Nudo di donna EGON SCHIELE















domenica 28 ottobre 2012

NEOREALISMO LA NUOVA IMMAGINE IN ITALIA 1932-1960





 “Il Neorealismo non fu una scuola. Fu un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie. […]
Senza la varietà di Italie sconosciute l’una all’altra […] non ci sarebbe stato Neorealismo.” Italo Calvino (dalla prefazione de “Il sentiero dei nidi di ragno “)

di Antonella Colaninno

Alla domanda cos’è il Neorealismo, tutti noi pensiamo a quella felice stagione cinematografica di Sciuscià e Ladri di biciclette che ha portato l’immagine dell’Italia in giro per il mondo, segnando un momento di commozione e di riflessione sulle luci della ribalta del cinema americano. Il Neorealismo ha rappresentato una parentesi importante della cultura italiana del Novecento, una voce indipendente che si è sovrapposta alla dittatura del Fascismo e alla violenza del conflitto mondiale, e ha raccontato un’Italia libera che cerca di ricostruirsi sulle macerie della propria povertà. La fotografia, accanto al cinema e alla letteratura, ha lasciato una documentazione rilevante che oggi è la testimonianza di questo momento storico nel quale le varie esperienze individuali ma rappresentative dei territori si sono confrontate.  

Enrica Viganò, curatrice della mostra “Neorealismo la nuova immagine in Italia 1932-1960” presso il Centro Internazionale di Fotografia agli Scavi Scaligeri di Verona, ricorda il pensiero dello storico dell’arte Carlo Bertelli negli Annali Einaudi del 1979 secondo il quale è nei primi decenni del Novecento che bisogna individuare i primi “germi”del Neorealismo, la cui poetica è il frutto “[…] di una concatenazione di eventi storici e spinte ideali che non possono esaurirsi e spiegarsi nella convinzione più diffusa, e cioè che alla fine della guerra sorga improvvisamente una nuova fotografia, grazie semplicemente alla ritrovata libertà e in reazione agli anni bui del fascismo.” “Il Neorealismo in fotografia, scrive la Viganò, raggiunge i suoi splendori e la sua maggiore popolarità proprio negli anni ’50, sulla scia del successo del cinema neorealista.”
In “Storia culturale della fotografia italiana dal Neorealismo al Postmoderno"(Einaudi), Antonella Russo sostiene invece che il Neorealismo fotografico sia da circoscrivere agli anni immediatamente a ridosso del dopoguerra, dal 1940 al 1949, perché negli anni a seguire, il Neorealismo si svuotò “[…] a favore di un ripetersi sterile di stilemi, in un miserabilismo populista presente in maniera massiccia nel settore della carta stampata dell’epoca.” La Russo scrive ancora che con la ripresa politica ed economica dell’Italia, il Neorealismo fotografico diventa un fatto puramente ideologico legato alle istanze di una sinistra sempre più convenzionale. La fotografia neorealista con le sue storie di umanità,  resta comunque un indispensabile documento storico e di indagine sui territori per tracciare lo spaccato culturale di un’Italia che presentava profonde contraddizioni e diversi livelli di sviluppo tra le aree settentrionali e quelle meridionali. Essa rappresenta anche, “lo strumento di identificazione collettiva […] ricalcando la funzione formativa, ben sfruttata in epoca fascista […] al servizio della democratizzazione.”

Pubblicato da Antonella Colaninno


NeoRealismo
la nuova immagine in Italia 1932-1960
Verona
Centro Internazionale di Fotografia
Scavi Scaligeri
Cortile del Tribunale
29 settembre 2012 - 27 gennaio 2013

venerdì 26 ottobre 2012

ROBERT DOISNEAU PARIS EN LIBERTE'



di Antonella Colaninno

“Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere.” Robert Doisneau

La fotografia consente di svelare  porzioni di oggettività dietro le quali si nascondono attimi più o meno significativi di storie umane. La semplice riproduzione della realtà riesce a fissare nella memoria l'attimo di un'emozione singola o collettiva, o semplicemente la sequenza di un'azione che sfugge al nostro sguardo nella velocità dell’azione ma nella quale si ricercano aspirazioni negate. Robert Doisneau(1912-1994) si rivolge all’uomo comune, alla strada, a Parigi, la sua città, alle strade, ai monumenti, ai bambini, guardando attraverso il suo obiettivo oltre ogni regola e convenzione. La leggerezza del gioco e della passione unisce le storie tra le strade di Parigi e rivela quella dimensione intima che Doisneau ricercava nella quotidianità di quell’umanità sincera, nascosta ai riflettori del successo. 

