Nudo di donna EGON SCHIELE















mercoledì 26 dicembre 2012

BENEDETTE FOTO! Carmelo Bene visto da Claudio Abate






di Antonella Colaninno

Il teatro surreale di Carmelo Bene raccontato dalle fotografie di Claudio Abate.
L’immaginario poetico e dissacratore del teatro contemporaneo di Carmelo Bene ha rivoluzionato la scena del teatro italiano del Novecento e ha fatto molto discutere per la sua originalità e la sua estrema e provocatoria contemporaneità tutta giocata sul ruolo delle immagini e dei suoni. Il corpo diventa lo strumento della comunicazione diretta con il pubblico, l’elemento predominante di una narrazione che affida alle luci e alla novità dei costumi e del trucco l’elemento principale della composizione scenica.
A dieci anni dalla scomparsa di Carmelo Bene, Palazzo delle Esposizioni celebra la figura complessa di questo artista e del suo teatro attraverso gli scatti di Claudio Abate, unica testimonianza visiva che ci è stata tramandata.
Le foto di Claudio Abate svolgono un ruolo importante nella vita di Carmelo Bene; fu infatti, grazie ai suoi scatti che l’artista fu scagionato dalle accuse di oltraggio per lo spettacolo Cristo 63. Il titolo della mostra “Benedette foto!” trae origine dalle parole pronunciate dallo stesso artista in merito a questa vicenda, ricordando l’effetto salvifico della sua testimonianza fotografica.
Circa 120 fotografie a colori e in bianco e nero documentano sulla scena, tra il debutto e le prove, il lavoro di recitazione tra la metà degli anni ’60 e la metà degli anni ’70 del Novecento, dei 10 tra i primi spettacoli di Carmelo Bene: Cristo 63; Salomè da e di Oscar Wilde, Faust o Margherita; Pinocchio ’63; Il Rosa e il Nero da di a G. M. Lewis; Nostra Signora dei Turchi; Salvatore Giuliano. Vita di una rosa rossa; Arden of Feversham; Don Chisciotte. Un percorso affascinante che non manca di emozionare il visitatore, che pone al centro la ricerca continua della dimensione dello spazio quale valore assoluto, dove ogni esperienza umana si disperde. Il presente rappresenta l'unica esperienza alienante del sè in una riflessione surreale sul tempo e sulla sua paradossale ambiguità.
L’ultima sezione della mostra è dedicata  alle riprese della Salomè (1972). L’archivio di Claudio Abate, a parte questa esperienza sul teatro, è incentrato sul lavoro delle arti visive e di artisti come: Pino Pascali; Jannis Kounellis; Eliseo Mattiacci; Fabio Mauri; Gino De Dominicis; i Neuen Wilden tedeschi e gli artisti della Scuola di San Lorenzo.
 

Pubblicato da Antonella Colaninno
Mostra visitata il 12 dicembre

In alto, in ordine: Carmelo Bene (Faust) in Faust o Margherita, Teatro dei Satiri, Roma 1966; Carmelo Bene (Faust) in Faust o Margherita, Teatro dei Satiri, Roma 1966; Carmelo Bene in Salomè, lungometraggio 1972; Carmelo Bene (Pinocchio) in Pinocchio ’66, Teatro Centrale, Roma 1966; Veruscka in Salomè (lungometraggio); Veruscka in Salomè; Carmelo Bene(Onorio) e Veruscka (Myrrhine) in Salomè (lungometraggio, 1972).

venerdì 21 dicembre 2012

RENATO GUTTUSO






“Quanno finisci di travirsarla tutta e infini arriva a capo della viuzza, si trova ad aviri il sciato grosso come quanno si tocca la riva allo stremo delle forzi doppo ‘na longa natata” Andrea Camilleri (da La Vucciria Renato Guttuso)



di Antonella Colaninno



Non è semplice cercare di raccontare il mondo così come lo vedeva Renato Guttuso (Bagheria, 1912 – Roma, 1987) che del suo tempo e del suo mestiere ha fatto passione di vita e di arte.“Se io potessi, per una attenzione del Padreterno, scegliere un momento nella storia e un mestiere sceglierei questo tempo e il mestiere del pittore.” Sempre attento alle relazioni con altri artisti, Guttuso ha mantenuto viva in sé una certa “sicilitudine.” L’amore per la vita e per il colore, e un erotismo mai nascosto sono solo una parte di una visione del mondo dove l’ombra della morte resta una presenza vigile, una nota stridente che serpeggia misteriosa tra la vitalità della gente e dei colori dei suoi mercati. Una visione antica di amore e di morte, di erotismo e di passione che traduce il mito e la storia nel presente perché il vero protagonista in Guttuso è l’uomo e la sua storia.

