Nudo di donna EGON SCHIELE















mercoledì 27 gennaio 2010

CARAVAGGIO BACON - Galleria Borghese, Roma


2 Ottobre 2009 * 24 gennaio 2010

Alla Galleria Borghese chiude i battenti la mostra Caravaggio Bacon, conclusasi lo scorso 24 gennaio. A cura di Anna Coleva, direttrice della Galleria Borghese e di Micheal Peppiatt, storico dell’arte di fama mondiale intimo amico e massimo conoscitore di Bacon, la mostra è il quarto appuntamento di una serie di dieci grandi eventi allestiti presso la Galleria, dopo Raffaello nel 2006, Canova nel 2007 e Correggio nel 2008, con la quale si è voluto festeggiare il centenario della nascita di Bacon e il quarto centenario della morte di Caravaggio. La mostra unisce per la prima volta due grandi artisti così controversi e lontani nel tempo, due esperienze estetiche diverse che vivono nella contemporaneità di una straordinaria esperienza visiva. Caravaggio (Bergamo, 1571-Porto Ercole, Paludi Pontine, 1610), artista violento nella vita e rivoluzionario nell' arte, si pone difronte al vero con un linguaggio “senza retorica”, attento solo al racconto della realtà umana. Il suo naturalismo è una appassionata ricerca del vero tra sacro e profano, attraverso lo studio di una luminosità inquieta che scopre le ansie più profonde della natura umana. Bacon (Dublino, 1909-Madris, 1992), con le sue visioni analitiche di un racconto sintetico procede per inquadrature geometriche. Lo spazio in cui si svolgono queste solitarie introspezioni, nella violenza e nella inquietudine del colore, è quello astratto ed esistenziale di una composizione inquadrata in spazi chiusi. Bacon è considerato un indipendente tra gli artisti contemporanei. Dopo una iniziale adesione al Surrealismo, le sue opere furono rifiutate all’esposizione internazionale del movimento che si tenne a Parigi nel 1936, perché ritenute poco aderenti ai canoni della pittura surrealista. Stile irriverente e personalissimo, Francis Bacon fu affascinato dai grandi maestri dell’arte del passato e fu ossessionato(come non capirlo!) dal ritratto di papa Innocenzo X di Diego Velazquez, di cui ha realizzato una versione originale quanto inquietante, attraverso una lettura critica e anticonformista rispetto al modello originale, carica di una simbologia dell’orrore suscitata dalle devastazioni della guerra. Il suo urlo rappresenta il dolore universale di una umanità sofferente segnata dal disagio e dalla paura, paralizzata nella consapevolezza della tragedia del presente e della incertezza del futuro.
                                                                 
ANTONELLA COLANINNO

martedì 19 gennaio 2010




MAXI-VISIBILITA’ PER LA CAMPAGNA SHOCK DEI BENI CULTURALI: 200MQ IN PIAZZA DUOMO A MILANO E IN PIAZZA DEL POPOLO A ROMA GRAZIE ALLA COLLABORAZIONE TRA PUBBLICO E PRIVATO.

Il sito del MIBAC pubblica in data 18 gennaio 2010 un interessante comunicato sulla campagna pubblicitaria a sostegno dei beni culturali e della loro valorizzazione. Maxi-visibilità per la campagna shock dei Beni Culturali: 200mq in Piazza Duomo a Milano e in Piazza del Popolo a Roma grazie alla collaborazione tra pubblico e privato. Questo il titolo del comunicato che promuove un importante sodalizio tra pubblico e privato che ha visto la partecipazione attiva nella gestione di spazi pubblicitari di una società leader nel settore delle maxi affissioni. L’iniziativa è un importante veicolo di comunicazione a sostegno del valore sociale del suo messaggio. Una strategia di marketing che unisce l’iniziativa privata, valorizzando l’immagine dell’azienda, a sostegno della cultura e del suo ruolo pubblico. Una campagna di valorizzazione orientata verso nuovi progetti di comunicazione attraverso la collaborazione con importanti società private. In piazza del Popolo a Roma e in Piazza Duomo a Milano sono stati affissi due maxi manifesti di oltre duecento metri quadrati con le immagini del Colosseo in fase di smontaggio e del Cenacolo di Leonardo che viene portato da alcuni operai in una strada newyorkese. La provocazione dell’immagine diventa lo strumento di una campagna di sensibilizzazione sostenuta dallo slogan “SE NON LO VISITI LO PORTIAMO VIA”.