Parigi in libertà è il titolo della mostra che Palazzo Esposizioni dedica al fotografo francese, più di 200 fotografie scattate tra il 1934 ed il 1991 raggruppate per temi ripercorrono la vita della città e la sensibilità di uno tra gli interpreti più significativi della fotografia contemporanea. 
Diplomatosi all’Ecole Estienne, Robert Doisneau diventa fotografo-illustratore free-lance nel 1939 e nel 1946 entra nell’agenzia Rapho. Dopo la mostra alla Galleria Chateau d’Eau di Toulouse nel 1974, le sue fotografie otterranno importanti riconoscimenti in tutto il mondo. I suoi lavori sono presenti nelle più grandi collezioni di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti.


Pubblicato da Antonella Colaninno

Robert
Doisneau
Paris en libertè
29 settembre 2012 – 3 febbraio 2013
Palazzo delle Esposizioni
Roma, via Nazionale 194



martedì 23 ottobre 2012

VERMEER IL SECOLO D'ORO DELL'ARTE OLANDESE



di Antonella Colaninno

Il 1600 non fu soltanto il secolo d’oro dell’arte, ma tutta la società olandese visse un periodo di grande splendore con lo spostamento dell’asse economico dal Mediterraneo ai mari del Nord. La ritrovata indipendenza dalla Spagna e l’affermarsi della libertà del Calvinismo incisero profondamente sulla cultura di questi territori che stavano assistendo alla grande crescita delle classi imprenditoriali e all’ascesa della società borghese.
L’arte olandese riflette così la vitalità e il
rigore di questi cambiamenti del pensiero e della società, in un momento storico che annuncia la nascita del Barocco e la vittoria della Controriforma sul malcostume della chiesa cattolica.
Solo sulla base di queste trasformazioni possiamo considerare la grande fioritura dell’arte olandese che ha lasciato una testimonianza raffinata della ricchezza culturale delle regioni del nord Europa. Il Barocco, che secondo alcuni studiosi non è presente nell’arte olandese del Seicento, fu invece interpretato alla luce del rigore
calvinista e delle influenze francesi che qui giunsero per mezzo degli ugonotti e che probabilmente, finirono per sovrapporsi alle tendenze e al gusto culturale imperanti sul territorio. Resta però nell’arte olandese una grande attenzione per la realtà, per le emozioni e soprattutto per la luce che è alla base dello studio di questa pittura. Le sue atmosfere raffinate privilegiano il gusto per il particolare, per le tematiche della famiglia, per le scene di interni, e per le attività musicali e intellettuali, ma anche per le scene di corteggiamento, per gli scorci di strade e di vita quotidiana. La resa delle emozioni è sempre rappresentata con garbo e pudore, così vicina ad un realismo raffinato e di genere.