Una vita vissuta tra Milano, Palermo e Roma tra artisti ed intellettuali. Alberto Moravia, Giacomo Manzù, Leonardo Sciascia, Eugenio Montale, Pablo Neruda, Luchino Visconti, Vittorio De Sica e Pierpaolo Pasolini ebbero con lui un’intensa collaborazione artistica, e poi l’amico Picasso a cui dedicò una serie di opere tra cui Il Convivio (1973), nella quale Picasso pittore siede tra alcuni dei suoi personaggi come la donna de Les demoiselles e l’Arlecchino pensoso. 
In occasione del centenario della sua nascita, Roma dedica all’artista siciliano una grande mostra, la prima antologica sull’intero percorso artistico di Guttuso che a Roma trascorse più di 50 anni di vita. Oltre 100 opere raccontano il suo impegno di artista nella società, spesso criticato da aspre polemiche quando il suo linguaggio si fa provocatore e rompe gli schemi iconografici tradizionali. La Crocifissione (1940,41) con la Maddalena denudata e le croci collocate frontalmente l’una alle altre, sollevò la disapprovazione degli ambienti cattolici e fu condannata dal Vaticano. Guttuso amava dipingere tele di grande formato, pensava fosse un atto dovuto ad un pittore.“Io di solito aspetto che mi vengano le idee, non le vado mai a cercare, un giorno ero seduto al caffè Greco, proprio nella sala che ho dipinto, e ho cominciato a pensare che era un tema che mi si addiceva. C’era de Chirico da un lato, seduto. Ho continuato a pensare al progetto e quando si è un po’ maturato ho incominciato a fare qualche disegno […] in questo quadro c’è un elemento catalizzatore, Giorgio de Chirico, anche se il fascino del luogo nasce anche dalla gente che ci è passata, da Buffalo Bill a Gabriele D’Annunzio. […] nel quadro ci sono molti elementi dechirichiani, penso a “il sogno del poeta” a “il ritratto premonitore di Guillaume Apollinaire […]. Volevo però dare, sia pure con un solo segno, il senso della storia che è passata.”

Guttuso racconta così, le immagini di una storia attraverso altre storie, dando vita ad un sentimento collettivo che traccia il disegno di un’epoca e si concentra sul tempo dell’uomo. Nella Vucciria (1974), l’esaltazione del colore e la sinuosità delle forme enfatizzano un sentimento di morte. Le carni appese ed il piano inclinato sullo sfondo dove la frutta e gli ortaggi sembrano ruotare in un vortice, esprimono il senso del tempo e del suo inesorabile passaggio. Cesare Brandi scrive che “[…] il quadro brucia, il quadro, con tanti timbri quasi violenti che si cozzano, in realtà vive entro contorni di pece, listato e lutto. […] come su un fondo nero, come dipinto su una lastra di lavagna […]” Una chiara allusione alla sua terra, la Sicilia, così piena di vita e di colori ma segnata da un destino di paura e di morte. Lo stesso Guttuso scriveva: “E’ un quadro nero […] mentre dipingevo, mi sono accorto come tutta quella abbondanza di vita contenesse, nel fondo, un senso distruttivo. Senza che io ci pensassi o volessi, la tela esalava un sentimento di morte.”

In Guttuso la memoria è il filo conduttore delle sue storie. La memoria di sé, riprodotta negli autoritratti, la memoria dei luoghi che attraverso i colori esprimono le sensazioni  dei profumi e dei sapori. E infine, la memoria della storia e delle tante storie che la compongono. Le atmosfere cupe della guerra e la luce della Sicilia, la memoria letteraria e quella neorealista desunta dal cinema e dagli ambienti popolari. Tutto il Novecento si racconta nell’umanità di Renato Guttuso, con le sue passioni e le sue storie di dolore, ancora così antica per essere contemporanea, ma così attuale pur restando anacronistica.







“Chi ripercorre la sua pittura, come le motivazioni che passo passo ne hanno giustificato le ragioni, è di fronte a un grado di passionalità partecipativa, di vitalismo, sorprendenti, e certo di portata tutt’altro che inattuale.” Enrico Crispolti  
Mostra visitata il 12 dicembre

In alto, in ordine: Guttuso e Marta Marzotto; Il caffè greco; La Vucciria (particolare); Amanti (?); Figura femminile.



