roma. La tela di Capodimonte, datata 1568, presenta un soggetto caro all’autore e ad altri pittori come Bosch e Van de Heyden ed è sicuramente collegata alle tristi vicende che interessarono la regione europea sulla scia di quella riforma calvinista che vide divisi cattolici e protestanti. Nel 1568, anno in cui fu dipinto il quadro, iniziarono gli scontri tra Spagna e Paesi Bassi in un clima teso caratterizzato da sentimenti di inquietudine e di incertezza tradotti nella lettura simbolica del quadro. Una fila di ciechi vaga nelle campagne olandesi poggiandosi con la mano l’uno all’altro nell’incertezza di una meta sicura e nella consapevolezza di finire nel vuoto. Uno stato di ansia, un sentimento di paura misto alla speranza. Equilibri instabili e fragilità, senso di vuoto e di angoscia di un vagare incerto su una terra rossa di fuoco e di sangue. In tempi recenti il dipinto si trovava nel Museo Nazionale ma, durante gli anni del secondo conflitto mondiale, venne trasferito nell’Abbazia di Montecassino. Fu grazie al trafugamento delle truppe tedesche che il dipinto si salvò dall’incendio doloso che interessò l’abbazia e grazie al ritrovamento degli alleati fu poi restituito agli italiani.
Il dipinto misura 86 X 1.54 cm ed è stato realizzato a tempera magra su lino. Per la sua fragilità è impedito il suo trasferimento per mostre ed esposizioni temporanee.

Scritto da Antonella Colaninno

DA STRAZIANTE URLO DELL’ETA’ MODERNA A RECORD MONDIALE L’URLO DI MUNCH ALL’ASTA DA SOTHEBY’S A NEW YORK





In un recente articolo del Corriere si apre la gara per il record del secolo. L’oggetto conteso è il celeberrimo Urlo di Edvard Munch, battuto all’asta nella sede newyorchese di Sotheby’s per 120 milioni. Il quadro, un olio e pastello su cartone datato 1893, detiene il nuovo record mondiale sottratto a “Nudo, foglie verdi e busto” di Pablo Picasso acquistato un anno fa in un’asta di Christie’s per 106 milioni. Due i compratori finali in gara per l’opera simbolo dell’angoscia esistenziale dell’età moderna, che hanno preferito mantenere l’anonimato e farsi rappresentare da Stephan Connery e Charles Moffet della stessa casa d’asta newyorchese. Ignoto il nome del generoso e fortunato compratore. Nella lista dei prodighi miliardari la famiglia reale del Qatar (nota per l’acquisto de “I giocatori di carte”di Cezanne, “acquistato privatamente”alla fatidica somma di 250 milioni di euro), il magnate russo Roman Abramovich e l’americano Paul Allen (cofondatore di Microsoft). A quanto riporta l’articolo del Corriere, Valentina Castellani direttrice del Gagosian, prestigiosa galleria d'arte americana, sostiene che “Sotheby’s si terrà ben stretto il segreto” e che tanti possono essere i possibili acquirenti senza escludere i nuovi miliardari cinesi. Non convince l’ipotesi di due importanti musei del Texas e della California tra i possibili acquirenti perché non si giustificherebbe la segretezza dell’acquisto.
Certo la presenza dell’opera di Munch in un museo sarebbe stata sicuramente la collocazione migliore e chissà che il nuovo compratore non decida di destinarlo alle sale di un prestigioso istituto museale o di esporlo pubblicamente tra i dipinti della propria collezione privata.

Scritto da Antonella Colaninno