La mostra in corso a Roma presso le Scuderie del Quirinale offre un percorso di studio sul secolo d’oro dell’arte olandese e sul suo massimo esponente, Johannes Vermeer. Otto dei 40 dipinti realizzati da Vermeer sono accompagnati dalle opere di altri nomi importanti della pittura olandese del Seicento: Pieter de Hooch, Emmanuel de Witte, Cornelis de Man, Ludolf de Jongh, Jacob Ochtervelt, Eglon van der Neer, Pieter Janssens Elinga, Gabriel Metsu, Frans van Mieris, Quirijn van Brekelenkam, Gerrit Dou, Gerard ter Borch, Hendrick van der Burch, Hendrick van Vliet, Caspar Netscher, Godfried Schalcken, Michiel van Musscher, Carel Fabritius, Michiel Sweerts, Gabriel Metsu, Adriaen van Osrade, Jacob van Loo, Nicolaes Maes, Jan van der Heyden, Daniel Vosmaer, Egbert van der Poel, Anthonie de Lorme. Ciascun artista interpreta con uno stile personale le tematiche comuni di questa grande “scuola”olandese. La perfezione tecnica dei pavimenti di Pieter de Hooch, il realismo degli orditi dei tappeti di Gabriel Metsu, la bellezza dei volti di Gerrit Dou e l’impeccabile realismo di Johannes Vermeer. Il percorso espositivo si snoda tra le dieci stanze delle Scuderie e si apre con l’opera “La stradina” (1658 ca.) di Jan Vermeer (Rijksmuseum, Amsterdam), uno scorcio poetico della cittadina olandese che ritrae una donna intenta al lavoro quotidiano, che rappresenta quell’ideale di virtù domestica che le donne olandesi del tempo consideravano “un valore molto elevato.” Il percorso espositivo si chiude con un altro dipinto di Vermeer “Allegoria della fede”conservato al Metropolitan Museum of Art di New York. “La figura femminile rappresenta la Chiesa Cattolica ed è tratta da due figure allegoriche del famoso testo -Iconologia- di Cesare Ripa (Roma, 1603; Dutch ed., Amsterdam, 1644), Ripa si riferisce alla Fede con –il mondo ai suoi piedi- e Vermeer rende letteralmente questa nozione utilizzando un globo olandese del 1618 […]”
Gabriel Metsu, Uomo che scrive una lettera

Pubblicato da Antonella Colaninno


VERMEER
Il secolo d’oro dell’arte olandese
27 settembre 2012 – 20 gennaio 2013
Scuderie del Quirinale – via XXIV Maggio, 16
Roma




martedì 16 ottobre 2012

MEDITERRANEA DI PEDRO CANO






di Antonella Colaninno

Come quaderni di viaggio, le sue opere raccontano le emozioni di un grande viaggiatore. “La mia università sono stati i miei viaggi”, queste le parole di Pedro Cano quando gli chiedo se in Mediterranea le sue storie di viaggio si intrecciano alla storia dei luoghi e se la scelta di portare la cultura spagnola all’interno dei Mercati di Traiano sia anche voler ricordare le radici ispaniche dell’imperatore romano. Gli chiedo inoltre quanto il Realismo spagnolo abbia influito nella sua formazione e quanto ci sia nella sua arte della poesia di artisti come Isabel Quintanilla, Amalia Avia e Lopez Garzia: “Antonio Lopez Garcia è stato il mio insegnante”, “ma io non credo di appartenere alla sfera dei realisti[…] mi piace essere libero e pensare di poter andare oltre la poetica degli artisti dell’Accademia di San Fernando a Madrid.” Pedro Cano mi accompagna all’interno della prima sala per mostrarmi il pannello con i tasselli di carte acquerellate che rappresentano i simboli della smorfia napoletana “sono l’unico pittore ad avere dipinto la smorfia perché in fondo è ciò che rappresenta Napoli con i suoi sogni, il suo folklore e le sue contraddizioni.” Nella stessa sala una bellissima immagine della cupola di Santa Sofia simbolo di cristianità, poi moschea ed oggi museo, ricorda il suo viaggio a Istanbul.

Tra i luoghi di Mediterranea c’è anche Venezia. Pedro Cano preferisce identificare la città con le “vigole” o “poline”e ricordarla attraverso la luce dei dipinti di Turner. Patmo è l’isola greca dove fu esiliato San Giovanni che in questi luoghi fu ispirato per la sua Apocalisse. Cano traduce le sensazioni del suo viaggio nell'isola nei delicati acquerelli con le corone di frutta e fiori secchi che venivano preparate il 1 maggio e lasciate appese all’esterno come simbolo augurale. Le corone sono dedicate alla natura che offre gli elementi di cui sono composte ma ne stabilisce anche la fine; le ghirlande infatti vengono lasciate all’esterno e qui si deteriorano nel tempo per intervento degli agenti atmosferici. Sono realizzate in ulivo, grano e uva, simboli del cristianesimo, ma anche con le rose, simbolo di bellezza e di amore, e con un tipo di lavanda che emana un profumo intenso e fiorisce il giorno di San Giovanni (viene utilizzata per la lavanda dei piedi). Alessandria d’Egitto è ricordata nei grandi acquerelli dei libri che hanno fatto la fortuna della sua Biblioteca e del suo fondatore Alessandro Magno. Ad Alessandria visse il poeta Kavafis e Pedro Cano la ricorda anche per il suo famoso caffè Pastroudis che era frequentato dallo scrittore Lawrence Durrell. 

