di Antonella Colaninno
Il realismo e il pathos giottesco con la sua totale umanizzazione della figura tornano a nuovi splendori nel crocifisso di Ognissanti. Dopo l’intervento di restauro curato da Marco Ciatti, la monumentale Croce di Giotto della Chiesa di Ognissanti di Firenze sarà presentata al pubblico negli ambienti dei laboratori dell'Opificio delle Pietre Dure della Fortezza da Basso, dal 18 al 22 ottobre. L’iniziativa “Effetto restauro”consente al visitatore di osservare da vicino le opere in corso di restauro o già restaurate, come già avvenuto per la Pala di San Zeno e per l’Arazzo di Vigevano. L'iconografia del Christus patiens acquista in Giotto un nuovo plasticismo sulla scia della tradizione duecentesca che da Giunta Pisano giunge sino a Cimabue. Attribuito da sempre al Maestro, come citato dalle fonti antiche, il crocifisso misura 4,60 x 3,70 mt e si data tra il 1310 e 1320. Nei quadrilobi lungo i bracci della croce sono dipinti la Vergine e San Giovanni e in alto il Redentore in atto benedicente. Secondo quanto sostengono gli esperti, è probabile che al crocifisso abbia lavorato anche il collaboratore del Maestro, conosciuto come il Parente di Giotto. La croce manca del piede trapezoidale (appoggio dell’opera) che è andato perduto nel corso dei secoli. Durante la Controriforma, la collocazione del crocifisso ha subito spostamenti all’interno della Chiesa e, dal 1937, la stessa è stata sistemata negli ambienti della sagrestia.
“Il dipinto è realizzato secondo i criteri canonici della pittura fiorentina del tempo, la versione che Giotto stesso aveva fissato con le sue opere e che rimarrà come una regola costante per circa un secolo: solido supporto in legno di pioppo, strati preparatori complessi composti da una tela di lino e da due strati di gesso e colla, strati pittorici sottili a tempera ad uovo, ricercati effetti decorativi nelle dorature a guazzo e a missione. Particolarità di Giotto è l’inserimento di vetri decorati nell’aureola del Cristo, così come si era rinvenuto nella Croce di Santa Maria Novella”.
“I danni principali riscontrati riguardano sia il supporto, con alcune pericolose fratture da risanare, e la superficie pittorica, la cui policromia era pesantemente alterata dall’accumulo di sporco e materiale vario di deposito (dal fumo delle candele, ad una patinatura a gomma vegetale, all’inquinamento atmosferico moderno). Sono poi evidenti alcuni danni antichi accidentali che hanno causato rotture della cornice ed ammaccature nella pittura, e danni da percolazioni di acqua che hanno causato la perdita di alcune limitate porzioni del colore soprattutto nella zona alta, in corrispondenza del Redentore benedicente”.
“Secondo la metodologia propria del Laboratorio sono state eseguite prime le indagini fisiche non distruttive (senza campionamento): Radiografia X, Fluorescenza UV, Infrarosso FC, Riflettografia IR, Infrarosso BN, Misure di Riflettanza FORS, Fluorescenza X; per ridurre la necessità di indagini chimiche (sezioni stratiografiche, FT-IR, GC-MS) su micro-campioni”.
“Da un punto di vista tecnico il problema più rilevante è costituito dalla messa a punto della tecnica di pulitura, argomento sul quale il Laboratorio sta da anni sperimentando soluzioni innovative meno aggressive per le opere e più sicure per il conseguimento del risultato tecnico e critico desiderato. In questo caso a questa costante volontà, che ha portato nel tempo il Settore di restauro dei dipinti mobili ad applicare nuove classi di materiali solventi acquosi (resin soaps, enzimi, ecc.) sino ad una sperimentale ricerca sull’impiego di un nuovo tipo di laser, si è unita l’estrema delicatezza del dipinto, costruito con strati sottilissimi di colore e con una preparazione di base estremamente sensibile ai materiali acquosi. Tutto ciò ha comportato una complessa fase di ricerca, sperimentazione e messa a punto di formulazioni specificatamente preparate per questo intervento”.
“Il progetto così definito prevede dunque per prima la pulitura dell’opera, fase attualmente già iniziata prima con piccoli test e ora con ampie campiture che già mostrano il possibile risultato. Quello che appare sono risultati di straordinaria bellezza che sembrano confermare ulteriormente la paternità giottesca e sostengono con forza la valutazione dell’elevatissima qualità del dipinto. Successivamente si passerà al risanamento strutturale per concludere infine con la parte estetica (reintegrazioni pittoriche, verniciatura, ecc.)”.
“Il dipinto è realizzato secondo i criteri canonici della pittura fiorentina del tempo, la versione che Giotto stesso aveva fissato con le sue opere e che rimarrà come una regola costante per circa un secolo: solido supporto in legno di pioppo, strati preparatori complessi composti da una tela di lino e da due strati di gesso e colla, strati pittorici sottili a tempera ad uovo, ricercati effetti decorativi nelle dorature a guazzo e a missione. Particolarità di Giotto è l’inserimento di vetri decorati nell’aureola del Cristo, così come si era rinvenuto nella Croce di Santa Maria Novella”.
“I danni principali riscontrati riguardano sia il supporto, con alcune pericolose fratture da risanare, e la superficie pittorica, la cui policromia era pesantemente alterata dall’accumulo di sporco e materiale vario di deposito (dal fumo delle candele, ad una patinatura a gomma vegetale, all’inquinamento atmosferico moderno). Sono poi evidenti alcuni danni antichi accidentali che hanno causato rotture della cornice ed ammaccature nella pittura, e danni da percolazioni di acqua che hanno causato la perdita di alcune limitate porzioni del colore soprattutto nella zona alta, in corrispondenza del Redentore benedicente”.
“Secondo la metodologia propria del Laboratorio sono state eseguite prime le indagini fisiche non distruttive (senza campionamento): Radiografia X, Fluorescenza UV, Infrarosso FC, Riflettografia IR, Infrarosso BN, Misure di Riflettanza FORS, Fluorescenza X; per ridurre la necessità di indagini chimiche (sezioni stratiografiche, FT-IR, GC-MS) su micro-campioni”.
“Da un punto di vista tecnico il problema più rilevante è costituito dalla messa a punto della tecnica di pulitura, argomento sul quale il Laboratorio sta da anni sperimentando soluzioni innovative meno aggressive per le opere e più sicure per il conseguimento del risultato tecnico e critico desiderato. In questo caso a questa costante volontà, che ha portato nel tempo il Settore di restauro dei dipinti mobili ad applicare nuove classi di materiali solventi acquosi (resin soaps, enzimi, ecc.) sino ad una sperimentale ricerca sull’impiego di un nuovo tipo di laser, si è unita l’estrema delicatezza del dipinto, costruito con strati sottilissimi di colore e con una preparazione di base estremamente sensibile ai materiali acquosi. Tutto ciò ha comportato una complessa fase di ricerca, sperimentazione e messa a punto di formulazioni specificatamente preparate per questo intervento”.
“Il progetto così definito prevede dunque per prima la pulitura dell’opera, fase attualmente già iniziata prima con piccoli test e ora con ampie campiture che già mostrano il possibile risultato. Quello che appare sono risultati di straordinaria bellezza che sembrano confermare ulteriormente la paternità giottesca e sostengono con forza la valutazione dell’elevatissima qualità del dipinto. Successivamente si passerà al risanamento strutturale per concludere infine con la parte estetica (reintegrazioni pittoriche, verniciatura, ecc.)”.
Opificio delle Pietre Dure
Via Filippo Strozzi, 1
Firenze
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Firenze
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