Nudo di donna EGON SCHIELE















mercoledì 26 dicembre 2012

BENEDETTE FOTO! Carmelo Bene visto da Claudio Abate






di Antonella Colaninno

Il teatro surreale di Carmelo Bene raccontato dalle fotografie di Claudio Abate.
L’immaginario poetico e dissacratore del teatro contemporaneo di Carmelo Bene ha rivoluzionato la scena del teatro italiano del Novecento e ha fatto molto discutere per la sua originalità e la sua estrema e provocatoria contemporaneità tutta giocata sul ruolo delle immagini e dei suoni. Il corpo diventa lo strumento della comunicazione diretta con il pubblico, l’elemento predominante di una narrazione che affida alle luci e alla novità dei costumi e del trucco l’elemento principale della composizione scenica.
A dieci anni dalla scomparsa di Carmelo Bene, Palazzo delle Esposizioni celebra la figura complessa di questo artista e del suo teatro attraverso gli scatti di Claudio Abate, unica testimonianza visiva che ci è stata tramandata.
Le foto di Claudio Abate svolgono un ruolo importante nella vita di Carmelo Bene; fu infatti, grazie ai suoi scatti che l’artista fu scagionato dalle accuse di oltraggio per lo spettacolo Cristo 63. Il titolo della mostra “Benedette foto!” trae origine dalle parole pronunciate dallo stesso artista in merito a questa vicenda, ricordando l’effetto salvifico della sua testimonianza fotografica.
Circa 120 fotografie a colori e in bianco e nero documentano sulla scena, tra il debutto e le prove, il lavoro di recitazione tra la metà degli anni ’60 e la metà degli anni ’70 del Novecento, dei 10 tra i primi spettacoli di Carmelo Bene: Cristo 63; Salomè da e di Oscar Wilde, Faust o Margherita; Pinocchio ’63; Il Rosa e il Nero da di a G. M. Lewis; Nostra Signora dei Turchi; Salvatore Giuliano. Vita di una rosa rossa; Arden of Feversham; Don Chisciotte. Un percorso affascinante che non manca di emozionare il visitatore, che pone al centro la ricerca continua della dimensione dello spazio quale valore assoluto, dove ogni esperienza umana si disperde. Il presente rappresenta l'unica esperienza alienante del sè in una riflessione surreale sul tempo e sulla sua paradossale ambiguità.
L’ultima sezione della mostra è dedicata  alle riprese della Salomè (1972). L’archivio di Claudio Abate, a parte questa esperienza sul teatro, è incentrato sul lavoro delle arti visive e di artisti come: Pino Pascali; Jannis Kounellis; Eliseo Mattiacci; Fabio Mauri; Gino De Dominicis; i Neuen Wilden tedeschi e gli artisti della Scuola di San Lorenzo.
 

Pubblicato da Antonella Colaninno
Mostra visitata il 12 dicembre

In alto, in ordine: Carmelo Bene (Faust) in Faust o Margherita, Teatro dei Satiri, Roma 1966; Carmelo Bene (Faust) in Faust o Margherita, Teatro dei Satiri, Roma 1966; Carmelo Bene in Salomè, lungometraggio 1972; Carmelo Bene (Pinocchio) in Pinocchio ’66, Teatro Centrale, Roma 1966; Veruscka in Salomè (lungometraggio); Veruscka in Salomè; Carmelo Bene(Onorio) e Veruscka (Myrrhine) in Salomè (lungometraggio, 1972).

venerdì 21 dicembre 2012

RENATO GUTTUSO






“Quanno finisci di travirsarla tutta e infini arriva a capo della viuzza, si trova ad aviri il sciato grosso come quanno si tocca la riva allo stremo delle forzi doppo ‘na longa natata” Andrea Camilleri (da La Vucciria Renato Guttuso)



di Antonella Colaninno



Non è semplice cercare di raccontare il mondo così come lo vedeva Renato Guttuso (Bagheria, 1912 – Roma, 1987) che del suo tempo e del suo mestiere ha fatto passione di vita e di arte.“Se io potessi, per una attenzione del Padreterno, scegliere un momento nella storia e un mestiere sceglierei questo tempo e il mestiere del pittore.” Sempre attento alle relazioni con altri artisti, Guttuso ha mantenuto viva in sé una certa “sicilitudine.” L’amore per la vita e per il colore, e un erotismo mai nascosto sono solo una parte di una visione del mondo dove l’ombra della morte resta una presenza vigile, una nota stridente che serpeggia misteriosa tra la vitalità della gente e dei colori dei suoi mercati. Una visione antica di amore e di morte, di erotismo e di passione che traduce il mito e la storia nel presente perché il vero protagonista in Guttuso è l’uomo e la sua storia.

