Nudo di donna EGON SCHIELE















mercoledì 25 marzo 2020

BIENNALE DI VENEZIA 53. ESPOSIZIONE D'ARTE CONTEMPORANEA Fare Mondi/Making Wordls

Pubblico a distanza di 11 anni un mio testo, ormai datato, sulla Biennale d'arte di Venezia n.53, che fu pubblicato su un portale d'arte in data lunedì 23 novembre 2009. Buona lettura...

di Antonella Colaninno



Credo che qualsiasi contenitore artistico sia il risultato di un percorso soggettivo legato a precise scelte curatoriali le quali infine portano a decontestualizzare l'opera dalle motivazioni legate alla sua stessa genesi e ad unirla a nuovi contesti sulla base di scelte ragionate.
A conclusione di questa 53a Biennale d'arte contemporanea si cercano punti di riflessione e nascono perplessità sul ruolo dell'arte contemporanea all'interno dei circuiti espositivi e su come il suo fine di ricerca e di espressione creativa possa dialogare con le scelte curatoriali e con i percorsi dello stesso itinerario espositivo. Non c'è creazione che non esalti il valore dei contenuti, quel percorso mentale dal quale l'opera ha origine, il Fare Mondi/Making Worlds non può che esprimere l'elogio della creatività, il valore dell'immaginazione ma anche l'eterogeneità come valore accrescitivo dell'arte che fa della differenza lo spazio del dialogo, l'espressione di una "totaltà antropologica" proiettata verso l'indagine e la sperimentazione, come afferma Enrico Pedrini. Lo stesso direttore Daniel Birnbaum insiste sull'importanza della differenza all'interno di una società globalizzata e omologata. Veronica Caciolli sostiene invece l'importanza del rinnovamento di questa Biennale dove "le singole creatività cooperano nella stessa direzione."Il Fare Mondi è uno spazio abitato nel quale noi partecipiamo interagendo con l'opera d'arte. L'artista resta il primo fruitore di se stesso a cui si svela l'opera alla fine del processo creativo, perchè "l'opera d'arte incarna una visione del mondo", è un modo di fare il mondo. All'interno del dibattito su questa edizione della Biennale poco si è parlato della riapertura del Padiglione Venezia assente nell'esposizione dal 1972. Quest'anno è stata allestita la mostra dal titolo ...fa come natura face in foco curata da Ferruccio Franzoia e dedicata agli artisti contemporanei che lavorano il vetro. Un'arte antica la cui tradizione si lega a Venezia e ai suoi maestri vetrai. Il vetro è stato tra i materiali che ha rappresentato il corso della nuova architettura sul finire del XIX secolo e del moderno design nelle arti applicate in ambito Art Nouveau. Nove gli artisti presenti in rappresentanza del panorama vetraio internazionale tra cui Cristiano Bianchini, Alessandro e Laura Diaz De Santillana, Yoichi Ohira, Ritsue Mishima, Maria Grazia Rosin, e Lino Tagliapietra. Nel giardino esterno al padiglione è stata collocata la straordinaria interpretazione del vetro dell'artista Dale Chihuly, mentre all'interno è stata allestita una sezione in omaggio al passato con trenta pezzi storici in vetro soffiato dei primi anni '20 del Novecento, realizzati da Vittorio Zecchin e disegnati per la Cappellin Venini & C. ai quali si uniscono pezzi di Venini firmati Carlo Scarpa datati alla fine degli anni '30. Molte a mio avviso le proposte interessanti di questa edizione tra le quali la partecipazione degli Stati Uniti con la produzione provocatoria di Bruce Nauman(Fort Wayne, Indiana, Usa, 1941)con la sua contaminazione tra i materiali e le fantastiche suggestioni di una immagine che si reinventa ribaltando i tradizionali codici visivi. La mostra vuole sottolineare il percorso che l'artista ha svolto in quasi quarant'anni di attività e si snoda in tre sedi espositive: i Giardini della Biennale, gli spazi di Ca'Foscari, e la sede dei Tolentini della università Iuav di Venezia, a testimonianza del cambiamento funzionale di questi spazi privati a luoghi pubblici. Simone Berti(Adria, 1966) è una delle presenze italiane più interessanti di questa edizione. Presenta un serie di disegni tutti senza titolo realizzati tra il 2008 e il 2009, poetiche macchine surrealiste, prodotti di ingegneria avveniristica tra metafisica e architettura. Pietro Roccasalva è nato a Modica ma vive e lavora a Milano. Lavora sulla sovrapposizione creando così distorsioni della immagine che determinano un movimento apparente, il nonsense di una esistenza "costretta in un movimento senza senso."Michelangelo Pistoletto(Biella, 1933)espone una serie di specchi il cui vetro rotto lascia intravedere uno sfondo oscuro esaltato dalla cromia delle cornici in oro. La poetica dello specchio è cara all'artista: i suoi primi quadri specchianti risalgono al 1961. Lo specchio è ciò che riflette il mutamento, che riproduce la realtà catturando la linea del tempo, è contenitore della totalità fisica, spirituale e intellettuale. Lo specchio rotto allude al passato mentre l'oscurità è l'altra faccia della luce, il buio che oscura l'esistenza. 