Pubblicato da Antonella Colaninno

mercoledì 5 dicembre 2012

CELESTE PRIZE 2012



di Antonella Colaninno

Sabato 1 dicembre si è conclusa l’edizione 2012 del Celeste Prize, curata da Katia Garcia –Anton. I vincitori sono stati scelti attraverso il voto degli artisti finalisti, durante la mostra allestita presso la Centrale Montemartini di Roma. Oltre 1400 artisti provenienti da tutto il mondo si sono confrontati con il proprio lavoro, sottoponendolo all’attenzione della curatrice e del comitato di selezione. Quattro le categorie tra Pittura, Fotografia, Installazione & Scultura, e Video & Animation Price, a cui si aggiunge il Premio del pubblico.
Per la sezione Pittura, il premio va all’artista tedesca Antoinette Von Saurma e al suo inchiostro su carta dal titolo Sendai in the snow. Una commovente rappresentazione di un paesaggio del Sendai presso Fukoshima dopo la tragedia dello Tsunami, descritto attraverso il deserto dei suoi fantasmi, di ombre ormai vuote private delle forme di vita. L’immobolità del paesaggio si ispira alle immagini giapponesi, all’ordine di queste composizioni e alle costanti evocazioni poetiche.
L’opera dal titolo Pietà dell’artista inglese David Birkin si aggiudica il primo premio per la sezione Fotografia. Una grande campitura dai colori del mare ricavata da polveri di lapislazzuli copre l’immagine relativa alla notizia di una donna afghana ai funerali di sua figlia. Come spiega l’artista, i pigmenti di lapislazzuli hanno un significato simbolico che rimanda al colore dell’abito della Vergine Maria delle iconografie rinascimentali. Il manto che copre il soggetto della foto ha il valore di una censura morale verso il rispetto del dolore e del silenzio e si eleva a una invocazione alla preghiera.
Curtains è il titolo dell’installazione dell’artista spagnolo Jaime de la Jara vincitore del primo premio per la sezione Installazione & Scultura. Una serie di rigide tende oscure occupano le pareti di una stanza buia senza finestre. Una lettura trasversale ed un'analisi politico-sociale per comprendere ciò che nascosto, non ci è permesso vedere, traslando il significato del soggetto attraverso una lettura dei significati concettuali.  
Landsape - Ipotesi 35 è la fotografia di Giovanni Guadagnoli che si aggiudica il premio del Pubblico. Un paesaggio velato resta sospeso tra la leggerezza dell’aria e la durezza della terra, tra l’immaginazione e il senso della realtà. Se la macchina che percorre l’asfalto rappresenta la volontà del cammino che intraprendiamo verso un futuro che non conosciamo, il volo dell’aereo è invece, l’altra metà della nostra essenza.
Il video dell’artista spagnola Cristina Nunez dal titolo Someone to love è il vincitore dell’ultima sezione Video & Animation. Una straordinaria testimonianza di vita che nasce dall’esigenza di raccontarsi attraverso la storia della propria famiglia e di scoprire le verità sino ad allora sconosciute da cui è possibile spiegare ogni possibile concatenazione degli eventi. L’artista sceglie di montare le fotografie per dittici e trittici per cercare relazioni ed analogie con i suoi parenti, per trovare punti comuni e cercare di comprendere il suo comportamento. Una serie di autoscatti costituiscono il progetto di una auto analisi che mette a nudo la propria anima, nel tentativo di liberarla da ansie, rabbie e paure. Un progetto che vuole porsi al servizio degli altri insegnando le facoltà terapautiche dell’autoscatto come autoanalisi. “Someone to love is my autobiography in self portraits […] family pictures and other photographs, mounted together on a video, and united by my voice which narrats the story of my life […].”
“[…] my mission: to teach my method to others, so that people can learn to convert their own pain into works of art.”

Pubblicato da Antonella Colaninno

Nelle immagini: Sendai in the snow; Pietà; Curtains; Landscape-Ipotesi 35; Someone to love; Steven Music e il Celeste Prize Team.




