Nudo di donna EGON SCHIELE















lunedì 28 novembre 2011

PIET MONDRIAN LA REALTA’ DELL’ASTRAZIONE





Il Neoplasticismo di Piet Mondrian (Amersfoort, Olanda 1872 – New York, 1944) annulla le forme e traduce il movimento sui piani che si incrociano tra le linee rette. 
La semplicità del mezzo plastico bilancia il ritmo mentre le note del Jazz suonano sui colori che si segmentano nelle tonalità, dando ritmo alle dissonanze delle sue melodie. 

“L’arte è necessità”, non rappresenta l’apparenza della realtà ma è l’espressione della vera vita, quella che corre sulla tensione, sull’armonia e sugli equilibri immutabili. Un percorso incentrato sulla spiritualità che passa attraverso la rappresentazione figurativa della realtà e la visione simbolica delle cose tra cui gli alberi sono il limite di questa ricerca che si conclude con il passaggio dal visibile all’immutabile, dal plasticismo all’astrazione. Gli esordi artistici di Mondrian si collocano vicino alla tradizione della scuola dell’Aia con la sua pittura realistica dai toni tenui e dalle pennellate morbide. L'artista aggiunse uno sguardo più profondo per scrutare oltre i limiti del visibile, verso una interpretazione simbolica della realtà. 

Importante fu il suo trasferimento dai Paesi Bassi a Parigi a seguito della visione ad Amsterdam, delle opere cubiste di Picasso e di Braque. A Parigi la sua pittura si tradusse in un linguaggio cubista a cui seguì la svolta definitiva verso l’astrazione. Dopo un ritorno nei Paesi Bassi durante la prima guerra mondiale, Mondrian si trasferì nuovmente a Parigi dove maturò la sua ricerca astratta nelle composizioni di linee rette e di superfici in rosso, giallo e blu (colori primari) e di spazi di non colore ( bianchi, neri e grigi). Queste composizioni segneranno il suo stile inconfondibile e traduranno nel segno il ritmo della musica Jazz, espressione profonda dei cambiamenti di un’epoca ormai proiettata nel dinamismo e nella vertigine della contemporaneità.

Scritto da Antonella Colaninno

Mondrian
L’ARMONIA PERFETTA
8 ottobre 2011 19 gennaio 2012
Complesso del Vittoriano, Roma

domenica 27 novembre 2011

GEORGIA O’KEEFFE






Georgia O’ Keeffe (Sun Prairie, 1887-Santa Fè, 1986) è una voce originale nell’America del grande cambiamento tra modernismo e aspirazione romantica. L'artista percorre i sentieri dell’inconscio alla ricerca di una dimensione sensoriale che rivendichi le ragioni umane di una società in trasformazione. Il senso della natura esprime la femminilità in una forma macroscopica piena e sinuosa che evoca la sessualità femminile. Queste originali composizioni floreali a tutto campo, dove il fiori sono romantiche architetture metafisiche di città surreali, trasformano il linguaggio dell'immagine che si rinnova così nella forma e nella composizione lasciando che sia l’imponenza dell’architettura a prevalere sul campo visivo. 

Nell’opera “In the Patio 1” del 1946, la sensualità di un tenue color cipria invade gli spazi accarezzandone le superfici. I colori esotici e la dimensione delle forme evocano l’effimero e l’instabilità di uno spazio surreale.

Presso le sale del Museo Fondazione Roma in Palazzo Cipolla, 60 opere provenienti dal Georgia O’Keffee Museum di Santa Fe in Nuovo Messico presentano la prima retrospettiva storica in Italia dell’artista americana Georgia O’Keeffe, a cura di Barbara Buhler Lynes. La O’Keeffe, nata nel Wisconsin, si trasferisce a New York dove conoscerà il celebre fotografo e gallerista Alfred Stieglitz, autore di alcuni suoi ritratti fotografici, che sposerà nel 1924. La mostra comprende anche alcune opere provenienti dal Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, dalla National Gallery of Art di Washington, dal Whitney Museum of American Art di New York, dal Philadelphia Museum of Art e da importanti collezioni private.

