Nudo di donna EGON SCHIELE















lunedì 19 dicembre 2011

CESARE BRANDI TEORIA DEL RESTAURO




Quanti di noi ricorderanno le pagine di questo testo imprescindibile nella propria formazione storico artistica e non solo. Il volume raccoglie il lavoro svolto da Cesare Brandi all’Istituto Centrale del Restauro di cui è stato il direttore. Un libro che espone la teoria del restauro sulla base di enunciati e di considerazioni estetico filosofiche basilari per la metodologia di intervento. 

Il restauro deve mirare al ristabilimento della funzionalità, nonostante questo rappresenti “un lato o secondario o concomitante e mai quello primario e fondamentale che ha riguardo all’opera d’arte in quanto opera d’arte” e cioè, come "[...] un prodotto della spiritualità umana”. L’opera d’arte non si rappresenta solo sulla base della propria esistenza ma anche perché è parte della vita di ogni individuo, vive nella esperienza estetica individuale di ciascuno. Ed è lì, in quella esperienza estetica individuale che da prodotto umano “si ricrea” come opera d’arte. Prima di questa esperienza, l’opera d’arte lo è solo potenzialmente e solo dopo questo riconoscimento si può pensare all’intervento di restauro. Secondo quanto afferma Cesare Brandi è l’opera d’arte a condizionare il restauro e non il contrario.“Il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro.” Brandi sostiene che come prodotto umano l’opera d’arte ha una duplice istanza, storica ed estetica. La prima riguarda il suo tempo e il suo luogo, ma anche il tempo e il luogo delle singole esperienze, mentre la seconda riguarda il suo riconoscimento artistico. La “sua consistenza fisica” è la rivelazione nella materia dell’immagine, è la sua epifania che consente il riconoscimento estetico e rende il restauro indispensabile per la trasmissione della stessa al futuro. Ogni esperienza estetica individuale “appartiene alla coscienza universale.” L’opera d’arte è essa stessa la testimonianza dei tempi storici in divenire che vivono nella universalità del tempo e rappresentano il suo passato, la sua storia e il momento del riconoscimento come opera d’arte. Di qui, Brandi deduce che 1) “si restaura solo la materia dell’opera d’arte; che 2) “il restauro deve mirare al ristabilimento della unità potenziale dell’opera d’arte, purchè ciò sia possibile senza commettere un falso artistico o un falso storico, e senza cancellare ogni traccia del passaggio dell’opera d’arte nel tempo.” La consistenza fisica cioè, la materia, è costituita da due elementi fondamentali: l’aspetto e la struttura a cui si uniscono altri elementi esterni come “l’atmosfera e la luce” che concorrono alla rivelazione dell’immagine. Brandi parla di “unità potenziale dell’opera d’arte” che ha una valenza qualitativa determinata dal suo intero piuttosto che dal suo totale, perché le singole parti che la compongono, siano essi conci o tessere di un mosaico, singolarmente non avrebbero alcun senso e solo l’intero legittima l’immagine. Un’immagine dunque, che parla di per sé per ciò che appare e che non lascia spazio a riferimenti altri come accade invece nella realtà, dove la parte di un tutto rinvia al suo totale. Nell’opera d’arte una parte di un tutto parla solo per sé senza rimandi: un volto sarà solo un volto, così uno sguardo, non vi sono connessioni con la totalità del corpo umano.“Con ciò si documenta che l’unità organico-funzionale della realtà esistenziale risiede nelle funzioni logiche dell’intelletto mentre l’unità figurativa dell’opera d’arte si dà in una con l’intuizione dell’immagine come opera d’arte. "Ne risulta che l’intervento di restauro non dovrà prescindere dall'unità dell’opera né dalla sua istanza storica ed estetica altrimenti si correrebbe il rischio di creare un falso storico e venir meno al suo valore estetico. Nel caso si operasse con una aggiunta postuma necessaria per il ripristino dell’unità, questa dovrà essere sempre in stile e visibile come aggiunta ad uno sguardo ravvicinato e ingannare da lontano mentre, per la lacuna di colore", Brandi suggerisce l’applicazione della differenza di livello sulla base di fondo del dipinto. Dopo essere giunto alla conclusione che ricostituire l’unità potenziale dell’opera d’arte sia “l’imperativo stesso dell’istanza estetica in relazione al restauro”, Brandi affronta il problema del tempo in relazione all'opera d’arte e al restauro che riguarda da vicino l’istanza storica. Il tempo è un aspetto “fenomenologico” che si esplica in tre momenti diversi: come durata relativa alla creazione dell’opera; come tempo intermedio tra la creazione stessa e la conoscenza estetica dell’opera; come “attimo” di questa esperienza estetica. Il restauro dovrà rispettare i segni del tempo e quindi le patine e quelle parti aggiunte nel tempo. La patina ha valore nella istanza storica ed è legittimata anche nell’istanza estetica poiché riguarda la materia che è subordinata all’immagine. Brandi affronta anche il problema del rudere, “il monumento ridotto a un residuo della materia in cui fu composto”, "[...] ciò che testimonia della storia umana, ma in un aspetto assai diverso e quasi irriconoscibile rispetto a quello precedentemente rivestito”, una testimonianza mutila. Il rudere perde l’istanza estetica perché perde la forma e parte della materia riportando quasi al momento della creazione e il restauro consisterà nell’intervento conservativo a riguardo della sua storicità. Un rudere è “[...] ogni avanzo di opera d’arte che non possa essere ricondotto all’unità potenziale senza che l’opera divenga una copia o un falso di se medesima.” Per i ruderi annessi dall’origine ad altri complessi, questi costituiscono un unicum paesaggistico con l’ambiente circostante. L’opera d’arte ha un suo tempo ma anche un suo spazio che va tutelato durante il restauro quando questo si inserisce nel nostro spazio fisico anche in operazioni “negative” come lo spostamento e lo smontaggio, o semplicemente nel cambiare la sua collocazione o eliminare il piedistallo ad una statua.
Non mi soffermerò sui sette capitoli relativi all’Appendice essendo più direttamente inerenti a considerazioni specifiche sul restauro ma ve ne consiglio vivamente la lettura, come non mi soffermerò sulla Carta del Restauro 1972. 
Auguro a tutti una buona lettura…

