“L’idea
del libro mi è venuta pensando a Dada come al fenomeno capostipite della
sensibilità della nostra epoca. Una sensibilità che ha finito per proiettare l’arte
nelle cose comuni e per banalizzare, e rendere comune a sua volta, l’arte. Oggi
è molto più interessante guardare le vetrine, nelle strade, entrare in un
cinema o andare a sentire un concerto rock che visitare un museo o partecipare
alla inaugurazione di una mostra in una galleria d’arte. E questo lo aveva
capito per primo Dada, che aveva decretato appunto la morte dell’arte. Eppure l’arte
non era morta, e anche questo lo aveva capito molto bene Dada, che l’arte l’aveva
fatta, e ne aveva fatta tanta. Soltanto si era trasformata, e in modo tale da
diventare quasi irriconoscibile, tant’è vero che, in certi casi, bisognava
scriverci sopra un cartellino, -questa è arte-, per avvertire le persone
distratte”. FRANCESCA ALINOVI
di Antonella Colaninno
La problematica Dada è “ambigua, sfuggente e
sostanzialmente apolitica.”
Dada è la
rivoluzione di un progetto di massa, di una società espansa..
Il Dadaismo, accanto al Surrealismo, è considerato storicamente un momento di rottura, un’esplosione rivoluzionaria in cui cambia il concetto di arte e la prospettiva di visione della nostra epoca che, in quel preciso momento storico, negli anni del primo conflitto mondiale, decretò la morte dell’arte. Ma si può realmente parlare di morte dell’arte o piuttosto si assiste a una trasformazione estetica? “Per estetica, naturalmente, non si vuole intendere la vecchia concezione idealistica di –scienza del bello- ma si prende in considerazione la parola in senso etimologico, nel suo significato filosofico originario, vale a dire di sensibilità, dal greco aisthesis, -sensazione-
Le analisi di Francesca
Alinovi sul Dadaismo nel saggio Dada anti-arte e post-arte, pubblicato
nel 1980, non prescindono dalle implicazioni storiche del fenomeno. Dada fu una
sensibilità d’avanguardia al passo con i
tempi e con le ansie di rivoluzione, ma fu, soprattutto, l’anticipazione di
un vuoto, di un nonsense del fluire della vita che è diventato il comune senso
della collettività contemporanea. Dada, nel suo essere improduttivo, ha reinventato l’idea svuotandola del significato originale, portando l’arte ad
essere anti arte, nella perdita della sua sostanza di forma e di tecnica. Siamo di fronte a uno scambio di ruoli, a un ribaltamento dei significati
dove il concetto stesso di arte smette di esistere. Nel suo saggio L’Alinovi
parla di “una programmatica degradazione dell’arte stessa”, di “un abbassamento indefinito dell’arte verso
la condizione normale dell’esperienza quotidiana”. Nella leggerezza del fenomeno Dada le arti si fondono e si contaminano simultaneamente in un'espressione
artistica generale che unisce poesia, teatro, letteratura, musica e arte. Alla
lettura di poesie si accostavano vere performances di danza, musica e arti
plastiche molto simili agli happening degli anni ‘50/’60.
L'analisi storico critica dell’Alinovi pone in evidenza come questi “happening” al Cabaret Voltaire (il locale di Zurigo al numero 1 della Spiegelgasse, che ospitò le serate) sviluppassero, contemporaneamente, attraverso la danza, una regressione allo stato selvaggio e, allo stesso tempo, una proiezione nel
futuro, sollecitati dall’uso delle
maschere africane e dei “costumi da
robot” di gusto cubista. L’aspetto importante del fenomeno Dada resta
dunque l’annullamento della rigidità degli schemi mentali e la liberazione del
corpo, quell’annullamento delle barriere tra le arti che
sarà il riferimento costante delle
sperimentazioni e delle ricerche personali del lavoro critico di Francesca
Alinovi.
In “Dada anti-arte e post-arte”, la studiosa cita il recente studio del fisico teorico francese Jean E. Charon, autore del saggio “Lo spirito questo sconosciuto” (1979) che avrebbe avuto il merito di “dare a questa ombra inquietante un volto, per così dire, umano e immanente, strappandolo dalla pericolosa aura metafisica e trascendente in cui lo avevano relegato le vecchie filosofie”. Nella sua analisi sulla macchina dadaista come energia e prolungamento dell’uomo e della sua dimensione erotica , l’Alinovi cita lo studioso francese sostenendo che “Lo spirito, nella teoria di Charon, si identifica con la corrente stessa di elettricità che pervade l’universo e i nostri corpi; lo spirito è il campo magnetico che satura di sé il cosmo”. Conclude l’Alinovi sostenendo che in questo modo, “con l’emigrazione di dati informativi da un elettrone all’altro, compresi quelli rimasti a navigare nello spazio dopo la morte fisica dei loro detentori materiali” , ci sarebbe una spiegazione scientifica a fenomeni come il sogno, l’inconscio, la parapsicologia, lo spiritismo.