domenica 25 novembre 2012

PICASSO ILLUSTRATORE




di Antonella Colaninno

I disegni dei grandi artisti illustrano le opere narrative e spesso si sviluppano come un racconto nel racconto. Il modello letterario rappresenta solo un punto di partenza da cui si crea un percorso intellettuale e artistico nuovo. Le opere grafiche dei libri di artista di Pablo Picasso (1881-1973) illustrano le pagine di importanti capolavori letterari, come Le Metamorfosi di Ovidio (1931) e il Il capolavoro sconosciuto di Honorè de Balzac (1931) le cui edizioni furono curate dal mercante d’arte e editore Ambrosie Vollard e dall’editore Albert Skira. Questi lavori entrano a pieno titolo nell’attività pittorica di Picasso e non possono essere considerate opere minori poiché lo stesso artista amava definirsi illustratore-pittore. In questi disegni vengono riproposti i temi cari a Picasso come la mitologia, l’erotismo e la creazione artistica. Le illustrazioni per le Metamorfosi di Ovidio risalgono agli anni ’30-’31 del 1900. Picasso è qui un disegnatore classico dalla linea morbida e pulita, priva di ombreggiature chiaroscurali. Nonostante l’assenza di chiaroscuro, la linea di contorno chiude al suo interno forme morbide e voluttuose che hanno una intensa plasticità. Picasso gioca con gli opposti e con la linea leggera allarga gli spazi e crea i volumi riempiendoli di vuoto. Nell’assenza di plasticità le forme diventano leggere e creano morbide volumetrie. Nella fusione dei corpi avviene la “metamorfosi” in cui si annullano i limiti fisici e l’uomo si trasforma in energia cosmica acquisendo la conoscenza divina. In Ovidio le metamorfosi avvengono per mano degli dei. In Picasso la fusione dei corpi ha una valenza erotica che si avvale del mito di Eros e Thanatos e unisce in simbiosi non soltanto i corpi ma anche le anime, diventando esperienza assoluta. L’atto sessuale, punto limite di unione della fisicità, è allo stesso tempo il suo superamento perché diventa acquisizione dello spirito. Per lui l’antichità è il mistero, è l’inquietudine del mito e non un’arcadia. La linea è il limite tra finito e infinito, tra unità e molteplicità, tra amore e morte. Le metamorfosi si riallacciano al mito della creazione ma in chiave erotica. Nel 1926 Ambroise Vollard propone a Picasso di illustrare Il capolavoro sconosciuto di Balzac. Nel 1927 Picasso realizza 12 acqueforti per il libro dando forma ad un disegno che si esprime per chiaroscuri e si articola sul tema del pittore e della modella. In Picasso le acqueforti hanno un’unità figurativa e narrativa poiché c’è un’organizzazione spaziale tra le figure, una dialettica tra finito e infinito che crea la narrazione. Le figure non si fondono nello spazio ma lo scandiscono con la loro fisicità.

Pubblicato da Antonella Colaninno


FIABA E DESTINO


      
di Antonella Colaninno


Fiaba e Destino è il titolo di una trilogia di acqueforti e incisioni di Marc Chagall divisa per temi e ispirata a capolavori letterari. Realizzate tra gli anni '20 e gli anni '30 del secolo scorso, le acqueforti illustrano le ANIME MORTE dell'omonimo romanzo di N. Gogol del1842, LE FAVOLE di La Fontaine, e la BIBBIA. Chagall realizzò questo ciclo su richiesta del famoso mercante d'arte francese Ambroise Vollard. La trilogia seguiva un percorso espositivo per sezioni tematiche, ma con una propria unità narrativa nel suo insieme. Chagall infatti esplora la sfera istintiva e primitiva del mondo animale con La Fontaine, per proseguire verso la sfera dell'umano con Gogol e infine, verso una dimensione spirituale con la Bibbia. Le ANIME MORTE esprimono tutta l'anima russa di Chagall, la sua malinconia per la lontananza da Vitebsk (in quegli anni Chagall viveva a Parigi). Le incisioni di questo periodo sono cariche di umanità e di aspetti grotteschi, tipici dello stile dell'autore russo, sensibile a decrivere alcuni aspetti dell'animo umano. Le incisioni ispirate alle FAVOLE di La Fontaine non hanno un intento narrativo-moralistico e sono una semplice rappresentazione di quel mondo animale istintivo, ben lontano dall'umanizzazione del favolista francese. Le acqueforti ispirate alla BIBBIA ( "La colomba dell'arca", "Abramo piange Sara") propongono infine, figure dalla gestualità lenta, nell'intento di staccarsi dalla dimensione reale per volare verso l'eterno. In questa sezione, Chagall esprime tutta la sua natura di visionario e la stessa Bibbia è concepita come opera visionaria. La Bibbia è per lui una storia di uomini millenari che entrano in comunione con l'eterno. La grandezza dei personaggi che la rappresentano non è nella loro azione, ma nella spiritualità, perché l'uomo è un essere imperfetto, segnato dal peccato originale. La Bibbia chiude la trilogia e rappresenta l'epilogo di questo viaggio dell'uomo alla ricerca della fede e del senso della propria esistenza.

Pubblicato da Antonella Colaninno

venerdì 23 novembre 2012

LA FARMACIA NELLA TERRA DI FEDERICO II



di Antonella Colaninno
MOSTRA DI CERAMICHE, STRUMENTI, UTENSILI, RICETTARI DELL’ARTE FARMACEUTICA. 