Antonella Colaninno

lunedì 18 gennaio 2010



SARA’ VILLA TORLONIA IL NUOVO MUSEO DELLA SHOAH A ROMA.


Villa Torlonia sarà la sede del nuovo museo della Shoah di Roma La prestigiosa villa ospiterà il nuovo polo museale su delibera del consiglio di amministrazione della fondazione museale, secondo quanto già progettato nel 2006 dall’amministrazione Veltroni. Alla riunione in Campidoglio hanno partecipato alcuni rappresentanti della Comunità ebraica romana, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il presidente della provincia di Roma Nicola Zingaretti, il vicepresidente della Regione Lazio Esterino Montino ed il presidente della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici che ha sottolineato l'importanza del valore storico artistico dell’edificio, già residenza di Benito Mussolini. L’area del complesso di Villa Torlonia comprende una delle cinque necropoli ebraiche risalenti al III - IV secolo, tra le più antiche in Europa. I lavori inizieranno nei prossimi mesi per un costo complessivo compreso tra i 15 e i 16 milioni di euro e interesseranno una superficie estesa su cinque livelli di cui tre interrati. Il museo sarà un luogo di studio e di ricerca per studiosi ed appassionati ed offrirà la possibilità di visionare documenti storici originali e filmati d'epoca.
Antonella Colaninno

VILLA TORLONIA

Nel 1806 il banchiere Giovanni Torlonia affidò il progetto della nuova costruzione all’architetto Giuseppe Valadier, dopo aver acquistato la tenuta dalla famiglia Colonna. Dal XVII al XVIII secolo, la villa fu di proprietà della famiglia Pamphilj che la utilizzò come tenuta agricola fino al 1760. Valadier costruì il nuovo Palazzo e il Casino dei Principi trasformando i preesistenti edificio padronale e Casino Abbati, edificando anche le Scuderie ed un ingresso oggi demolito. Nel 1832 Alessandro Torlonia affidò a Giovan Battista Caretti la costruzione del Tempio di Saturno, dei Falsi Ruderi, della Tribuna con Fontana e di altri edifici oggi non più esistenti. Giuseppe Iappelli e Quintiliano Raimondi collaborarono alla progettazione della villa. Solo nel 1919 fu scoperta l’esistenza del cimitero ebraico nei sotterranei. Dopo un periodo di disuso, l’edificio fu residenza di Benito Mussolini e, solo nel 1978, dopo un lungo periodo di abbandono, la villa è stata acquistata dal Comune di Roma che l’ha trasformata in parco pubblico.

giovedì 14 gennaio 2010




LA POETICA DEL VINILE testo critico all'arte di Sigis Vinylism di Antonella Colaninno


Sigis Vinylism è uno tra gli artisti più interessanti del panorama artistico contemporaneo. Un’arte sperimentale la sua, che coglie l’entusiasmo dei collezionisti e degli estimatori. Dal 2008 espone alla Galleria GAM di Montecarlo, galleria tra le più prestigiose al mondo, accanto ad alcuni nomi storici della storia dell’arte, come Chagall, Mirò, Andy Warhol, Fontana, Koons e Magritte. Artista autodidatta, nato come dj o meglio come Sound Designer, Sigis ha coltivato da sempre la sua passione per la musica e per il vinile, sino a trasformarlo in opera d’arte. La sua passione lo ha portato a piegare questi oggetti cult della cultura musicale di un’epoca che hanno rappresentato lo status symbol di intere generazioni. La sua arte è nata come gesto di protesta verso la fine di un periodo, quasi un voler fermare il tempo, il suo e di altre generazioni che si sono identificate culturalmente nel vinile. Un tentativo di bloccare un ricambio generazionale inevitabile che ha introdotto l’uso degli MP3. L’arte di Sigis è rivoluzione; l’artista stesso si ricrea attraverso le sue opere. La forma si ricrea in una bellezza seducente. Usa il vinile come materia pura, duttile e plasmabile, operando sulla forma senza apporre tagli o fratture. Da queste creazioni nascono forme suadenti, labbra socchiuse che svelano inquietudini; parole silenziose che non urlano ma sussurrano e seducono con la forza del silenzio. Labbra, rose e foglie sono elementi di un moderno romanticismo che svela emozioni nascoste. Un percorso creativo che nasce da un’idea e da una protesta di natura sociale e culturale che si veste di un sentimentalismo bohemien raffinato ed anticonformista. Le labbra sono lo strumento della parola che danno una nuova vita e un nuovo suono al vinile; esse rappresentano la volontà dell’artista di dare ancora musica a questi oggetti e lo fa con grande poesia. La rosa rappresenta invece, la magia dell’amore ed è dedicata ai suoi genitori, rappresenta la loro storia d’amore iniziata appunto, con una rosa. “Vorrei che queste creazioni diventassero strumento d’amore nel quale infondere e trasmettere le emozioni, la passione, l’infinito sentimento di chi le dona e di chi le riceverà.”(SIGIS VINYLISM).