Scritto da Antonella Colaninno

Georgia O’Keeffe
dal 4 ottobre 2011 al 22 gennaio 2012
Fondazione Roma Museo, Palazzo Cipolla
Via del Corso, 320
Roma

AUDREY A ROMA





Il Museo dell’Ara Pacis di Roma dedica una retrospettiva fotografica a Audrey Hepburn (Bruxelles, 4 maggio 1929-Tolochenaz, 20 gennaio 1993) con una serie di scatti che documentano il suo periodo romano. Venticinque anni trascorsi a Roma tra maternità, cinema e moda illustrano la vita di una donna e di una attrice tra momenti di vita privata e riprese sul set. Immagini corredate da ricche didascalie si arricchiscono di un video e di teche espositive con gli abiti indossati dall'attrice e firmati dalle più prestigiose griffes internazionali. Le fotografie raccontano la vita intensa della Hepburn vissuta con elegante semplicità, una donna che ha portato il suo stile e la sua grazia nel mondo. 

Una diva dalla profona umanità che ha dedicato l'ultimo periodo della sua vita alla causa dei bambini africani, diventando Ambasciatrice di buona volontà per l'UNICEF. 
La mostra si propone di raccogliere fondi da devolvere in beneficenza all’UNICEF per combattere la mortalità infantile secondo quanto espresso dalla Audrey Hepburn Children’s Fund e dal Club degli Amici di Audrey. Una mostra che fa riflettere sul senso della vita e della bellezza. 


Scritto da Antonella Colaninno

Audrey a Roma
26 ottobre 4 dicembre 2011

Museo dell’Ara Pacis
Lungotevere in Augusta
Roma

sabato 12 novembre 2011

SALVATORE SETTIS FUTURO DEL “CLASSICO”





L’antichità non ci è data in consegna di per sé – non è lì a portata di mano; al contrario, tocca proprio a noi saperla evocare. NOVALIS