Nelle librerie delle spezierie erano conservati i testi di farmacopea, prontuari che elencavano i principi chimici, la posologia, le indicazioni e le controindicazioni degli estratti medici. La mostra“La farmacia nella terra di Federico II” racconta attraverso i materiali esposti, la storia di più di un secolo di farmacopea (1892-2010). Nel 1892 venne pubblicata la prima farmacopea del Regno d’Italia scritta con rigore scientifico, mentre si ha testimonianza, a partire dalla seconda metà del 1500, dell'esistenza delle prime farmacopee sotto il controllo dell’autorità comunale, si pensi ai comuni di Bergamo, Piacenza, Torino, Parma, Venezia, Bologna e Mantova. Fu Federico II nel 1234 a vietare la professione del farmacista a coloro che non fossero autorizzati, “elevando gli studi in farmacia a livello universitario”. Sin dal XX secolo, la farmacia rappresentò sia l’officina che il luogo di vendita, come documentano una serie di utensili tra cui un reagentario completo di valigetta in legno che contiene ancora oggi tutte le boccette necessarie per le analisi chimiche, un cilindro in vetro graduato e una vecchia cassa con manovelle per i conti. Vecchi libri, boccette di vetro blu, fotografie d’epoca e una grande insegna Liberty arricchiscono il percorso della mostra, tra alchimie e preziose ceramiche dipinte. Una serie di albarelli di varia dimensione, datati dal XVI al XVIII secolo completano questo percorso tra scienza e artigianato. Ceramiche dipinte nei colori tipici del blu e dell’ocra su fondo panna e nelle tonalità del blu e del bianco si caratterizzano per il disegno di una figura di donna nella parte centrale o per la variante con emblema dell’ordine francescano (braccia incrociate su una croce). Alcuni albarelli riportano al centro l’emblema dei Carafa di Andria, dei santi Vito, Antonio e Nicola e della Vergine Maria. Una serie di albarelli di diverse dimensioni datati al XVIII secolo sono firmati Francesco Saverio Marinaro. Dipinti in ocra e blu cobalto rappresentano invece paesaggi fantastici con animali a simbolo di una natura libera e incontaminata. Tra gli esemplari più significativi, un'anforetta quadrilobata in ocra e azzurro di fine XVIII secolo e un’anfora biansata con scena di caccia alla cerva in primo piano, sullo sfondo di un paesaggio fantastico.

Pubblicato da Antonella Colaninno


sabato 17 novembre 2012

CAMERA WORK


di Antonella Colaninno

Vorrei consigliare, a chi come me ama la fotografia e non lo avesse ancora , la consultazione di un volumetto della Taschen intitolato Alfred Stieglitz Camera Work The Complete Photographs che raccoglie la serie completa dei fotogrammi di Camera Work di proprietà della Royal Photographic Society. 
Camera Work è stata una rivista trimestrale di fotografia fondata da Alfred Stieglitz (1864-1946) negli Stati Uniti nel 1903. La sua politica editoriale seguiva una linea progressista e prendeva le distanze dal vecchio pensiero conservatore che considerava la fotografia solo come un procedimento tecnico di rappresentazione della realtà. Fondatore di un vero e proprio movimento, Stieglitz volle dare così dignità artistica ad un nuovo modo di rappresentare l'immagine. 
La fotografia si pone come un occhio rivelatore delle grandi trasformazioni di un’epoca e del cambiamento estetico delle Avanguardie storiche, riuscendo a vedere oltre la semplice riproduzione tecnica delle cose raccogliendo le istanze del realismo del simbolismo, e della pittura in genere.             
Tra le immagini pubblicate nel volume: The Hand of Man di Alfred Stieglitz (1903). La locomotiva fumante, simbolo di progresso e di velocità ricorda il dipinto Passa il treno (1898) di Giuseppe De Nittis, esposto nelle sale dell'omonimo museo di Barletta. Sempre di Stieglitz, è pubblicata la fotoincisione dal titolo The Street-Design for a poster del 1903. Le raffinate immagini delle Cattedrali gotiche in stile normanno francese ed inglese del fotografo Frederick H. Evans, Ely Cathedral (1903) e Height and Light in Bourges Cathedral (1903) trovano un evidente riferimento nelle cattedrali di Franklin Booth. I ritratti di Alvin Langdom Coburn, Study-Miss R., Rodin e Bernard Shaw elaborano l’idea di ritratto in chiave moderna enfatizzando le sfumature psicologiche, allo stesso modo di Portrait (Miss N.) (riportata come foto di copertina del volume della Taschen) (1903) della fotografa Gertrude Kaseibier. Le atmosfere degli interni di Guido ReyThe Letter e A Flemish Interior entrambi del 1908, ricordano la preziosità dei dipinti del pittore olandese Jan Vermeer, mentre la sensualità raffinata dei nudi di W.W.Renwick (1907) e di Alice Boughton, Sand and Wild Roses, (1909si ispirano all’esotismo di Gaugin.  