ANTONELLA COLANINNO

martedì 12 gennaio 2010

GIOVANNI BOLDINI E LA BELLE EPOQUE


“La modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente,
la metà dell’arte, di cui l’altra metà è l’eterno e l’immutabile (..) perché ogni modernità acquisti il diritto di diventare antichità, occorre che ne sia stata tratta fuori la bellezza misteriosa che vi immette, inconsapevole, la vita umana”
(C. Baudelaire, Le peintre dela vie moderne, Paris 1863)



di Antonella Colaninno

Sul finire del XIX secolo Parigi è stata capitale della cultura, città ricca di fermenti e sede delle Esposizioni Universali. La Ville Lumiere diventava, in quegli anni, il mito dell’eleganza e della bella vita e la Belle Epoque esprimeva il benessere dei ceti medi, come modello di una società borghese liberale e laica. Parigi si presentava, nel mondo, come un esempio di società di successo, come laboratorio per un confronto culturale e, per i pittori, era la vetrina ideale per costruirsi fama e successo. Ma c’era anche un’altra Parigi che viveva all’ombra dell’euforia travolgente della Belle Epoque. Miseria, prostituzione e corruzione rappresentavano l’altra faccia della città, erano i profondi contrasti di una città stordita e ubriacata dall’eccitazione delle Folies Bergère e del Moulin Rouge, inconsapevole, ancora, dei drammi che avrebbe costruito sulla propria storia. Quelle contraddizioni profonde che ritroviamo nella produzione artistica delle illustrazioni satiriche, e nelle pagine della letteratura francese di Zola, Balzac e Maupassant, velate dalla sottile denuncia sociale. Gli artisti italiani furono affascinati dalla vivacità culturale della capitale francese, considerata città del lusso e quindi dei facili guadagni. Fu per questo che Giovanni Boldini, pittore ferrarese, giunse a Parigi nel 1867 lasciandosi alle spalle l’esperienza fiorentina dei macchiaioli. A Parigi la sua creatività venne stimolata dal vivace ambiente culturale: affidatosi al mercante Goupil, Boldini iniziò a farsi conoscere; egli rappresenta, infatti, lo specchio della Belle Epoque, con la sua leggerezza e il suo amore per la vita, ed esprime tutta la sensibilità del suo tempo: il positivismo, la mondanità e la cultura decadente. Fu un ritrattista attento al dettaglio e alla “aristocraticità del buon gusto”
Le sue donne conservano, infatti, una certa classicità, benchè si accostino alla ritrattistica impressionista basata sulla estemporaneità della figura. Montesquieu scriveva che: “L’immortalità dell’anima dei ritratti si alimenta solo nell’attualità”; perchè essi sono parte del costume di un’epoca. Boldini riduce le relazioni di spazio tra le figure e gli oggetti e i suoi ritratti si caratterizzano per una certa severità e per una grazia sublimata. La sua ricerca pittorica si fa audace nei virtuosismi che esaltano una “femminilità moderna”, dove la quotidianità si veste di grazia e di amore per il dettaglio e rappresenta un’esperienza variegata di espressioni spontanee. Per Baudelaire, il “dualismo della bellezza è fatto di una componente eterna e invariabile, difficilmente quantificabile e di un elemento relativo, circostanziabile nell’epoca, nella moda, nella morale, nella passione e pure insopprimibile per il pericolo di cadere nel vuoto di una bellezza astratta." "Ebbene possiamo dire che Boldini ha dato a questo secondo aspetto, transitorio e sfuggente, un peso notevole, sebbene non assoluto. Così, la sua pittura vive del riflesso di un momento storico e si eleva ai valori classici di un genere figurativo.” Baudelaire affermava che per il pittore della vita moderna la donna “è piuttosto una divinità, un astro [..] una luce, uno sguardo, un invito alla felicità, e talvolta il suono di una parola; ma soprattutto è un’armonia generale, non solo nel gesto e nel movimento delle membra, ma anche nelle mussole, nei veli, negli ampi e cangianti lembi di stoffe in cui si avvolge, che sono come gli attributi e il fondamento della sua divinità.”