Il viaggio di Mediterranea continua attraverso la Sicilia famosa per i i suoi profumi e per la cultura greca, passando per la Spagna di Cartagena, per la città di Split con il famoso palazzo fatto costruire da Diocleziano, per l’isola di Maiorca e i giardini della certosa di Valldemossa dove nel 1838 soggiornò Chopin con la sua compagna, la scrttrice George Sand.

 Pubblicato da Antonella Colaninno


 BIOGRAFIA


"Pedro Cano nasce nell’agosto del 1944 a Blanca, una piccola cittadina della provincia spagnola di Murcia; inizia a dipingere dall’età di 10 anni come autodidatta. Ha studiato prima all’Accademia San Fernando di Madrid e successivamente all’Accademia delle Belle Arti spagnola di Roma. Ha vissuto in Spagna, America Latina e Stati Uniti; oggi risiede ad Anguillara, una piccola cittadina a 30 chilometri da Roma, di cui è stato nominato cittadino onorario. Ha esposto in tutto il mondo, curando anche le scenografie di alcuni allestimenti teatrali fra i quali “Le Memorie di Adriano” di M.Yorcenaur con la regia di Maurizio Scaparro. E’ membro dell’Accademia Real di Belle Arti di Santa Maria Arrixaca ed è stato insignito dal re Juan Carlos dell’Encomienda de l’Orden de Isabella Cattolica. Ha esposto in alcune tra le più grandi città del mondo, da Madrid a Beirut, a Lisbona, Amsterdam, Parigi, New York, Toronto, Bogotà, Salisburgo."

MEDITERRANEA
Pedro Cano
28 settembre 2012 – 13 gennaio 2013
MERCATI DI TRAIANO – MUSEO DEI FORI IMPERIALI
Via IV novembre, 94- Roma

lunedì 15 ottobre 2012

GIUSEPPE DE NITTIS NOTES ET SOUVENIRS DIARIO 1870 – 1884





di Antonella Colaninno

“[…] una immagine di quella dolce vita da sognatore al quale basta una distesa di cose bianche, una pioggia di neve o una pioggia di fiori. E’ la vita per la quale son nato: dipingere, ammirare, sognare.” Giuseppe de Nittis

La lettura di questo diario non è solo la testimonianza di vita di un artista del quale cogliamo aspetti inediti, ma rappresenta anche un'occasione per riflettere sulle diversità culturali dei luoghi dove de Nittis ha vissuto e sulle loro trasformazioni storiche. Il diario fu edito per la prima volta in Francia nel 1895 per iniziativa di Lèontine de Nittis con il titolo Notes et souvenirs du peintre Joseph de Nittis, undici anni dopo la morte del marito e fu pubblicato presso le “Librairies – Imprimeries Rèunies” ma ci è giunto attraverso la traduzione italiana di Nelly Rettmeyer ed Enzo Mazzoccoli. 