I giardini surreali dell'artista svedese Nathalie Djurberg (1978)coinvolgono lo spettatore all'interno di uno spazio fisico e virtuale in cui si svolgono proiezioni che comprendono elementi di disegno e pittura uniti alla plastilina e a scenari in styrofoam. Con chiare allusioni erotiche esse esprimono il mondo vasto e incomprensibile delle emozioni tra ingenuità e inquietudine.

Le ombre danzanti di Hans Peter Feldmann(Dusseldorf, 1941)sono la proizione del movimento di piccole giostre kitsch su uno schermo bianco su cui creano delicate ombre cinesi danzanti. L'installazione di Oyvind Fahlstrom(1928, San Paolo, Brasile  1976, Stoccolma, Svezia)Dr Schweitzer's Last Mission, già esposta alla Biennale dei Paesi Nordici nel 1966, è un collage di cartoni e fumetti che nasconde un codice simbolico di polemica sociale sospeso tra poesia e immaginazione.

Toba Khedoori, artista austrialana nata a Sydney nel 1964, presenta una serie di disegni in cui la visione realistica di oggetti comuni viene decontestualizzata dalla propria ambientazione e collocata su ampie distese di cera bianca monocroma o ad encausto nero. La percezione della nuova visione assume una natura differente, uno stato di metafisica sospensione dell'anima in cui gli oggetti si aprono alla spazialità.



Lygia Pape(Nova, Friburgo, Brasile 1927 - Rio de Janeiro, Brasile, 2004)espone una suggestiva coreografia di fasci di luce intitolata Ttèia all'interno di uno spazio delimitato da quattro colonne, elementi caratterizzanti degli spazi dell'Arsenale. Si tratta di sottili fili illuminati di rame e oro tesi tra pavimento, soffitto e parete che impegnano l'artista in una ricerca sulla tridimensionalità dove lo spazio buio crea l'illusione dell'immaterialità. Tomas Saraceno(Tucuman, Argentina 1973)vive e lavora a Francoforte. La sua installazione Galaxies Forming along Filaments, like Droplets along the Strands of a Spider's Web esprime un nuovo modo di concepire la progettualità architettonica tra utopia, cretività, e visione intellettualistica, ispirata al mondo animale(ragno)e all'astronomia.

La ragnatela rappresenta la struttura preistorica dell'universo. Le corde elastiche fissate al pavimento, al soffitto e alle pareti mantengono in tensione la struttura creando una ambientazione fantasiosa e surreale. Richard Wentworth(Samoa, 1947)infine, è presente con una installazione di libri sospesi ad una struttura metallica le cui geometrie ricordano le linee di Mondrian, mentre l'installazione in vetro e legno dal titolo Thus evoca la magia del Surrealismo metafisico di Magritte.


Pubblicato da Antonella Colaninno

LO SPAZIALISMO DI LICATA E MORANDIS

di Antonella Colaninno

Lo Spazialismo è un movimento artistico formatosi intorno alla ricerca di Lucio Fontana tra il 1947 e gli inizi del 1948 a Milano di cui il Manifesto Blanco, redatto da Fontana e da un gruppo di artisti argentini a Buenos Aires nel 1946, rappresenta una importante premessa. Nella sua astrazione lo Spazialismo ha una forte ascendenza esistenziale espressa in un linguaggio nuovo che interrompe le tradizioni figurative convenzionali e la dimensione di spazio inteso come materia per raccontarsi in una nuova ricerca che pone in osmosi gli spazi dell'esistenza con una rinnovata interpretazione della tela e dell'ambiente. Lo spazio diventa ora una unità narrante di luce e colore che esprime la creatività di un linguaggio simbolico che non vuole più rappresentare ma emozionare. Già la nascita delle Avanguardie aveva creato una rottura verso i canoni tradizionali di rappresentazione e verso un'estetica come culto delle velleità aprendo la strada alla libera interpretazione degli spazi trasformati in supporto per le emozioni. Se Lucio Fontana e Piero Manzoni rappresentano le radici dello Spazialismo in area lombarda, con Riccardo Licata e Gino Morandis ci troviamo in ambito veneto dove lo spazialismo si connota per l'avversione al colore naturalistico e per l'indissolubile unione di colore, spazio e materia.

