Nudo di donna EGON SCHIELE















sabato 23 gennaio 2016

"L'ARTE MIA" DI FRANCESCA ALINOVI, UN PERCORSO STORICO CRITICO




“Quando McLuhan, quasi vent’anni fa, scrisse lo straordinario Understanding Media, nel delineare i caratteri della megalopoli elettronica del futuro, fondata sull’informazione […] previde che il nuovo oggetto principale di produzione  e consumo sarebbe stato non più il possesso economico dei beni, bensì l’attività di apprendimento. […] “l’acquisizione di un sapere sempre più vasto e qualificato viene a costituirsi come la nuova forma di impiego principale” Francesca Alinovi  

di Antonella Colaninno

Se pur in un breve arco di anni, prima della tragica scomparsa nell’estate del 1983, Francesca Alinovi è stata la voce più significativa e ispirata della nuova generazione di critici e artisti chiamati a caratterizzare la cultura del nostro fine secolo. Il suo pensare in arte, verso ogni manifestazione e declinazione artistica, ha superato le frontiere del pregiudizio e della discriminazione intellettuale.  La sua ricerca, spinta verso la liberalizzazione del pensiero, ha cercato di rilevare quanto la creatività fosse un campo mentale aperto, tra cultura alta e comunicazione massmediatica. Francesca Alinovi aveva un “entusiasmo da pioniera dell’arte”. E’ stata protagonista della storia delle avanguardie anni  ’80, ma purtroppo la cronaca nera, il delitto efferato hanno offuscato la memoria della studiosa, che è stata un ponte tra la New York dei graffiti e la New wave italiana. I suoi soggiorni a New York rappresentarono un momento importante di apertura della ricerca oltre frontiera e  rilevarono la possibile connessione culturale tra le diverse aree geografiche, “per un naturale rapporto di simpatia tra i giovani artisti europei e americani (e in particolare tra italiani e americani)”.

L’arte mia è una raccolta di brevi saggi scritti dall’Alinovi e pubblicati in un volume edito dalla casa editrice il Mulino, un anno dopo la sua morte, nel 1984. Il volume esordisce con un saggio dal titolo “New York: città della conoscenza o città del -Kitsch-?” nel quale la critica d’arte riflette sul rapporto tra società ed estetica e prende in esame il pensiero quasi profetico di Picabia e di Duchamp, “ideatori dell’arte concettuale”, che sostenevano che la macchina fosse il tramite espressivo dell’arte e che New York sarebbe diventata la residenza permanente degli artisti. ”New York ", scrive Francesca Alinovi, "è il modello della città estetica ideale […], essa funziona più che come città industriale di tipo moderno, come città futuribile della conoscenza e della sensazione […], incarna la Knowledge City pronosticata da Daniel Bell […], si qualifica anche come la città Kitsch per eccellenza, analoga al paradiso delle merci descritto da Abraham Moles come emblema della nuova società affluente”. “In altre parole New York si presenta come una  palestra della sensazione, oltre che della conoscenza.”
Ma  L’arte mia, (che da il titolo oltre che alla raccolta di saggi, anche a un saggio del volume), è quellarte “del saper stare in mezzo: in mezzo tra le varie discipline artistiche […], non perché nel mezzo risiede la virtù, ma perché negli interstizi vuoti tra i diversi campi si annidano, come tra gli anelli di Saturno, le forze di energia più intense e sconosciute.” “L’arte MIA è dunque l’arte della creatività del singolo, autonomo, che si collega a tanti altri individui, autonomi, per ricavarne un allargamento e un potenziamento indefinito di sé.” L’arte Mia è “una prospettiva esaltante” che sostiene la libertà dell’artista di cercare un proprio ruolo creativo, ed “è l’arte delle identità fluttuanti e dissolte”, dove ogni singola identità partecipa “dell’Altrui e della Collettività”. “Liberi da tendenze e da stili, […] gli artisti oggi fanno ciò che vogliono.”  “Il MIO di ciascun individuo ha senso e valore solo se è sintonizzato con il mio di tutti gli altri , se comunica cioè, con il tutto”. Secondo quanto sostiene la studiosa, sarebbe nato un nuovo “stile internazionale”, un nuovo “Gotico internazionale” “anch’esso ricchissimo, felice, e non per nulla “fiorito”, con cui si chiuse l’epoca medievale e si aprì l’era moderna. Oggi il post modernismo assomiglia sempre più a un neo medievalismo di ritorno […]”. Il Post modernismo infatti “esclude per principio l’introduzione del nuovo, dell’imprevisto e del l’ignoto, attenendosi scrupolosamente ad un criterio coerente e scontato di rivisitazione del passato e di citazionismo dalla storia […]”. L’espansione dell’arte tra stili e discipline trova inoltre nella performance la modalità di proiezione dell’inconscio dell’artista verso l’esterno, “come una dilatazione epidermica della sua pelle superficiale” che riscopre l’autenticità del gesto. 