Salvatore Settis (Rosarno, 11 giugno 1941) ipercorre in questo libro, un viaggio nel tempo sulle strade della storia dell’arte dalla classicità al postmodernismo, osservando i percorsi del classico e del classicismo. L'idea dell'antico si rinnova e viene riletta in età moderna come citazionismo. E’ sul classico greco e romano che si creano i lessici dell’arte e della cultura dei secoli a seguire che spesso si costruiscono su alcune deduzioni del classico e su una dialettica tra architettura e ornamento dove l’una prevarica l’altra nascondendone la fisionomia e legittimando la celebre citazione “l’ornamento è delitto” dal titolo della conferenza di Adolf Loos del 1910 Ornament und Verbrechen. Il riuso del classico fa riflettere sulla sua volgarizzazione e sulla sua vasta fruizione che ne hanno determinato la banalizzazione nella poetica del postmoderno.
Classico e classicismo hanno una origine antica e nel tempo i loro significati si sono allargati a diversi orizzonti di interpretazione. L’analisi di Settis solleva domande sulle relazioni tra classico e classicismo, sulla classificazione geografica di classico all’interno della sola area occidentale e sulla possibilità di considerare tante culture classiche in una prospettiva mondiale. La ricchezza della classicità ha lasciato però, un vuoto nella cultura moderna, dimenticata non solo sui banchi di scuola ma anche tra gli intellettuali. “Il passato si appiattisce sul presente” ponendo inevitabilmente la domanda se esso abbia oggi un senso nella contemporaneità che invece, tende piuttosto ad interrompere la “compattezza” del classico e ad estrapolarne solo dei frammenti.
Ma si può parlare di classicità greco romana o le due civiltà furono culturalmente agli antipodi? Cultura greca e cultura romana devono considerarsi anche alla luce della conquista romana sulla civiltà greca, in quanto i romani sostiene Settis, hanno fatto un lavoro di mediazione e di fondamento politico e militare che ne ha permesso il radicamento e la diffusione “nello spazio e nel tempo”, nonostante la perdita dell’autenticità. La cultura politica romana permise la trasmissione della classicità nel tempo non solo attraverso Bisanzio, ma anche nella continuità del Sacro Romano Impero con Carlo Magno, Federico II, Carlo V fino a Napoleone. E’ ben noto che l’arte romana espresse un carattere originale ed uno di imitazione, dal ritratto fisiognomico che rileva i tratti della personalità alla così detta copia romana di originali greci, una vena “classica” ed un aspetto “plebeo” (Bianchi Bandinelli). Grazie alle copie romane è stato possibile conoscere gli originali greci e i capolavori di artisti come Policleto e Mirone. Molte opere infatti, andarono perdute durante la guerra del Peloponneso che distrusse anche le polis e la loro democrazia. Settis pone a confronto il rigore del pensiero di Winkelmann che considerava l’arte romana con la sua rappresentazione illusionistica della realtà, come la fase decadente dell’arte greca, di cui esauriva il naturalismo, con la visione della scuola viennese di Franz Wickhoff e Alois Riegl che vide nell’arte romana l’inizio di un nuovo linguaggio originale (Kunstwollen) che passerà attraverso il Medioevo sino all’età moderna. Winkelmann tra l’altro, idealizzava la classicità greca nella quale ritrovava non solo una forma d’arte che interpretava la realtà, ma un “ideale etico ed estetico” basato sulla libertà e sull’illuminazione dello spirito e della mente. Per Winkelmann, scrive Settis, l’Atene democratica e classica…apriva le porte alla libertà dei moderni”, ma i moderni finirono per interpretarla in altro modo e non compresero il valore estetico dell’arte che contribuiva ad infondere un senso di libertà nell’individuo. Il modello antico (il termine “classico” entrò in uso solo in XIX secolo) nell’arte diventa un “elemento lessicale ricorrente” nel suo linguaggio universale ma, si veste di contenuti diversi, come la nudità nell’iconografia cristiana. L’autore pone anche una riflessione sul valore interpretativo di classico e moderno, una dialettica che si affermò nei secoli XIII e XIV e che non considera solo un ambito cronologico, ma quella volontà di far rivivere nel presente le qualità dell’antico. Al contrario, la modernità veniva intesa come superamento dell’antico e veniva essa stessa definita antica quando questa raggiungeva la perfezione del passato. Essere moderni significava essere “intrisi d’antico e nutriti di coscienza antiquaria”. Nelle arti figurative Giotto rappresentò l’inizio di uno spirito moderno, di una nuova maniera che seppe costruire uno stile attraverso la conoscenza dell’antico e che ebbe il suo massimo splendore nel Rinascimento. Resta comunque difficile poter circoscrivere il termine classico ad un solo significato e ad un’unica unità tematica e spazio temporale. La riflessione di Settis resta circoscritta all’ambito greco romano e all’ “apogeo della civiltà classica”. Il classico non va congelato in una dimensione lontana o imbalsamata “in immobile icona” ma compreso in “quel suo iterato morire e rinascere” che è “la forma ritmica della storia culturale europea”. Esso rappresenta la dimensione ideale per un confronto tra le culture poiché esso stesso fu luogo di “antichi scambi interculturali”.
“Quanto più sapremo guardare al “classico” non come una morta eredità che ci appartiene senza nostro merito, ma come qualcosa di profondamente sorprendente ed estraneo, da riconquistare ogni giorno, come un potente stimolo a intendere il “diverso”, tanto più da dirci esso avrà nel futuro. Anche il “classico”, saremmo tentati di dire, ha perso e sta perdendo molte battaglie. Non però la guerra.” (Salvatore Settis)

Scritto da Antonella Colaninno

Futuro del “classico”

Salvatore Settis
Giulio Einaudi editore 2004