Nudo di donna EGON SCHIELE















lunedì 28 marzo 2011

VINCENT VAN GOGH
                                          Campagna senza tempo - Città moderna


                                                 Strada parallela ai bastioni di Parigi 1887

                                                                    Panificio 1882

                                       Fattorie vicino Auvers 1890 Thatches Cottages by a Hill




“Dopo aver deciso di fare del mondo intero la sua casa, non aveva trovato pace in nessun luogo”(Judy Sund).



Dalla campagna olandese ai fasti di Parigi e ai profumi di Provenza, interprete della città moderna e della campagna senza tempo, cantore dello spirito agreste e della esperienza contemporanea della città. Affascinato dalla mutevolezza del paesaggio e dell’ambiente umano, Van Gogh (GrootZundert, 1853 - Auvers, 1890) fu animo inquieto in perenne ricerca, sospeso tra la sacralità della dimensione agreste e i fasti del progresso, figura solitaria al centro della modernità. Un senso di religiosità investe di sacro il lavoro e la vita semplice dei contadini, anime colme di devozione in un paesaggio che appare come rivelazione di Dio, dove l’industria e il progresso definiscono nuovi orizzonti ai limiti tra città e campagna. Dopo il periodo parigino Van Gogh si trasferisce ad Arles, la metropoli lascia il posto ad uno stile di vita modesto nel quale maturano le vedute di campagna e del lavoro dei campi, una pittura che nasceva dall’osservazione diretta e dalla conoscenza della pittura contadina ottocentesca. Seurat, Pissarro e Millet di cui Van Gogh ammirava lo spirito semplice e la grande religiosità, furono i punti di riferimento della sua ricerca artistica, al centro della riflessione tra campagna e città, passato e futuro, tradizione e modernità, sicurezza e ansia di rinnovamento, a tal punto da affermare che “i marciapiedi di Parigi” erano “belli”, anche se a modo loro, quanto i “solchi dell’aratro e dei contadini”. Apprezzava la campagna rispetto all’ignoranza…la stupidità e la cattiveria “che aveva incontrato nelle grandi città”, un materialismo sconosciuto all’uomo di campagna. Le distese dei campi e i sobborghi urbani furono i soggetti costanti della sua pittura, spesso velata da considerazioni di carattere sociale ispirate dal realismo letterario e dalle illustrazioni delle riviste che collezionava. La città di Van Gogh non è quella notturna e brulicante di vita dei futuristi, ma quella del progresso e dei grandi cambiamenti culturali che si contrappone alla semplicità della vita contadina. Nell’alternarsi delle stagioni si rivela il mistero della vita, quella sacralità che ferma il tempo e consente al seminatore di svolgere il proprio lavoro come una vera missione. La semina e il momento del raccolto rappresentano la ciclicità della vita, l’inizio e la fine di un percorso che chiude il tempo dell’uomo. Ispirato dalla luce e dalla prospettiva dell’arte giapponese, Van Gogh pone a confronto città e campagna nelle sue vedute urbane sullo sfondo delle vaste distese erbose, riflettendo sulle trasformazioni del paesaggio e su come la tranquillità delle atmosfere agresti possa inserirsi nel contesto della modernità. Per Van Gogh, colui che raccontava per immagini la natura aveva una missione che poteva trasmettere solo nutrendo amore e dedizione verso il paesaggio e vedeva in Millet l’interprete perfetto di questo sentimento, “la voce del grano”, come lui stesso affermava. La mostra romana al Complesso del Vittoriano, conclusasi lo scorso febbraio, ha ripercorso l’attività artistica di Van Gogh, artista innovatore e originale, con la sua concezione realistica dell’arte e la visione commossa di una natura velata di atmosfera e di sentimenti individuali di cui il paesaggio riflette gli stati d’animo personali. La serie di disegni tra i quali La palude, 1881 e Campo con nubi temporalesche, 1881 evidenziano la velatura atmosferica così come l’acquerello Bruciatore di stoppie con la moglie, 1883 esprime nelle sfumature quelle peculiarità emozionali di cui è ricca la pittura di Van Gogh. Il sentimento di malinconia è lo stato d’animo più ricorrente nelle opere dell’artista olandese, associato spesso, alle atmosfere ombrose dei paesaggi autunnali. Una certa malinconia pervade anche una serie di paesaggi invernali in cui ricorre la presenza familiare di una chiesa antica in rovina. Veduta di un bosco, 1880-1890, Casa sul sentiero sabbioso, 1885, e Contadine che zappano patate, 1885 testimoniano quel senso di sacralità del lavoro reso attraverso una immagine stereotipata e congelata nella austerità di tonalità "in ombra", lontane dalla luminosità, dall’evanescenza del colore e dalla leggerezza dei corpi della pittura di Millet (I raccoglitori di fieno, 1850). A partire dal 1885, la tavolozza di Van Gogh si veste di luce allargando visivamente i confini di un paesaggio che accoglie un colore più fluido e sempre più espressionista. Tonalità calde invadono gli spazi sino a confondersi con gli stessi, e delimitano uno spazio che perde ogni aderenza al reale. Il colore, definito per campiture, (Il seminatore, 1888; Ritratto di Madame Roulin con la figlioletta, 1888) si libera nello spazio, fragile e discontinuo, spatolato e ondeggiante (Fattoria, 1890; Montagne a Saint Rèmy con casolare scuro, 1889; Cipressi con due figure femminili, 1889). Una serie di oli e di incisioni di Jean Francois Millet, di Camille Pissarro, di Paul Cezanne e di Charles Francoise Daubigny e Charles Maurand da Honorè Daumier arricchiscono un percorso espositivo di affinità e di ispirazioni comuni.