Con i ready-made Duchamp si “emancipava del tutto dall’obbligo del
lavoro manuale”. La sua ruota di bicicletta si ispirava al significato simbolico del cerchio, e alle sue doti ingegneristiche, perfetta manifestazione della meccanica e del valore di perfezione
del segno nel linguaggio dell’arte. “I
ready-mades [...] esistono solo come punti di raccordo tra diversi
pensieri che si comunicano tra un cervello e l’altro per mezzo di impulsi
elettrici, scariche, scintille. Anzi, come ho già detto, la loro funzione
primaria è quella di creare sostanzialmente sempre nuovi pensieri, alimentando
così indefinitamente il proprio potenziale energetico iniziale”. Quelle di
Duchamp sono “macchine cerebrali”, egli ha preso infatti un ordinario
articolo della vita di tutti i giorni e lo ha disposto in modo tale "che il suo
significato abituale è scomparso sotto il nuovo titolo e il nuovo punto di
vista, creando un nuovo pensiero per tale oggetto”. “I ready-mades si
comportavano come parole “, si liberavano “di ogni residuo visivo per sfondare definitivamente la barriera del
letterario e del concettuale”. L’atteggiamento di Duchamp verso la macchina non era "affatto di ammirazione, ma ironico” “per
screditarla in modo bonario, leggero e senza importanza” perché, come
scrive l’Alinovi, “l’apparato scientifico-tecnologico
[…] verrà sempre avvertito da Duchamp come fonte di divertimento, come
incitamento alla fantasia e alla evasione dalla realtà perché, da uomo del
primo Novecento, cercherà di mantenere sempre un atteggiamento stupefatto, e insieme
ironico e demistificante, nei confronti della scienza”.
Nella sua analisi di Dada, l’Alinovi esplora l’altro
volto di questa rivoluzione estetica che
si espresse in aspetti antitetici ma comunque strettamente in relazione con la
società tecnologica del suo tempo. Per questo, alla massima rarefazione fisica
dell’opera in Duchamp e Picabia, pone in relazione il Dada tedesco,
che giocò invece, sullo spessore fisico
dell’opera sino a raggiungere dimensioni architettoniche.
Se Duchamp fu “scienziato illuminista” Schwitters si
sentiva “un costruttore” ossessionato
dal “delirio materico”. "Nella visione estetica di Schwitters
gli scarti della società non sono espressione di una carica distruttiva, bensì
costituiscono la vera materia prima da cui poter ricominciare daccapo per
ricostruire il mondo. [...]”. Dopo il 1920. Tzara penserà di accostare
casualmente le parole senza una logica secondo una tecnica che
l’Alinovi chiamerà “tecnica collagistica del linguaggio”.
Pubblicato da Antonella Colaninno
Le serate del Cabaret Voltaire di Zurigo
erano organizzate da Hugo Ball insieme ad Emmy Hennings e vi parteciparono
Marcel Janco che realizzava i costumi e le maschere di scena, Hans Harp, Richard
Huelsenbeck, Tristan Tzara. “Un'atmosfera molto simile a quella del Cabaret
Voltaire si diffonderà ben presto anche a Berlino” dove “il più autentico
mattatore sarà il non ancora politicizzato George Grosz”.”Ma lo stesso può
valere anche per le altre due città tedesche al centro della esplosione dada:
Colonia e Hannover.” L’evento più clamoroso di Colonia sarà quello della
mostra alla birreria Winter, nell’aprile-maggio 1920, dove il, pubblico, per
entrare, era costretto a passare attraverso i gabinetti della birreria stessa
tra esalazioni di alcool e odori di ogni genere”. Nella sala espositiva c’era
un acquario pieno d’acqua color sangue, con un orologio a sveglia sul fondo,
una parrucca da donna galleggiante sulla superficie e un braccio di legno che
sporgeva fuori. Nella stessa stanza Ernst aveva sistemato un’ascia in modo che
il pubblico era invitato a distruggere le opere, “invito che peraltro venne
accolto con piacere”.
In foto: Francesca Alinovi; il Cabaret Voltaire di
Zurigo; Duchamp e la Ruota di bicicletta; Francis Picabia; Kurt Schwitters; Schwitters
- Forms in Space .
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