Il volume raccoglie, tra gli altri, saggi come “LE DUE VIE DI PIERO MANZONI” che rappresenta,  ancora  oggi, l’analisi critica forse più profonda scritta sul giovane artista, “FRONTIERE DI IMMAGINI”, una riflessione sulle affinità elettive tra arte e fumetto, e “NATURA IMPOSSIBILE DEL POST-MODERNO” nel quale la studiosa riprende il pensiero del teorico del postmodernismo Daniel Bell  per il quale la nuova società è basata “sulla codificazione del sapere entro sistemi simbolici astratti “, modelli di simulazione che, per mezzo del computer, consentono di ottenere “esperimenti controllati su vasta scala nelle scienze sociali”. Nei tre paragrafi del saggio la studiosa pone un termine di paragone tra idea contro natura, tecnologia contro natura e infine tra natura contro natura. 


Pubblicato da Antonella Colaninno



mercoledì 20 gennaio 2016

BALTHUS



di Antonella Colaninno

Nello studio di Balthus (1908-2001) a Villa Medici c’era anche la giovane Michelina, la piccola adolescente che negli anni Sessanta posava per l’artista nella stanza illuminata da una “luce bellissima” a cui si giungeva percorrendo il viale degli aranci. Attraversava il giardino e bussava “alla bella porta rosa” oltre la quale c’erano pochi mobili, una sedia di velluto verde e “un profumo di fiori di tiglio”. E’ proprio Michelina Terreri a raccontarlo in un’intervista del 1999 realizzata dal fotografo Lewis Baltz. I ricordi della bambina evocano gli ambienti dell’atelier che Balthus utilizzava per disegnare e quelli della stanza della pittura, pervasa “dall’odore pungente dei colori”, e stravagante come il laboratorio di un alchimista che qui “prepara formule magiche.”

La retrospettiva romana propone a Villa Medici in anteprima, un frammento di questa intervista. Balthus fu infatti il direttore dell’Accademia di Francia per 16 anni dal 1961 e si interessò dei restauri della villa. Riportò alla luce sulle pareti alcuni affreschi del Cinquecento e intervenne sulle superfici con sfumature di colore applicate nella stessa modalità della pittura. La mostra romana si estende anche nelle sale delle Scuderie del Quirinale, in un percorso doppio che presenta nell’allestimento dipinti, disegni e fotografie. La sospensione temporale e le raffinate atmosfere surreali fanno di Balthus un artista snob, distaccato dalle emozioni e dalla dimensione reale, noioso per alcuni quanto irriverente per coloro che non sono in sintonia con le sfumature di pensiero di una personalità intellettuale e sofisticata. Un artista interessato a ritrarre non gli slanci psicologici ed emozionali dei suoi soggetti, ma le proporzioni delle forme del corpo che diventa “oggetto da disegnare.” Le presenze umane si vestono di un’aura metafisica e si fissano sullo sfondo velato tra misteriose prospettive. 

Balthus (Balthasar Klossowski de Rola) era interessato alla pittura del Quattrocento che ben conosceva, oltre a possedere “il segreto di legare le polveri agli smalti”. Era anche un esperto di materiali dell’epoca e delle tecniche antiche (conosceva il “bruno di mummia” estratto dalle mummie egizie ed usato nell’antichità). Ispirato dagli artisti del passato e in particolare da Piero della Francesca, l’artista ha sviluppato una poetica originale ricca di simboli e di rimandi iconografici, caratterizzata da una particolare staticità surreale. Nacque a Parigi da padre polacco, noto critico d’arte, e da madre di origini russe, pittrice e “animatrice di importanti salotti culturali”. Compì numerosi viaggi in Europa, che contribuirono alla sua solida formazione figurativa che attinse alla pittura del Rinascimento toscano quanto alla Metafisica, al Realismo magico e alla Nuova Oggettività tedesca, unendo così la cultura mitteleuropea alla tradizione italiana. La linea pulita e morbida della pennellata e i segreti che i suoi personaggi sembrano nascondere allo sguardo dell’osservatore, svelano un erotismo innocente e al tempo stesso impudico, nella nudità svelata e nelle sfumature di colore intriganti e sensuali.

Pubblicato da Antonella Colaninno


In foto: PEAR; NUDI DI PROFILO; LES ENFANTS BLANCHARD, 1937; LE ROI DES CHATS, 1935; BALTHUS.