Scritto da Antonella Colaninno


Roma, Complesso Monumentale del Vittoriano
8 ottobre 2010 - 6 febbraio 2011
a cura di Cornelia Homburg 
Catalogo edito da SKIRA




martedì 8 marzo 2011

1861
I PITTORI DEL RISORGIMENTO

Francesco Hayez La meditazione 1851

Faustino Joli Il combattimento del 31 marzo 1849 in via delle Consolazioni 1849

Un’interessante lettura degli eventi e dei sentimenti che hanno attraversato gli anni della conquista dell’Unità d’Italia.Una retrospettiva che racconta non solo le battaglie ma anche gli aspetti più strettamente ideali e popolari di una storia d’Italia fatta dal popolo e nata dalla rivoluzione intellettuale e culturale della fine dell’ancien regime.
1861 I pittori del Risorgimento ha recentemente chiuso i battenti alle Scuderie del Quirinale, un racconto emblematico di un’epoca cruciale della nostra storia, raccontata attraverso le opere dei maggiori artisti del tempo come Francesco Hayez, Giuseppe Molteni, Domenico e Gerolamo Induno, Eleuterio Pagliano, Federico Faruffini, Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Odoardo Borrani, Michele Cammarano e Giuseppe Sciuti. Il mito di un impegno civile raccontato da una pittura di storia che narra le vicende degli uomini sul campo di battaglia e il coinvolgimento emotivo dell’intimità degli ambienti domestici e familiari. L’idea di un’Italia unita “aveva accompagnato il pensiero politico italiano da Dante in poi” e con Napoleone il concetto di nazione si era radicato nelle coscienze, nutrendosi nell’Ottocento della passione civile e del “desiderio di libertà”, di quei valori romantici che hanno determinato il Risorgimento e gli eventi cruciali del biennio tra il 1859 e il 1861. Eventi narrati attraverso il segno e i colori di chi quelle esperienze le aveva vissute direttamente sul campo, documentando con appunti e disegni quel clima sanguinoso e appassionato, come Gerolamo Induno che aveva partecipato personalmente alla spedizione di Crimea. Una pittura che illustra e documenta in un verismo dai toni letterari le grandi imprese e le “umane miserie” offrendo la chiave di lettura di una narrazione vicina “alle apparenze del reale” e alla dimensione popolare che “saliva alla ribalta della storia”. Una pittura filtrata dagli ideali patriottici con evidenti fini educativi verso le masse a testimonianza di una identità nazionale a cui l’arte offriva i propri strumenti, come avvenne con l’Esposizione Nazionale Italiana inaugurata a Firenze nel 1861. Un humus poetico che alimentò l’arte ma anche la musica, il teatro e la letteratura per costruire negli italiani la consapevolezza di essere un popolo. Il tema dell’esilio e dell’abbandono alla luce delle continue migrazioni, esprime quei sentimenti di malinconia e di incertezza dovuti alla mobilità geografica e alla fragilità del distacco. Francesco Hayez ha interpretato le insicurezze di questi eventi in Gli abitanti di Parga che abbandonano la loro patria (1826-1831) rievocando i tristi eventi di una vicenda politica che aveva portato la città a chiedere il protettorato britannico alle soglie della fine dell’impero napoleonico, protettorato che sarà poi revocato a causa della riorganizzazione geopolitica dell’Europa durante la Restaurazione. Nell’opera La Meditazione (L’Italia nel 1848), (1851) la riflessione cade sul clima volitivo ma disilluso di un’Italia smarrita e profanata dalle violenze, rappresentata da una figura di donna decisa e sensuale, disonorata nel corpo e forte nella coscienza religiosa. Un’immagine che ricorre anche in Venezia che spera (1861) di Andrea Appiani jr. nella rappresentazione simbolica di una città tradita nelle vesti di una donna umiliata e scomposta. Molti i riferimenti alle piccole e grandi storie, da Il ritorno del marinaio (1866-1870), Ascoltando la notizia del giorno (1864) e la Discesa d’Aspromonte (1863) di Gerolamo Induno, al Ritratto di Giuseppe Garibaldi (1861) di Silvestro Lega, alle raffinate e intime atmosfere domestiche ne Il racconto del ferito (1866) e la Lettera dal campo (1859) di G. Induno. Le cruente visioni di Faustino Joli, il verismo popolare e rivoluzionario di Michele Cammarano e Napoleone Nani e il patriottismo teatrale e narrativo di Giovanni Fattori.

Scritto da Antonella Colaninno

A cura di Fernando Mazzocca e Carlo Sisi con la collaborazione di Anna Villari.