Nudo di donna EGON SCHIELE















domenica 23 gennaio 2011

CHAGALL IL MONDO SOTTO SOPRA


                                 


L’ingenuità di Chagall è nella libertà del segno.“La pittura è una finestra dove spiccare il volo verso un altro mondo” perchè qui il naturalismo lascia spazio alla fantasia e a un mondo nel quale “la polvere diventa la via lattea.” “Noi trasportiamo ciò che possediamo, non ciò che vediamo”, per questo Chagall rappresenta con libertà di interpretazione cielo e terra, invertendo la logica con la fantasia, assumendo un punto di vista contrario a ogni reale rappresentazione. Così Marc Chagall (1887 – 1985) racconta il suo “mondo sotto sopra”: “Un uomo che cammina ha bisogno di rispecchiarsi in un suo simile al contrario per sottolineare il suo movimento”, “un vaso in verticale non esiste, è necessario che cada per provare la sua stabilità”.

Quella di Chagall è una pittura rivoluzionaria che stravolge i canoni della composizione dominata dall’anarchia del disegno, dove il pensiero diventa l'elogio del contrario. 
La spiritualità della sua pittura affonda le radici nelle sue origini ebraiche così come nel folklore delle sue origini russe. Chagall è un surrealista, un rivoluzionario per vocazione, un intellettuale, un poeta e soprattutto un antinaturalista: “Io sono un pover’uomo e nessun artista è un esempio”.



Il Museo dell’Ara Pacis di Roma ospita 138 opere tra dipinti e disegni, tra cui alcuni inediti, realizzati tra il 1917 e il 1982, provenienti da collezioni private, dal Musèe National d’Art Moderne Centre Georges Pompidou e dal Musèe National Marc Chagall di Nizza che ha ospitato da giugno a ottobre 2010 la mostra "Chagall il mondo sotto sopra", in occasione dell’anniversario dei 25 anni della sua morte. Uno stile certamente originale quello di Chagall che non nasconde riferimenti ai movimenti d’avanguardia del suo tempo, che coniuga poesia e immaginazione in un universo magico e anacronistico, raccontandoci le malinconie e le gioie della sua umanità.


Scritto da Antonella Colaninno

CHAGALL.

IL MONDO SOTTO SOPRA

Dal 22 dicembre 2010 al 27 marzo 2011

Museo dell’Ara Pacis, Lungotevere in Augusta

Roma

A cura di Maurice Frèchuret, (Direttore dei Musei Nazionali del XX secolo delle Alpi marittime) e di Elisabeth Pacoud-Rème (responsabile delle collezioni al Musèe National Marc Chagall)












venerdì 21 gennaio 2011

MUSEO NAZIONALE DELL’EMIGRAZIONE ITALIANA (MEI)

                                          
                       
                             

Il museo come luogo di riflessione e di identità, come ricerca storica per ricostruire le ragioni della grande emigrazione italiana dal 1876 al 1915 raccontata attraverso oggetti, documenti e filmati. Gli anni del grande esodo tra le due guerre mondiali tra il 1916 e il 1945 e infine quello del secondo dopoguerra, dal 1946 al 1976, durante gli anni della ricostruzione e del decollo economico. E ancora, il ruolo degli italiani nel mondo dagli anni ´70 ai nostri giorni. Questo è il percorso espositivo del Museo Nazionale dell´ Emigrazione Italiana allestito nella Sala Gipsoteca del Complesso del Vittoriano di Roma che intende far riflettere sulla storia del nostro Paese. Essere italiani oggi è stato anche un processo di formazione identitaria in terra straniera, condiviso dagli emigranti provenienti da diverse regioni d'Italia nella conoscenza e nel rispetto della propria diversità. Il Museo è stato inaugurato il 23 ottobre 2009 all'interno del Vittoriano, edificio simbolo della comunità degli italiani in Italia e nel mondo. L´emigrazione negli ultimi decenni del `800 ha coinvolto molte regioni d´Italia e il più alto numero di partenze si è avuto in ordine decrescente in Veneto, Friuli, Piemonte, Lombardia e Campania. Nei primi quindici anni del Novecento, la Sicilia risultava la regione con maggior numero di partenze, seguita dalla Campania, dal Veneto, dal Piemonte e dalla Lombardia. Nel secondo dopoguerra si assiste invece, ad un flusso di migrazioni dalle regioni del Sud verso il Nord Italia, accentuando il disagio meridionale in termini di occupazione e di emancipazione. In questi ultimi decenni, l'Italia è diventata paese di immigrazione, allargando i propri confini culturali e mettendo in discussione le radici della propria italianità. Non un´Italia sola, ma tante realtà diverse raccontano le difficoltà di una pluriculturalità che ancora oggi stenta ad identificarsi in una sola, tenendo ancora vivo il dibattito sull´identità nazionale.