La transitorietà di Baudelaire si esprime in Boldini nell’accelerazione del movimento, nella linea dinamica e guizzante, nella moda di un accessorio. La stessa figura diventa una sintesi di linee veloci. Boldini fa uso di una pennellata larga e sinuosa nella ricerca attenta del vero che coglie l’effimero e la transitorietà della modernità...non dipingeva le sue donne ma le accarezzava. Donne sensuali e dolcemente ironiche, dalla pelle chiara e dalle movenze languide. Il ritratto consentì all'artista di entrare a far parte della buona società e di raggiungere la sicurezza economica. La contessa Gabrielle de Rosty fu sua amante e modella e lo introdusse nel bel mondo della Parigi di fine siecle. Bruna, carnagione eburnea, la de Rosty diventò modella prediletta nei ritratti e nei nudi. Ritratto della contessa di Rosty in piedi (1878) esprime un erotismo raffinato e discreto, svelato nella morbidezza del collo e reso accattivante dalle pieghe morbide del tessuto che fascia il corpo della modella.  Il concetto di transitorietà si fa esplicito in opere come Le viole del pensiero (1910), La divina in blu (1905) e La Passeggiata (1895-1905). Il dinamismo si esprime nell'essenzialità di pennellate veloci che si sovrappongono sulle forme diafane e leggere che sembrano, per questo, attraversare lo spazio che si smaterializza in una sintesi di linee oblique rese come colpi di frusta. 
Anche l’artista pugliese Giuseppe De Nittis giunse a Parigi nel 1867, dove fu seguito dal mercante Goupil. Definito il pittore della vita moderna, condivise la ricerca impressionista della luce e dipinse le atmosfere gioiose della vita parigina e la transitorietà della città, simbolo della vita moderna. Donne maliziose abbigliate alla moda che ricordano quelle dell’amico Boldini come La signora con pappagalli (1870) e L’appuntamento (1870), dove la pennellata leggera rileva la percezione del frusciare delle foglie e il lieve rumore dei passi delle due donne. 
De Nittis fu cronista della vita parigina di cui ha immortalato i vizi della borghesia, le vedute urbane e i clichè à la mode. L’Amazzone (1875) rappresenta la donna moderna e la mobilità urbana ed è una tipologia di figura frequente nelle raffigurazioni dell’epoca. 

Il salotto della Principessa Mathilde (1883) descrive, invece, gli ambienti del salotto più esclusivo di Parigi, quello di Mathilde Bonaparte, nipote di Napoleone, che i De Nittis frequentavano abitualmente. L’anziana principessa è ritratta al centro della sala con un elegante abito dècolletè, mentre conversa con un amabile signore dalla barba bianca. Questo dipinto fu di proprietà di De Nittis e venne esposto alla XI Biennale di Venezia prima di essere donato alla città di Barletta. Un’aura metafisica ma pulsante di vita caratterizza la femminilità inquieta delle donne del livornese Vittorio Corcos. Grazia e gusto decadente investono queste “creature che hanno in sé qualche cosa del fantasma e del fiore”, una poetica di contenuti e di vibrazioni estetiche. Donne malinconiche che esprimono lo spirito inquieto di fine secolo. 