Una vita vissuta tra Milano, Palermo e Roma tra artisti ed intellettuali. Alberto Moravia, Giacomo Manzù, Leonardo Sciascia, Eugenio Montale, Pablo Neruda, Luchino Visconti, Vittorio De Sica e Pierpaolo Pasolini ebbero con lui un’intensa collaborazione artistica, e poi l’amico Picasso a cui dedicò una serie di opere tra cui Il Convivio (1973), nella quale Picasso pittore siede tra alcuni dei suoi personaggi come la donna de Les demoiselles e l’Arlecchino pensoso. 
In occasione del centenario della sua nascita, Roma dedica all’artista siciliano una grande mostra, la prima antologica sull’intero percorso artistico di Guttuso che a Roma trascorse più di 50 anni di vita. Oltre 100 opere raccontano il suo impegno di artista nella società, spesso criticato da aspre polemiche quando il suo linguaggio si fa provocatore e rompe gli schemi iconografici tradizionali. La Crocifissione (1940,41) con la Maddalena denudata e le croci collocate frontalmente l’una alle altre, sollevò la disapprovazione degli ambienti cattolici e fu condannata dal Vaticano. Guttuso amava dipingere tele di grande formato, pensava fosse un atto dovuto ad un pittore.“Io di solito aspetto che mi vengano le idee, non le vado mai a cercare, un giorno ero seduto al caffè Greco, proprio nella sala che ho dipinto, e ho cominciato a pensare che era un tema che mi si addiceva. C’era de Chirico da un lato, seduto. Ho continuato a pensare al progetto e quando si è un po’ maturato ho incominciato a fare qualche disegno […] in questo quadro c’è un elemento catalizzatore, Giorgio de Chirico, anche se il fascino del luogo nasce anche dalla gente che ci è passata, da Buffalo Bill a Gabriele D’Annunzio. […] nel quadro ci sono molti elementi dechirichiani, penso a “il sogno del poeta” a “il ritratto premonitore di Guillaume Apollinaire […]. Volevo però dare, sia pure con un solo segno, il senso della storia che è passata.”

Guttuso racconta così, le immagini di una storia attraverso altre storie, dando vita ad un sentimento collettivo che traccia il disegno di un’epoca e si concentra sul tempo dell’uomo. Nella Vucciria (1974), l’esaltazione del colore e la sinuosità delle forme enfatizzano un sentimento di morte. Le carni appese ed il piano inclinato sullo sfondo dove la frutta e gli ortaggi sembrano ruotare in un vortice, esprimono il senso del tempo e del suo inesorabile passaggio. Cesare Brandi scrive che “[…] il quadro brucia, il quadro, con tanti timbri quasi violenti che si cozzano, in realtà vive entro contorni di pece, listato e lutto. […] come su un fondo nero, come dipinto su una lastra di lavagna […]” Una chiara allusione alla sua terra, la Sicilia, così piena di vita e di colori ma segnata da un destino di paura e di morte. Lo stesso Guttuso scriveva: “E’ un quadro nero […] mentre dipingevo, mi sono accorto come tutta quella abbondanza di vita contenesse, nel fondo, un senso distruttivo. Senza che io ci pensassi o volessi, la tela esalava un sentimento di morte.”

In Guttuso la memoria è il filo conduttore delle sue storie. La memoria di sé, riprodotta negli autoritratti, la memoria dei luoghi che attraverso i colori esprimono le sensazioni  dei profumi e dei sapori. E infine, la memoria della storia e delle tante storie che la compongono. Le atmosfere cupe della guerra e la luce della Sicilia, la memoria letteraria e quella neorealista desunta dal cinema e dagli ambienti popolari. Tutto il Novecento si racconta nell’umanità di Renato Guttuso, con le sue passioni e le sue storie di dolore, ancora così antica per essere contemporanea, ma così attuale pur restando anacronistica.