Scritto da Antonella Colaninno

Cesare Brandi (Siena, 1906 - Vignano (Si), 1988) ha diretto l’Istituto Centrale del Restauro, ha insegnato presso l’Università di Palermo e Storia dell’arte contemporanea presso l’Università di Roma, dal 1967 al 1976. Nel catalogo Einaudi: Budda sorride (1973), Struttura e architettura (1975), Teoria generale della critica (1975), Scritti sull’arte contemporanea, vol.I (1976) e vol. II (1979), Persia mirabile (1978), Disegno della pittura italiana (1980), Diario cinese (1982), Disegno dell’architettura italiana (1985) e Pittura a Siena nel Trecento (1991).
Cesare Brandi
Teoria del restauro (1963)
2006, edito da Piccola Biblioteca Einaudi Arte. Teatro. Cinema. Musica.

martedì 13 dicembre 2011

WORLD PRESS PHOTO 11





Correva l’anno 1955 quando la foto di un motociclista che cadeva dalla sua due ruote vinceva il primo World Press Photo. Da premio nazionale l’iniziativa ha assunto carattere internazionale e nel 1960 i foto giornalisti olandesi si sono costituiti in una Fondazione.Da allora l'immagine ha assunto il compito di documentare ciò che accade nel mondo, con le sue storie di vita che attraversano i continenti in un reportage fotografico che diventa memoria collettiva. "[...] without our photographs, there is no evidence. Photographs become our world’s collective memory.” David Burnett.
L’arte diviene inchiesta e l’immagine racconta la cronaca come strumento di indagine e di espressione.
Nata nel 1955, la World Press ogni anno porta i suoi scatti in giro per il mondo informando sulle storie individuali e collettive attraverso una campagna di sensibilizzazione spesso audace e poco confortante accompagnata da un programma di dibattiti e di incontri con i fotografi.  

