Nudo di donna EGON SCHIELE















domenica 26 febbraio 2012

ROMA AL TEMPO DI CARAVAGGIO 1600 – 1630

Michelangelo Merisi da Caravaggio Madonna di Loreto (1604-1605)

Annibale Carracci e bottega Madonna di Loreto (1604-1605)


Nel 1600 Roma è la capitale culturale d’Europa e, con le sue committenze, si popola di artisti provenienti da tutta Italia e dalla stessa Europa. Si assiste alla rinascita del pensiero cattolico e a un rinnovamento artistico, sia per le influenze culturali che rinnovano la tradizione artistica quattro cinquecentesca, e sia per i cambiamenti urbanistici commissionati da papa Sisto V. La mostra Roma al tempo di Caravaggio, conclusasi di recente presso il Museo Nazionale di Palazzo Venezia, ricostruisce la storia di un secolo ricco e variegato, con l’intento di dare luce a quegli artisti che rimasero in ombra rispetto all'astro di Caravaggio. Il percorso espositivo si apre con il confronto tra le due interpretazioni pittoriche della Madonna di Loreto dipinte entrambe tra il 1604 e il 1605 rispettivamente da Caravaggio e dal bolognese Annibale Carracci, che propone una visione classica del soggetto sacro ancora legata al linguaggio antico, distante dalla sensibilità naturalistica tipica della pittura di Caravaggio. Una diversità che testimonia la vivacità culturale di un’epoca dove i fermenti di rinnovamento convivono con la tradizione. Questo spiega la grande diversità dei due artisti che, se pur lontani nel linguaggio figurativo, sono accomunati dal destino di una morte prematura avvenuta a distanza di un solo anno l’uno dall’altro. Annibale Carracci fu seguito a Roma dai suoi allievi bolognesi Guido Reni, Domenichino, Albani e Lanfranco, mentre Giovanni Baglione e il Cavalier d’Arpino seguirono il filone caravaggesco e lavorarono al cospetto di committenti ecclesiastici. Molti gli artisti in mostra che seguirono la maniera caravaggesca, come Orazio Borgianni (Davide in preda all’ira decapita Golia – ovvero Allegoria biblica dell’Ira, 1609 – 1610), Orazio Gentileschi (Madonna con Bambino, 1603 -1605), e Pieter Paul Rubens (L’adorazione dei pastori, 1608). La mostra racconta per decenni la “moda”caravaggesca che, a partire da quegli anni, interessò la scena dell’arte sotto l’impulso del pittore Bartolomeo Manfredi che “divenne il più popolare divulgatore dei modi caravaggeschi”, ma anche di artisti come Artemisia Gentileschi, Bartolomeo Battistello Caracciolo, e Giovanni Francesco Guerrieri, a cui si aggiunsero gli artisti stranieri che si riversarono nella capitale romana, come lo spagnolo Jusepe De Ribera, il francese Simon Vouet, e il fiammingo Dirck van Baburen. Nel decennio successivo, il linguaggio caravaggesco lascerà il posto al classicismo anche per la presenza a Roma di Nicolas Poussin a partire dal 1624, e per la restaurazione della Chiesa cattolica e per le istanze della cultura barocca, affermata in quegli anni nella capitale. La mostra si chiude con il dipinto Allegoria dell’Italia dell’artista francese Valentin de Boulogne, realizzato nel 1629 per la famiglia Barberini che rappresenta un esempio di questo cambio di rotta del pensiero artistico italiano.