Un piccolo scorcio letterario sulla vita di un grande artista con un andamento romanzato dei fatti che nulla ha o quasi, della didascalica cronologia di un diario.
“[…] io amo la Francia appassionatamente e disinteressatamente, più di un qualsiasi francese. Ho attribuito alla Francia tutti i miei successi anche se, e lo dico in tutta sincerità, è stata l’ospitalità inglese, e la stessa Inghilterra, che mi ha dato da vivere.” “No. Parigi non conosce la degradazione umana e la disperata miseria dei bassifondi di Londra. […] ma le miserie e le disperazioni di Londra sono un inferno che nemmeno Dante arrivò a immaginare: se avesse conosciuto i bassifondi di Inghilterra vi avrebbe collocato i dannati dell’ultimo girone.”
Così scriveva Giuseppe de Nittis nel suo diario, una testimonianza commossa che  documenta gli eventi che hanno legato l’artista alla sua città e ai luoghi in cui ha vissuto. Dall’infanzia nella città di Barletta, all'adolescenza trascorsa a Napoli, e i ricordi degli anni vissuti in Francia e in Inghilterra. L’eruzione del Vesuvio del 1872, la commedia dell’arte di Pulcinella e le figure di Petito e di suo fratello Davide, tra i più celebri interpreti della maschera napoletana. E ancora personaggi come Francesco dell'Ongaro, critico e scrittore, professore di letteratura drammatica a Firenze e a Napoli che de Nittis definisce suo nemico personale “(almeno così mi avevano detto, perché io non lo avevo mai visto)" il quale, da qualche tempo, sparlava di me sui giornali  a proposito di non so quale mostra alla quale io non avevo partecipato.” Con ammirazione de Nittis descrive invece la figura del giovane gentleman londinese che collezionava i suoi dipinti, per il quale l'artista dipinse dieci tele. Il misterioso signore "comprese" e "amò" la sua arte“e lasciò promessa che avrebbe donato tutto per testamento alla National Gallery. De Nittis venne a conoscenza che in casa del giovane vi era un’intera sala dedicata ai suoi quadri “- Questa è la mia preziosa galleria – soleva dirmi. Noi l’adoravamo ed è facile capire perché.” 

De Nittis annota nel diario anche le frequentazioni della famiglia con la celebre ballerina Maria Taglioni (contessa Gilbert des Volsins) figlia del coreografo Filippo Taglioni, che andava a far visita ai coniugi de Nittis. L’artista la ricorda come una donna fine e discreta, “dal viso sereno, senza rughe, dolcissimo […]”
Non mancano i ricordi della sua partecipazione all’Esposizione Universale nel 1878: “E’ il primo giorno dell’apertura dell’Esposizione Universale ed è festa al Bois de Boulogne.” Al successo di pubblico non corrispose nell’immediato un successo di critica e durante la votazione all'artista non gli venne assegnata la medaglia d’onore per l’Italia; furono proprio i francesi a votargli contro, ma alla fine de Nittis ottenne il suo riconoscimento insieme alla Lègion d’honneur. “Era forse intervenuta l’ambasciata in mio favore? In verità io non avevo sollecitato nulla ma non nascondevo che ero molto contento.” Una gioia che condivise con il suo amico e collega Manet, “uomo incapace di invidia e di meschinità”e con lo sdegno di D. (Edgar Degas) che cercava di influenzare il giudizio di Manet con i suoi commenti malevoli. Nel diario de Nittis ricorda la commozione al suo rientro a Barletta nel 1879, la stima che la città riconobbe al suo lavoro di artista, ma anche la delusione nell’avere scoperto che molti pittori falsificavano le opere sfruttando la sua fama. L'amore di de Nittis per Napoli rimase incondizionato anche quando si accorse che il progresso e la modernità stavano trasformando la cultura e la spontaneità di questo popolo.
Dal 1883 la salute di de Nittis incominciò a farsi cagionevole e a questo stato di salute si aggiungeva “un acuto senso di nausea” che si sostituiva “all’ottimismo gioioso di un tempo”: “[…] null’altro rimaneva se non un amaro disprezzo per certi miei vecchi compagni, e spesso mi tornava in mente un giudizio di Goncourt: -Non vi perdonano di essere arrivato così in alto – " De Nittis morirà il 21 agosto 1884 a 37anni.

“Forse non sono stato chiaro, ma è costume della mia razza, che non è napoletana ma pugliese, di una regione a oriente, sull’Adriatico, un mare malinconico, di tenere nascosti i propri sentimenti. Siamo un popolo parco nelle esteriorità.”