“Chi ripercorre la sua pittura, come le motivazioni che passo passo ne hanno giustificato le ragioni, è di fronte a un grado di passionalità partecipativa, di vitalismo, sorprendenti, e certo di portata tutt’altro che inattuale.” Enrico Crispolti  
Mostra visitata il 12 dicembre

In alto, in ordine: Guttuso e Marta Marzotto; Il caffè greco; La Vucciria (particolare); Amanti (?); Figura femminile.



Pubblicato da Antonella Colaninno

mercoledì 5 dicembre 2012

CELESTE PRIZE 2012



di Antonella Colaninno

Sabato 1 dicembre si è conclusa l’edizione 2012 del Celeste Prize, curata da Katia Garcia –Anton. I vincitori sono stati scelti attraverso il voto degli artisti finalisti, durante la mostra allestita presso la Centrale Montemartini di Roma. Oltre 1400 artisti provenienti da tutto il mondo si sono confrontati con il proprio lavoro, sottoponendolo all’attenzione della curatrice e del comitato di selezione. Quattro le categorie tra Pittura, Fotografia, Installazione & Scultura, e Video & Animation Price, a cui si aggiunge il Premio del pubblico.
Per la sezione Pittura, il premio va all’artista tedesca Antoinette Von Saurma e al suo inchiostro su carta dal titolo Sendai in the snow. Una commovente rappresentazione di un paesaggio del Sendai presso Fukoshima dopo la tragedia dello Tsunami, descritto attraverso il deserto dei suoi fantasmi, di ombre ormai vuote private delle forme di vita. L’immobolità del paesaggio si ispira alle immagini giapponesi, all’ordine di queste composizioni e alle costanti evocazioni poetiche.
L’opera dal titolo Pietà dell’artista inglese David Birkin si aggiudica il primo premio per la sezione Fotografia. Una grande campitura dai colori del mare ricavata da polveri di lapislazzuli copre l’immagine relativa alla notizia di una donna afghana ai funerali di sua figlia. Come spiega l’artista, i pigmenti di lapislazzuli hanno un significato simbolico che rimanda al colore dell’abito della Vergine Maria delle iconografie rinascimentali. Il manto che copre il soggetto della foto ha il valore di una censura morale verso il rispetto del dolore e del silenzio e si eleva a una invocazione alla preghiera.
Curtains è il titolo dell’installazione dell’artista spagnolo Jaime de la Jara vincitore del primo premio per la sezione Installazione & Scultura. Una serie di rigide tende oscure occupano le pareti di una stanza buia senza finestre. Una lettura trasversale ed un'analisi politico-sociale per comprendere ciò che nascosto, non ci è permesso vedere, traslando il significato del soggetto attraverso una lettura dei significati concettuali.  
Landsape - Ipotesi 35 è la fotografia di Giovanni Guadagnoli che si aggiudica il premio del Pubblico. Un paesaggio velato resta sospeso tra la leggerezza dell’aria e la durezza della terra, tra l’immaginazione e il senso della realtà. Se la macchina che percorre l’asfalto rappresenta la volontà del cammino che intraprendiamo verso un futuro che non conosciamo, il volo dell’aereo è invece, l’altra metà della nostra essenza.
Il video dell’artista spagnola Cristina Nunez dal titolo Someone to love è il vincitore dell’ultima sezione Video & Animation. Una straordinaria testimonianza di vita che nasce dall’esigenza di raccontarsi attraverso la storia della propria famiglia e di scoprire le verità sino ad allora sconosciute da cui è possibile spiegare ogni possibile concatenazione degli eventi. L’artista sceglie di montare le fotografie per dittici e trittici per cercare relazioni ed analogie con i suoi parenti, per trovare punti comuni e cercare di comprendere il suo comportamento. Una serie di autoscatti costituiscono il progetto di una auto analisi che mette a nudo la propria anima, nel tentativo di liberarla da ansie, rabbie e paure. Un progetto che vuole porsi al servizio degli altri insegnando le facoltà terapautiche dell’autoscatto come autoanalisi. “Someone to love is my autobiography in self portraits […] family pictures and other photographs, mounted together on a video, and united by my voice which narrats the story of my life […].”
“[…] my mission: to teach my method to others, so that people can learn to convert their own pain into works of art.”

Pubblicato da Antonella Colaninno

Nelle immagini: Sendai in the snow; Pietà; Curtains; Landscape-Ipotesi 35; Someone to love; Steven Music e il Celeste Prize Team.