Scritto da Antonella Colaninno

Roma al tempo di Caravaggio 1600 – 1630
a cura di Rossella Vodret e Michele di Monte
Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia Saloni Monumentali
16 novembre 2011 – 5 febbraio 2012

sabato 18 febbraio 2012

UN’AMARENA "PER UN SECOLO E 7." PREMIO FABBRI PER L'ARTE CONTEMPORANEA

David De Biasio - Tricolore (olio su lino)
Marco Cornini - Ancora una... (terracotta)


Quando tradizione e passione incontrano l’amore per l’arte. E’ quanto accade a un’azienda storica come la Fabbri, quella dell’amarena per intenderci, e a un premio che quest’anno è alla sua quarta edizione, grazie alla passione del signor Umberto, alla guida della storica realtà imprenditoriale ormai sulla scena italiana da ben quattro generazioni. Il vaso dai decori blu, disegnato un secolo fa nella bottega Gatti di Faenza, è il simbolo di un lavoro di dedizione che ha mantenuto costanti impegno e professionalità e che oggi ispira gli artisti nella realizzazione delle opere concorrenti al premio Fabbri per l’arte contemporanea. Un “premio aristocraticamente chiuso” scrive lo storico dell’arte Alberto Agazzani, curatore di questa quarta edizione dal titolo “Un secolo e 7.” “Si è trattato di un’esperienza insolita, che, come affermavo in apertura, non mi sarei mai immaginato di poter o dover affrontare, ma che, come ogni viaggio verso un ignoto o una terra mai esplorata in precedenza, mi ha arricchito e donato nuova fede nell’arte ed in coloro che ne detengono il fascinoso segreto." Trenta gli artisti scelti dal curatore impegnati con le proprie opere nella rilettura del mitico vaso. Tre i vincitori, uno per ogni categoria, oltre a un prestigioso premio alla carriera per Lidia Puglioli (1919), l’artista bolognese nata a San Lazzaro di Savenna e per il suo olio su tela dal titolo "Paesaggio antropomorfo." 

Una menzione speciale è stata riconosciuta a Giorgio Laveri e alla sua opera in terracotta policroma dal titolo "Amarcord." 

I tre vincitori di questa quarta edizione, che celebra quest’anno i cento anni di nascita dell’azienda, sono stati nominati da una commissione qualificata ma esterna alle scelte del curatore. Sono stati premiati per le rispettive categorie: David De Biasio per la sezione pittura, con l’opera" Tricolore" (olio su lino), Marco Cornini per la sezione scultura, con la terracotta "Ancora una…"e infine, per la sezione fotografia, Giulia Caira con "Quando Ulisse se ne andò Circe e i suoi maiali si divertirono tantissimo."

L’esposizione è stata inaugurata presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna sabato 28 gennaio in occasione della Art White Night. Durante la serata inaugurale alla quale ero presente anch'io, è stato dato il riconoscimento alla carriera alla pittrice Lidia Pugnoli e alla sua opera “Paesaggio antropomorfo.” A seguire, l’elenco dei nomi di tutti gli artisti partecipanti.
Affiliati Peducci/Savini, Chiara Albertoni, Paul Beel, Luigi Benedicenti, Nicola Bolla, Giuseppe Bombaci, Andrea Boyer, Giulia Caira, Andrès Davide Carrara, Gianluca Chiodi, Girolamo Ciulla, Roberta Coni, Marco Cornini, Crash-Toys (Tironi/Yoshida), Mauro Davoli, David De Biasio, Roberto Ferri, Giovanni Gasparro, Massimo Giannoni, Alfio Giurato, Marcello Grassi, Giuseppe Guindani, Giorgio Laveri, Mauro Maugliani, Gonzalo Orquìn, Fabrizio Orsi, Daniela Perego, Luisa Puglioli, Agostina Rocco, Pieter Von Balthasar.

Scritto da Antonella Colaninno

giovedì 16 febbraio 2012

GIAN LORENZO BERNINI E IL CONVENTO DI SAN DOMENICO.