Scritto da Antonella Colaninno







I GRANDI VENETI AL CHIOSTRO DEL BRAMANTE


Bellini, PisanelloVivarini, Carpaccio, Tiziano, Lotto, Tintoretto, Palma, Veronese, Bassano, Tiepolo, Padovanino, Canaletto sono i grandi pittori veneti in mostra sino al 30 gennaio 2011 al Chiostro del Bramante. Una pittura lagunare, mutevole, velata da atmosfere umide, calde e cangianti allo stesso tempo che porta su di sé gli echi del gotico internazionale. I grandi fasti della pittura veneta illustrano la lunga storia che dal ‘400 al ‘700 ha determinato il corso dell’arte europea. Un percorso espositivo di ottanta dipinti  che inizia nella seconda metà del ‘400 con Carpaccio e Giovanni Bellini e la sua “Madonna con il Bambino”(1476) per continuare con Tiziano e Palma il Vecchio e la grande stagione del Rinascimento veneziano. E ancora la pittura raffinata di Lorenzo Lotto, Domenico Tintoretto (figlio di Jacopo) e Veronese, attenta agli slanci emotivi di cui è un esempio “L’elemosina di Santa Cristina”(1580) di Paolo Veronese. Il Seicento a Venezia declina il linguaggio del primo Rinascimento dai fasti di Tiziano a Giorgione, riscoprendo un nuovo classicismo. Infine, la pittura di Tiepolo conclude il percorso espositivo portandoci nel Settecento, nella grande stagione del naturalismo con i vedutisti e Canaletto, espressione di una cultura laica e razionale. Le delicate atmosfere di Pietro Longhi con le sue rappresentazioni del costume e della cultura veneziana chiudono questo interessante percorso espositivo sull'arte italiana e sulle straordinarie testimonianze artistiche della cultura della Serenissima. 

Scritto da Antonella Colaninno 

I GRANDI VENETI
Da Pisanello  Tiziano, da Tintoretto a Tiepolo
a cura di Giovanni Villa
dal 14 ottobre 2010 al 30 gennaio 2011
Chiostro del Bramante
Via della Pace (Piazza Navona), Roma

martedì 4 gennaio 2011

SALVADOR DALI' E LE FLUIDE ESSENZE DEL TEMPO



DI ANTONELLA COLANINNO

“…tanto è prolifica la fonte delle visioni paranoiche”. “Io non sono un pazzo”. Così scriveva Salvador Dalì, fantasioso e surreale fino al paradosso, mentre cercava dentro se stesso occhi che potessero guardare il mondo. Nella ricerca senza fine contro lo scorrere del tempo, Dalì aveva creato i suoi orologi fluidi, astrazioni meccaniche che, nel sogno e nella dimensione surreale, illuminano i lati oscuri del nostro essere. 

Egli è stato genio indiscusso della creatività, artista libero e incondizionato, romantico e stravagante, protagonista di sè e del suo tempo, istrionico pensatore, conservatore e amante del passato, ma attento anche ai cambiamenti della propria epoca. Nella sua arte Dalì ha cercato una forma e uno stile che esprimessero i fantasmi della solitudine che abitano la mente umana. Uno stile da apocalisse, il suo, che, secondo Vincenzo Trione, anticipa le catastrofi del nostro tempo: deserti, distese desolanti, sproporzioni e illusionismi, prospettive enigmatiche e visioni alienanti. E' l’incertezza a esprimere questi strani surrealismi inquieti ma quanto mai attuali e follemente affascinanti. Un universo del vago che cattura, disorientando, il pensiero, spogliando l’inconscio e sfiorando il limite di ogni umana percezione, perchè la pittura è specchio delle emozioni tradotte in segni, è lo strumento che esprime la morfologia della nostra psiche. L’arte, libera da ogni condizionamento, è uno strumento che consente di esprimere i lati oscuri della nostra mente, che“da firma ai processi mentali”, e scava nel tempo delle nostre vite per scoprire perversioni e debolezze, “la morte degli affetti”, “l’eccitazione per i dolori e le mutilazioni”. Dalì ha cercato di dare corpo alle emozioni e ai disagi organizzando, in un disegno razionale, la sfera dell’inconscio. Le porzioni di paesaggio rappresentano un palcoscenico surreale che accoglie una dimensione fluttuante, priva di centro. Per questo Dalì fa spesso riferimento a un lembo di terra, dalla natura arida e desertica, al confine con la Francia: la piana dell’Ampurdàn, un luogo caro e familiare insieme alla baia del Cadaquès, perchè qui, “In questo luogo privilegiato, il reale e il sublime quasi si toccano”

Queste allucinazioni popolano i paesaggi desertici di chiara identificazione, “paesaggi serpentini o dritti che costituiscono i duri, immobili riflessi della splendida anima chiusa nella terra.” “Le mattine sono gaie e selvagge, ferocemente analitiche e costruite; le sere sono morbidamente malinconiche, e gli alberi di olivo […] divengono immobili e grigi. L’ebbrezza del mattino sveglia nel mare piccole onde brillanti; la sera l’acqua diventa immobile come quella di un lago e rispecchia il dramma del precoce crepuscolo.” “Mi sento a casa solo qui, in questo luogo;…Partecipo al ritmo di una pulsione cosmica. Il mio spirito è in osmosi con il mare, gli alberi, gli insetti, le piante, e con questo raggiungo un reale equilibrio, che si traduce nei miei quadri” (S. Dalì). 

Dalì è un visionario di logiche inesistenti espresse attraverso visioni ordinate dal naturalismo surreale e dal linguaggio complesso senza senso. Perchè il paesaggio è il luogo del non detto e l’architettura la promessa di una nuova classicità da rivivere con libertà, affinchè possa guarire l’imperfezione estetica del nuovo secolo e accogliere il cambiamento in questo stato di stasi mentale. Perchè la bellezza è violenza degli equilibri, è armonia delle inquietudini espresse tra solennità ed evanescenza, tra equilibrio e caos, in assenza di logica narrativa, nell’enfasi di una luminosità torbida, inondata di luce infinita e surreale.

Pubblicato da Antonella Colaninno