In foto:  W.W.Renwick, Alice Boughton e Baron A. de Meyer

Pubblicato da Antonella Colaninno



giovedì 15 novembre 2012

TUJSCANY SKETCHBOOK



di Antonella Colaninno

Tra i libri della mia biblioteca  c'è un piccolo volume scritto in lingua inglese, rifinito in una veste grafica raffinata ed elegante. Tuscany Sketchbook di Huck Scarry edito da Mondadori nel 2002, è un libro interamente illustrato, che molti di voi conosceranno e avranno sicuramente sfogliato. La copertina cartonata rigida è illustrata da un bellissimo acquerello che raffigura uno scorcio di Firenze antica con la cupola di Brunelleschi di Santa Maria del Fiore e Palazzo Vecchio in primo piano. Il volume è dedicato alla Toscana e fa parte di una serie di quattro diari di viaggio illustrati dedicati alle città di Roma, Napoli, Venezia e Firenze. Huck Scarry è un acquerellista illustratore nato nel Connecticut nel 1953, figlio d’arte del famoso illustratore Richard Scarry. “You can’t do a book on Tuscany!” Geoffrey said, “You’ll never finish…it’s a whole country!” “…he was right…Tuscany is too rich in beauty…If I went to draw in Siena, then how could I neglet Pisa, Lucca, and Arezzo? If I spent time in Maremma, then why not in the Mugello? And don’t forget Florence. Each region, each city is distinct, unique, and equally essential”. “So, this Tuscany Sketchbook soon became A Tuscan sketchbook”, un libro che Scurry definisce “…pathetically incomplete, but it is authentic, and mine”. Scurry non disegna I suoi soggetti ritraendoli dalle foto, ma preferisce piuttosto tracciare uno schizzo incompleto dei ricordi della propria memoria visiva: “For me a drawing done from a photo is, at very best, a counterfeit photo”. “A good drawing must have life. And what is life than unflagging imperfection?”. Scarry ha visitato la Toscana pedalando tra le “dolci colline”, tra i castelli e le fattorie delle città e delle campagne, tra Villa la Gamberaia, Sant’Angelo in colle e San Gimignano, attraversando le piazze e i sentieri, dal Battistero, alla Cattedrale di Siena sino ai Monti del Chianti e alla Chiesa di San Lorenzo in Firenze, passando per Cerreto, Volterra e l’Abbazia di Sant’Antimo .
Un invito a deliziarvi in questa piacevole lettura illustrata!

Pubblicato da Antonella Colaninno

POEMES ET DESSINS DE LA FILLE NEE SANS MERE





 di Antonella Colaninno

Tra gli scaffali della mia libreria ho trovato una vecchia edizione della Giulio Einaudi datata 1990, una raccolta di poesie di Francis Picabia (1879-1953), con testo a fronte in francese, tradotto da Diana Grange Fiore, intitolata Poesie e disegni della figlia nata senza madre – Poèmes et dessins de la fille née sans mère. Leggo sul retro copertina che si tratta di una raccolta pubblicata a Losanna nel 1918. Probabilmente il titolo vuole essere metafora di una libertà figlia dei suoi tempi che si ribella alla retorica..Questa raccolta fa parte di una vasta attività letteraria iniziata nel 1913 di Francis Picabia che si affianca alla sua primaria vocazione di artista. Ho pensato di riportare qui di seguito alcuni versi che esprimono la personalità inquieta e visionaria di uno degli artisti più complessi del Novecento che riesce a modellare le parole in senso plastico e a renderle allo stesso tempo leggere nell'idea di un senso infinito dello spazio e del tempo.

BOCCHE

Azzurro avorio il tuo corpo
Amore a due mani
Dormi?
Amica mia diletta
Ogni sera sul petto
Del nostro amore

ANEDDOTO

Sapete, sono pazzo a immaginarmelo
Sono un uomo di agili dita
Che vuol tagliare i fili delle vecchie pene
False pieghe del mio cervello ansioso
Storie ad arabesco ricordi
Sono felice soltanto in alto mare
Dove si va più lontano
Sulle onde anonime

OGNI GIORNO
La notte splende come foglie di vetro
Ho capito
Le foglie si coprono di nuvole
Avventura nuova
Tutta nuova la notte
Che dondola in aria come una stampella
Inferma
Me ne sto in casa sopra una scaletta.