Un' iniziativa che ha visto più volte premiato il fotografo statunitense Steve McCurry e ha decretato per il 2010 la vittoria della fotografa sud americana Jodi Bieber, con lo scatto che ritrae Bibi Aisha, una donna afgana dal volto sfigurato. La foto è apparsa sulla copertina della rivista Time il 9 agosto 2010.

 Molte foto sono diventate delle vere e proprie icone di uno status sociale e di un modo di essere. 

Scritto da Antonella Colaninno

World Press Photo PAN di  Napoli. Mostra visitata il 10 dicembre.

FILIPPINO LIPPI E SANDRO BOTTICELLI NELLA FIRENZE DEL ‘400



La Firenze del ‘400 si racconta nelle opere di Sandro Botticelli (Firenze, 1445 – Firenze, 1510) e Filippino Lippi (Prato, 1457 - Firenze, 1504) in un confronto diretto nel quale i due artisti fiorentini scandiscono le tappe di un secolo, tra la scommessa dei successi di Filippino e il tramonto artistico del Botticelli. Il raffinato umanesimo del Botticelli, autore di opere in cui il senso della rinascita e dell’ottimismo di un’epoca si irradia nella bellezza della Primavera e della Venere che nasce dalle acque del mare, contrasta con la sensibilità malinconica delle raffinate trasparenze di Filippino Lippi. Nato a Prato dalla relazione clandestina di Filippo Lippi con la monaca agostiniana Lucrezia Buti, Filippino fu allievo del Botticelli, ne apprese i segreti elevando il proprio talento artistico ben oltre gli insegnamenti del maestro e si affermò per uno stile elegante, delicato e malinconico. Autore degli affreschi della Cappella Strozzi in Santa Maria Novella a Firenze e della Cappella Carafa in Santa Maria sopra Minerva a Roma, commissioni conferitegli dal famoso mercante e banchiere Filippo Strozzi il Vecchio, e dal cardinale napoletano Oliviero Carafa, Filippino realizzò tra le altre, l’Adorazione dei Magi di San Donato a Scopeto e la Pala degli Otto in Palazzo Vecchio, su commissione di Lorenzo il Magnifico.

Importante fu il suo intervento per il completamento degli affreschi della Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine a Firenze a cui avevano già lavorato Masaccio e Masolino. La leggenda racconta che Filippo Lippi si invaghì di Lucrezia Buti mentre lavorava ad una pala d’altare per le suore di Santa Margherita nella città di Prato. La giovane novizia, dall'aspetto avvenente, posò come modella per il profilo della Madonna adorante il Bambino (1478) a cui è stato storicamente attribuito Filippino infante. Il dipinto è oggi conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze.
Il percorso espositivo della mostra presso le Scuderie del Quirinale, offre “la prima monografica di un artista fantasioso e di cultura vastissima” in una miscellanea di dipinti che uniscono opere di artisti come Sandro Botticelli, Filippo Lippi, Raffaellino del Garbo con il suo Ritratto di giovane, Piero di Cosimo con il dipinto Liberazione di Andromeda, Andrea di Cosimo e molti altri, accanto a documenti dell’epoca relativi alle vicende artistiche e personali di Filippino Lippi.
La mostra, a cura di Alessandro Cecchi, direttore della Galleria Palatina, degli Appartamenti Reali di Palazzo Pitti e del Giardino di Boboli in Firenze, sarà visitabile al pubblico sino al 15 gennaio 2012 presso le Scuderie del Quirinale.

Scritto da Antonella Colaninno