La pubblicazione del volume Il grande cantiere del Santuario di San Domenico di Soriano. Scultura, marmi e argenti (Rubbettino editore), documenta l’eccezionale scoperta della testa in marmo di Santa Caterina da Siena rinvenuta tra le macerie del convento di San Domenico a Soriano Calabro (Vibo Valentia) dieci anni fa. A studiarla fu lo storico dell’arte Mario Panarello, docente di Restauro e Diagnostica dei Beni Culturali presso l’Università di Cosenza che all’epoca del ritrovamento attribuì il marmo all’ambito della scuola barocca di Gian Lorenzo Bernini e Cosimo Fanzago. Studioso della scultura e dell’architettura tra XVII e XVIII secolo, Panarello giunse alla conclusione, dopo uno studio durato ben quattro anni, che quella testa apparteneva al maestro Gian Lorenzo Bernini. Una scoperta che andò di pari passo all’attribuzione di un’altra testa in marmo, questa volta della Vergine Maria di proprietà di un suo amico che l'aveva acquistata paradossalmente per pochi euro. Panarello identificò la testa in quella mancante del gruppo scultoreo della Natività presso l’Oratorio dei Nobili in San Bernardino ad Amantea in provincia di Cosenza e la attribuì a Pietro Bernini. Un lavoro di ricerca che indaga anche sulla consequenzialità tra gli altari del convento e della chiesa di San Carlo ai Catinari in Roma, e giunge alla conclusione che l’altare maggiore seicentesco del complesso di San Domenico, progettato da Martino Longhi, “è esattamente quello riproposto a Roma nella chiesa di San Carlo ai Catinari. “
Il convento di San Domenico è tra gli edifici religiosi più imponenti dell’Italia meridionale, oggi un rudere suggestivo che conserva le testimonianze di una storia che sembra essersi fermata con il terribile terremoto del 1783. Un destino infausto per il convento, già ricostruito dopo il primo terremoto del 1659. Inesauribile cantiere di scavo, l’edificio è stato in parte restaurato ed è oggi sede del  MUMAR, il museo dei marmi. Costruito nel lontano 1510 in onore di Santo Domingo di Gunzmàn, il convento fu un punto nevralgico del pellegrinaggio in onore del santo che nel 1640, un anno dopo la sua morte, divenne il protettore del Regno di Napoli.


Scritto da Antonella Colaninno

venerdì 10 febbraio 2012

MARCEL BROODTHAERS. L’ESPACE DE L’ECRITURE E LA POETICA DELLA DESTRUTTURAZIONE.







Artista surrealista, ironico, intellettuale e poetico Marcel Broodthaers (Bruxelles, 1924- Colonia, 1976) gioca con il nonsense citando Mallarmè e Baudelaire rievocando il Ready made di Duchamp e l’idea di opera d’arte come percorso concettuale. La sua poetica destruttura gli schemi linguistici tradizionali mescolando le componenti strutturali in un remake ironico e al tempo stesso raffinato, rivelandosi una esperienza artistica dal taglio intellettuale con forti connotazioni critiche sul ruolo dell’artista nella società e nel sistema contemporaneo. Una critica che non si esime di toccare anche il sistema museale. Tra i suoi ambiti di ricerca c’è infatti, il Musèe d’Art Moderne, un museo che non esiste nella realtà e che riflette sul ruolo di questa istituzione. 

Una riflessione quanto mai attuale e controcorrente che vede oggi l’artista sempre più compromesso ad una "partecipazione" politica ed il museo un contenitore paradossale privo di significati contestuali. 

Ciò che l’artista sperimenta è la fusione tra la componente narrativa e i codici visivi, tra il linguaggio delle immagini e l'oggetto di riferimento. Importante è anche la sua esperienza di montaggio delle pellicole, una sperimentazione dai contenuti surreali con chiari riferimenti alla poetica di Magritte e all’estetica del cinema muto. 

La carriera artistica di Broodthaers, considerato tra i pionieri della Istitutional Critique, ha compreso un periodo molto breve, dal 1964 al 1976. Il Mambo di Bologna propone per la prima volta in Italia, circa cinquanta lavori provenienti da importanti istituzioni internazionali come il MACBA, Museo di Arte Contemporanea di Barcellona. La mostra, a cura di Gloria More, si inserisce in un percorso di ricerca del museo e arricchisce il vasto programma di appuntamenti culturali della città in occasione di Artefiera.


Scritto da Antonella Colaninno

L’espace dell’ècriture
a cura di Gloria More
dal 26 gennaio al 6 maggio 2012
museo Mambo Bologna