Pubblicato da Antonella Colaninno


martedì 13 novembre 2012

ROMA AL SOLE




di Antonella Colaninno

E’ un po’di tempo che mi lascio affascinare dalle parole scritte dai grandi pittori, quasi che la penna sostituisse le setole del pennello nel decifrare emozioni. Roma al sole è una raccolta di scritti di Filippo de Pisis, pseudonimo di Luigi Tibertelli, che risale al periodo che l'artista trascorse nella capitale a partire dal 1920 (anno della sua prima mostra da Bragaglia), un diario che racconta luoghi e incontri nella quotidianità della vita romana. A Roma de Pisis ebbe un’intensa vita professionale ma soprattutto un’emozionante vita privata, “quasi segreta”. Era affascinato dalle chiese barocche e dai quartieri popolari dove “[…] ha continui incontri inaspettati e rivelazioni di una realtà “metafisica”e magica che non avrebbe mai supposto nel chiuso del suo palazzo ferrarese.” Roma rappresenta per l'artista la libertà, la possibilità di riscattarsi dalle delusioni del periodo giovanile e da un percorso scolastico non brillante, esperienze di vita che lo avevano reso ostile e distante al mondo esterno. Ferrara era stata la città dei suoi esordi letterari, qui infatti collaborava con le testate locali filo cattoliche, finanziate dal conte Grosoli. A cause di alcune posizioni anticlericali assunte dalla Gazzetta Ferrarese, de Pisis prenderà il nome del suo antenato Filippo de Pisis, per non mettere in difficoltà il buon nome della famiglia di ferrea tradizione cattolica. Il suo pensiero infatti, si identificava sia nella cultura cattolica e sia nella tradizione liberale, entrambe sostenute da un sentimento di antipatia verso il socialismo e il futurismo che rinnegavano sia il pensiero cattolico che quello liberale. “E’ in questi articoli che si preannuncia la svolta metafisica della pittura italiana postfuturista.” Roma al sole raccoglie una serie di pensieri che sono stati annotati sul retro di fogli già scritti per l’avversione che de Pisis aveva per la carta bianca. Sono stati pubblicati alla morte dell’autore da Bona de Pisis, nipote, nonché erede universale dell’artista che li ha affidati a Sandro Zanotto, critico d’arte e studioso di de Pisis scrittore.

Pubblicato da Antonella Colaninno

17.1.921 Nella strada tragica della vecchia Roma dove abito, tornando stanco sul meriggio, da una porta scura, da un interno pauroso di una vendita di carbone, nella luce santificata (incerta) vidi volare una colomba bianca. Si posò con un legger brivido in terra. In quell’attimo in cui la guardai con tenerezza, il mondo con le sue tristi miserie era scomparso per me. Oh incanto di puro cuore! (Filippo de Pisis)

13.IX.921 Ce n’è uno fra gli angeli bianchi sul ponte che in certa luce verso il tramonto assume una espressione così molle e provocante da farmi delirare. Angelo galeotto! I contorni si intagliano nel cielo limpido e fondo, come profumato il panneggio si alleggerisce in pieghe fluttuanti come fosse di velo e le membra prendon rilievo e corpo, e tenerezza di carne, la sua posa diviene lasciva. Penso alle ballerine romantiche, i riccioli attorno alla fronte e al bello ovale son come scossi dal vento. La bocca à una dolcezza di testa antica e gli occhi abbassati sembran tremare di voluttà, i piedi e le mani lunghe, affusolate, ànno leggeri brividi. L’angelo, a me, che lo guardo intensamente sembra muoversi a pena, sollevarsi leggero…Svenire di delizia…e di desiderio. Angelo galeotto!..(Filippo de Pisis)

24.VI.922 IL COLOSSEO. Non lo avevo mai goduto come stanotte. Mi apparve una mirabile visione sotto il cielo di zaffiro splendente. Il marmo aveva anche biancore di latte, luminosità madreporiche magiche. Negli archi gravi vidi accendersi e spegnersi lucide stelle, come fosforescenze marine inghiottite da una balena, e l’aria d’attorno pareva profumata di gardenia. Sentii nell’armonia architettonica della masse la grazia di un corpo umano, essa penetrò in me come un canto, come una voce amata, e la sentii fluire nel sangue e feci l’atto di serrare le braccia come per stringerla al petto.(Filippo de Pisis)

DINA VIERNY LA MUSA DI UN'EPOCA





di Antonella Colaninno

Artedossier, nel numero di luglio-agosto 2010 dedica un bellissimo articolo di Alba Romano Pace alla figura di Dina Vierny dal titolo La Musa di un’epoca

“Modella di Maillol, ma anche di Bonnard e Matisse, coraggiosa protagonista della Resistenza francese, Dina Vierny influisce sull’arte del tempo anche con l’attività della sua galleria parigina e, infine, con la creazione di un museo dedicato al suo mentore”. Dina Vierny è stata un’indiscussa protagonista del nostro tempo. Mecenate dell’arte, fondatrice del Musèe Maillol-Fondation Dina, eroina della Resistenza francese. Immortalata dagli scatti di Pierre Jamet, la Vierny è stata la Musa ispiratrice di Aristide Maillol, Pierre Bonnard e Henry E. B. Matisse. Nata a Kichinev nel 1919 da una famiglia di intellettuali, Dina alterna lo studio all’attivismo politico di sinistra antifascista, diventando il simbolo della gioventù socialista. A Banyuls-surmer, villaggio sui Pirenei che aveva dato i natali a Maillol, la Vierny collabora alla resistenza anti nazista aiutando i fuggiaschi ad oltrepassare il confine. Anticonformista e amante della natura, sosteneva che la sua “ […] era una gioventù che cercava la purezza, che andava incontro alla natura…” “…Indossavo gli short nel 1936, quando nessuno li indossava. Sono andata così nel metrò e mi hanno urlato contro!”.
Sarà Maillol ad insegnarle a vedere la bellezza di un’opera e ad amare l’arte, a sentire quell’energia che respira sotto la superficie scultorea. Dal 1934 al 1944 (anno della sua morte) Dina sarà la sua modella, “Maillol non abbiate paura di chiedermi di abbandonare i vestiti. Sono iscritta agli Amici della natura, fa parte della mia generazione. Nudità è purezza."
A lei Maillol dedicherà le sculture monumentali, dai busti alla nudità completa, un omaggio alla grazia e alla sensualità della sua figura morbida e del profilo espresssivo. 
La Vierny sarà arrestata e poi liberata grazie all’intercessione di Maillol che preferirà farla allontanare per un po’ di tempo. Sarà proprio in questa occasione che avverrà l’incontro con Pierre Bonnard e Matisse, entrambi affascinati dalla sensualità della Verny a tal punto da ritrarre la sua bellezza in opere come Nudo scuro di Bonnard. 