Pubblicato da Antonella Colaninno

Giuseppe de Nittis
NOTES ET SOUVENIRS
Diario 1870-1884
Schena  editore (1990)


martedì 2 ottobre 2012

XIII MOSTRA INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA DI VENEZIA COMMON GROUND





di Antonella Colaninno

Il territorio come spazio condiviso di pensiero e di luogo fisico. “[…] l’architettura è fortemente legata, intellettualmente e praticamente, alla condivisione di problemi, influenze e talenti” (David Chipperfield). Classico e moderno si riassumono nell’idea contemporanea di un progetto comune: il Common Ground. Un’incontro per riflettere su come l’architettura possa migliorare la società e su come gli uomini possano partecipare al processo creativo-strutturale di una forma architettonica già dalle sue prime fasi di progettazione. L’architettura assume un valore sociale poiché interviene come spazio ragionato a migliorare le condizioni del pianeta e a ricostruire dove le catastrofi naturali hanno distrutto. L’architettura ridefinisce il suo ruolo con una diversa prospettiva che supera l’idea principale di individualità per diventare appunto un COMMON GROUND. Non più solo esigenze individuali, ma il porsi al servizio di un’emergenza collettiva, come nel caso del Padiglione giapponese "Architecture. Possible here? Home-for-All" dove si riflette su una possibile architettura per la città di Rikuzentakata distrutta dallo tsunami che ha colpito il Giappone distruggendo ben oltre 400 km di costa riportando quasi ventimila vittime. L’architettura diventa osservazione, si interroga e da forma alle emozioni interpretando la “quotidianità locale…” I tre architetti intervenuti sul luogo di Rikuzentakata raccontano la propria esperienza: “trasalimmo di fronte alla vitalità degli alloggi provvisori visitati. Ogni occupante aveva personalizzato gli spazi, disposto vasi con piante, all’insegna di una quotidianità rispettosa dei legami con gli altri…” Superare le barriere per dare vita ad una propositiva fusione delle idee nella quale il lavoro intellettuale si completa nella logica del progetto esecutivo. “How long is the life of a building?”è l’interrogativo che il Padiglione estone si pone sull’universalità del patrimonio architettonico nel mondo e sul futuro del Linnahall di Tallin costruito nel 1980 in occasione delle Olimpiadi di Mosca e abbandonato a se stesso privo di funzionalità, testimonianza silenziosa di un passato che ha smarrito la propria identità nel contemporaneo. “Who will be the future greenlander?” è la sfida del Padiglione della Danimarca sul futuro della Groenlandia alla luce dei suoi cambiamenti per l’impatto industriale e le frequenti immigrazioni. Le tende scorrevoli di "RE-SET" del Padiglione olandese rappresentano un “intervento architettonico” che intende sottolineare il valore di un’esperienza in relazione allo scorrere del tempo e al potere suggestivo della sua lentezza. In RE-SET “Le cortine di tessuto si spostano all’interno dello spazio espositivo in dodici posizioni, come le dodici ore del giorno e della notte.”    


Le “New forms in wood” del Padiglione finlandese portano all’attenzione il rapporto che lega l’uomo alla natura anche nelle forme d’arte che gli architetti sono in grado di realizzare attraverso le suggestioni ed il calore di questa risorsa naturale. 

Uno sguardo alla natura e ai suoi possibili interventi di riqualificazione urbana e di un nuovo modello urbanistico per la capitale Luanda è BEYOND ENTROPY del Padiglione Angola che sottolinea la necessità di fonti di energia per queste zone ad alta densità di popolazione. Attraverso un’installazione a grandezza naturale di pianta di canna si creano percorsi di verde e modelli di energie alternative per ridisegnare gli spazi pubblici.

Pubblicato da Antonella Colaninno

Il Leone d’oro alla carriera della 13 Mostra Internazionale di Architettura è stato consegnato all’architetto portoghese Alvaro Siza Vieira (1933).


“Le “QUATTRO STAGIONI” dell’architettura italiana.  I stagione: Adriano Olivetti nostalgia di futuro; II stagione: ’assalto al territorio; III stagione: architetture del Made in Italy; IV stagione: re-made in Italy, quattro episodi della stessa storia raccontate dal curatore Luca Zevi all’interno del Padiglione Italia, quest’anno energeticamente autosufficiente e con un giardino interno di 800 metri quadrati, per riflettere sul rapporto tra crisi economica, architettura e territorio, premessa indispensabile per una nuova e necessaria fase di crescita.”