Dopo un periodo trascorso a dipingere ventagli e copertine di spartiti musicali, sarà Giuseppe De Nittis ad avviare la svolta artistica di Corcos durante il suo soggiorno parigino, dove fu notato dal mercante Goupil. Inserito nella vita della Ville Lumiere, Corcos iniziò a frequentare i circoli culturali della capitale, dove incontrava amici artisti e letterati. 
Antonio Mancini è, invece, l’artista bohemien per eccellenza. Lasciata Napoli, si trasferì a Parigi dove entrò in relazione con De Nittis e Boldini il quale mostrò da subito avversione verso il talentuoso collega. I ritratti di Mancini risentono di quel verismo  di scuola napoletana pieno di umanità e di gusto popolare, incline all’introspezione e velato di malinconica dolcezza. 
Volti di bambini pensosi da cui traspare emotività e riservatezza, come Lo scolaretto (1872), Scugnizzo con salvadanaio (1874), Bambina con fazzoletto giallo e lo Scolaro poveroFederico Zandomeneghi fu una personalità schiva. Veneziano di nascita, si trasferì a Parigi nel 1874. 

Nella sua pittura l'artista sublima le modelle quanto le donne da marciapiede. Il suo stile si impone per l’ariosità di una composizione luminosa che ha l’effetto tremulo e sbiadito di una vecchia fotografia e di una pittura divisionista che attinge a Seurat e Signac. Scene domestiche (Mère et fille 1879-1880 La tasse de the 1903) e momenti di austero raccoglimento ( La lecture 1900 La jeune fille au bouquet 1900-1903) fermano l’attenzione sui particolari della composizione e sull’eleganza delle figure assorte in un'estatica concentrazione.

Pubblicato da Antonella Colaninno


lunedì 11 gennaio 2010

ROMA LA PITTURA DI UN IMPERO




24 SETTEMBRE 2009 – 17 GENNAIO 2010
SCUDERIE DEL QUIRINALE

La storia di Roma raccontata attraverso un ciclo di pitture che illustrano la complessità della società romana. Un percorso figurativo che rappresenta un arco cronologico compreso tra il I secolo a. C. e il V secolo d. C. nel quale Roma espande il suo Impero e avvia un importante sviluppo culturale. Presso le Scuderie del Quirinale la mostra intitolata “Roma. La pittura di un Impero”ricostruisce lo sviluppo della società romana attraverso la conoscenza della sua produzione pittorica, “superando la visione di una pittura romana dipendente ed erede passiva del patrimonio greco classico”. All'interno del percorso espositivo è possibile ammirare la pittura romana della prima età imperiale che si ispira all’ordine politico di Augusto e che rileva un’impostazione aulica che esprime serenità e grazia formale. La mostra curata da Eugenio La Rocca, Serena Ensoli, Stefano Tortorella e Massimiliano Papini presenta una serie di affreschi, tempere ed encausti su tavola, lino e vetro dallo stile elegante e prezioso nel disegno. Una pittura unica nel suo genere che si avvale di un segno grafico sofisticato e leggero e di un colore sfumato quasi velato, costruito tra giochi di luci e di ombre. La pittura romana è stata un costante punto di riferimento per l’arte occidentale per i suoi valori estetici e formali e per la sua raffinata ed autentica espressività. Le figure occupano gli spazi della composizione attraverso un gioco di relazioni di gusto narrativo e musicale, interagendo sempre con l’ambiente circostante. Il mondo antico era fatto di colori ed evocava un mondo fantastico. Il divino è presente nelle decorazioni delle case romane nella raffigurazione eterea e fantastica di questa pittura che attribuisce al suo stile un gusto tipicamente romano. In questa pittura c’è un’idea del bello, una leggerezza e un grande potere di seduzione. Uno degli aspetti più interessanti è il modo in cui venivano vissuti l’erotismo e la sessualità, a cui venivano affidati significati e ruoli sociali legati alla prosperità e alla scaramanzia. Inoltre, la società romana non conosceva il senso del peccato che sarà poi della cultura cristiana e la moralità era legata ad un fatto di costume, benché venisse vissuta con ipocrisia come clichè di un modo di essere falso e opportunista.

Antonella Colaninno