Non trascorrerà molto tempo che Maillol la richiamerà a sé, ma sarà imprigionata nuovamente a Fresnes e, ancora una volta, liberata da Maillol. Dina deciderà anche su consiglio di Matisse, di aprire una galleria nel 1947 a Saint- Germain-des-Près dove esporranno i grandi artisti delle avanguardie, dai surrealisti agli astrattisti. Aprirà inoltre una libreria notturna e diversi caffè. Dina è stata anche una grande collezionista e ha contribuito a diffondere la fama di Maillol curando le esposizioni delle sue opere in tutto il mondo; nel 1964, donerà ben venti sculture dell’artista per i giardini delle Tuileries di Parigi. Alla morte del figlio dello scultore, nel 1972, rimasta unica erede, darà vita ad un museo a Palazzo Boucheron che dirigerà fino al 2009, anno della sua morte, che ospita le opere di Maillol, le opere della collezione dell’artista e quelle della sua collezione personale. Pierre Bonnard ha ritratto la conturbante sensualità della Vierny, Pierre Jamet la freschezza mentre Maillol coglierà gli aspetti più malinconici ed intellettuali accanto alla sua naturale sensualità che lo sedurrà a tal punto da farlo innamorare. Il plasticismo suadente delle sue sculture saprà cogliere invece gli aspetti più meditativi di una personalità dolce e coraggiosa “che ha vissuto tutta la vita nell’arte e per l’arte, animata dal più nobile dei sentimenti: quello dell’altruismo e della condivisione”. 


Nella foto in alto Maillol e Dina Vierny (gennaio 1944) in uno scatto di Louis Carre.

Pubblicato da Antonella Colaninno






THAMES & HUDSON LA CASA EDITRICE DEI DUE DELFINI




QUANDO UNA STORIA D'AMORE DIVENTA LA STORIA DI UN SUCCESSO IMPRENDITORIALE...






di Antonella Colaninno 

Nel campo dell’editoria d’arte la THAMES & HUDSON rappresenta un cliché d’autore di eccellenza e di professionalità. Fondata nel 1949, la sua storia è un po’ un romanzo, nata da una storia d’amore di due ebrei durante le persecuzioni naziste. Eva Zimmermann e Walter Neurath che si sarebbero sposati nel 1953, fondarono la loro casa editrice mentre erano in vacanza in Francia, aprendo gli uffici sia a Londra che a New York. Il nome THAMES & HUDSON fu suggerito dai due fiumi come anche il logo dei due delfini rivolti verso Est ed Ovest ad indicare ormai, l’unione tra vecchio e nuovo continente. Eva e Walter entrambi con un precedente matrimonio alle spalle, erano fuggiti rispettivamente da Berlino e da Vienna nel 1938 diretti verso l’Inghilterra. Qui Neurath, che aveva trovato un impiego presso la Adprint una società editoriale, fu relegato sull’isola di Wight come nemico straniero dove era stato imprigionato anche Wilhelm Feuchtwang, marito di Eva che nel frattempo, viveva di stenti, sostenuta solo da una piccola somma che le dava un ente assistenziale. Neurath fu rilasciato e conobbe così, Eva facendo da messaggero tra lei e suo marito prigioniero. Tra i due nacque un’attrazione che si trasformò in una relazione. Eva incominciò a lavorare per la Adprint ed il resto è storia. Dalla morte di Walter avvenuta nel 1967, Eva è stata Presidente della casa editrice sino al 1999, anno della sua morte. Ad oggi l’incarico è ricoperto dal figlio Thomas presidente del Cda che ha fatto della THAMES & HUDSON un vero e proprio impero, aprendo uffici a Melbourne, Parigi, New York e Singapore con ben 200 dipendenti in tutto il mondo. La storia della Thames & Hudson rappresenta un importante riconoscimento dell’imprenditoria al mondo dell’arte e della cultura.

Nella foto: Walter Neurath ed Eva Zimmermann alla National Gallery di Londra davanti a due autoritratti di Rembrandt


Pubblicato da Antonella Colaninno