Per Riccardo Licata, nato a Torino (1929) e di adozione veneziana, un costante riferimento sarà l'artista Bruno Saetti,  cui si ispirerà per l'uso di colori caldi e per la geometria delle forme, e l'ambiente lagunare dove si è formato e da cui ha desunto il valore del colore e della luce, Venezia è la città dove lo spazio e la luce sono infiniti, cielo e mare dilatano lo spazio che si apre alla luce per poi chiudersi nelle oscure e umide calli interne. Riccardo Licata non ha lasciato alcuna testimonianza di adesione al gruppo ma vi aderisce pienamente per la libertà del segno nello spazio. Negli anni '50 la sua ricerca pittorica si muove su una grande libertà compositiva in un linguaggio puramente emozionale di disarmante trasparenza dove il colore è indeciso, ancora trattenuto dalla tensione della rappresentazione figurata mentre il segno segue un andamento musicale segnato da variazioni di luce.

La geometrizzazione delle forme giunge negli anni '60 quando l'espressione si fa razionale ed enigmatica, il colore diventa espressionista, morbido e la resa emozionale si affida al valore cromatico e alla forma di pseudo geometrie.

Il colore acquista un ruolo fondamentale, la pittura diventa informale e particolarmente poetica mentre il segno si esprime volutamente in astrazioni perchè non vuole narrare ma comunicare per simboli una tensione. Il colore si stempera a volte in lumeggiature, in tonalità chiare come negli azzurri dell'opera Il giudice (1960), una tempera su carta pressata, in altri casi è materico, persino ombroso, nordico, come nell'opera Immagine, una tecnica mista su carta rintelata del 1960. Al colore libero ed emozionale di una prima fase si sostituisce ora un colore razionale che si chiude in simboliche geometrie di totem astratti e l'emozione lascia posto a un codice cifrato di ispirazione surrealista.

Lo spazio si organizza, il colore si diluisce e l'emozione si fa analitica non più resa per immediatezza, a questo periodo appartengono opere quali Composizione (1961), il Grande esterno (1961) e Ricordo la notte (1962).

Negli anni '70 il colore si fa più forte, espressionista, mentre al suo interno il segno grafico si avvale di crittogrammi che occupano uno spazio organizzato per ripartiture geometriche in sequenza ritmica.

Gino Morandis è nato a Venezia (1915), a Bologna segue le lezioni di Giorgio Morandi da cui apprende l'attenzione al valore emozionale del colore e al lirismo, espresso in una cromia tenue e sfumata e in una forma languida dal contorno tremulo.

Anche per Morandis Venezia ha ispirato lo studio della luce e le sue atmosfere misteriose tra cieli tersi e foschie, del resto l'artista veneziano ha sempre sottolineato l'importanza della tecnica nell'ambito della rappresentazione pittorica:"osservando i dipinti sia dell'antichità che della modernità esiste sempre una grande disciplina nella ricerca dei valori pittorici, sia quando si vuole realizzare con metodi tradizionali, sia quando i metodi della libertà espressiva riescono a concentrarsi in forme [...]""[...]la tecnica contribuisce a determinare la qualità dell'opera d'arte.

"Per Morandis la tecnica è disciplina nell'equilibrio tonale e compositivo che desume dalla ricercatezza pittorica e dalla preziosità di Giorgio Morandi, mentre il colore rappresenta la libertà da ogni costrizione formale e mentale. La massima espressione di questa equazione fra luce, spazio, colore è resa in opere come Bozzetto per concorso, un pastello su carta degli anni '50, e Concentrico del 1963 in cui il colore rappresenta una dilatazione dello spazio e i segni grafici sono essi stessi spazio all'interno della composizione.


Se la luce in Licata corrisponde alla espressione della sfera emotiva, quella di Morandis è una luce cosmica che corrisponde a spazi infiniti.
Pubblicato da Antonella Colaninno