Nudo di donna EGON SCHIELE















lunedì 24 giugno 2013

LE STANZE DEL VETRO...NOT VITAL: 700 Snowballs / FRAGILE?



di Antonella Colaninno

Entrando nell'Abbazia di San Giorgio Maggiore si resta affascinati dalla luce e dalla trasparenza delle 700 Snowballs, un vero e proprio esercito di vetro che si mobilita con l'unico intento di creare un'ambientazione naturale per la contemplazione e suscitare meraviglia, ispirandosi ad un'atmosfera magica che ricorda le sfere di cristallo delle veggenti e soprattutto la lenta e candida discesa della neve. Le metamorfosi della natura trasformano in ghiaccio una sostanza liquida e il suo scorrere libero diventa una forma perfetta quando gela. Quale materiale duttile se non il vetro poteva realizzare questa straordinaria trasformazione? Ogni palla di neve dell'installazione dell'artista svizzero Not Vidal è stata soffiata a mano dal sapiente lavoro artigiano delle vetrerie di Murano e si distingue per la sua unicità. 

La fragilità del vetro e la caducità delle trasformazioni naturali evocate ripercorrono il progetto comune delle "Stanze del Vetro" sulla ricerca e sulla valorizzazione della lavorazione del vetro dal XX secolo sino ai nostri giorni, e della mostra "Fragile?" La mostra intende ricordare l'importanza dell'uso del vetro durante il XX secolo, come nuova forma di comunicazione e di dialogo con il mondo esterno. Trasparenza, fragilità e resistenza rappresentano la nuova comunicazione che non chiude le barriere ma si proietta verso la conoscenza della realtà e del linguaggio contemporaneo. "Fragile?" presenta 28 lavori di alcuni tra gli artisti contemporanei che hanno utilizzato il vetro per le loro creazioni. Un titolo che vuole ricordare non solo la fragilità di questo materiale, ma soprattutto la fragilità dell'individuo e la precarietà della condizione umana e dei suoi equilibri. Ma il vetro è anche un possibile contenitore che isola e racchiude, metafora della solitudine, del limite e delle difficoltà di comprendere ciò che spesso sfugge ai nostri sensi. Attraverso il vetro si evocano le tradizioni di culture a noi lontane dove questo materiale diventa l'espressione popolare di una forma violenta di decorazione urbana. Nel lavoro dell'artista scozzese David Batchelor (Dondee, 1955) "Concreto" (2012) punte di vetro colorato di diverse dimensioni sono fissate su una base di cemento e si ispirano a quei vetri rotti presenti sui muri delle case delle periferie brasiliane per identificare una proprietà privata e sono interpretate dall'artista come una forma naturale di street art. "Filies in a Jar"(1994) di David Hammons (Springfield, Illinois. 1943) si ispira all'idea di un organo in vitreo, tra esperimento e feticcio, e vuole interpretare la sessualità maschile così libera eppure chiusa in un barattolo di vetro, simbolo del potere di una censura che finisce per diventare il racconto di un mito. "Barra d'aria"(1969-1996) di Giuseppe Penone (Garessio, Italia, 1947) è un parallelepipedo di vetro che raccoglie i suoni del mondo esterno. Uno strumento naturale di percezione che assume valore di scultura. L'installazione "Terremoto in Palazzo"(1981) di Joseph Beuys (Germania, Krefeld, 1921 - Dusseldorf, 1986) ci consegna la testimonianza della dolorosa memoria collettiva di quel terremoto in Irpina del 1980, a cui il noto gallerista napoletano Lucio Amelio volle dedicare un'importante mostra. Vetri in bilico tra la vita e la morte tra fragili schegge ed equilibri precari raccontano la transitorietà imprevedibile dell'esistenza umana. Infine il cerchio delle bottiglie spezzate dell'artista libanese Mona Hatoum (Beirut, Libano, 1952) "Drowning Sorrows (wine bottles)", (2004) lascia libertà di interpretazione. C'è chi considera palese il messaggio di un esilio doloroso nel cerchio di un mare di cemento e chi invece preferisce pensare all'idea di una comunicazione spezzata, di un messaggio in bottiglia mai arrivato a destinazione e lasciato al mistero del mare. 

Pubblicato da Antonella Colaninno

Luogo visitato il 1 giugno presso l'Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia.
Mostra a cura di Mario Codognato
Artisti in mostra: Ai Weiwei; Giovanni Anselmo; David Batchelor; Walead Beshty; Joseph Beuys; Monica Bonvicini; Cyril de Commarque; Michael Craig-Martin; Marcel Duchamp; Luciano Fabro; Matias Faldbakken; Ceal Floyer; Claire Fontaine; Gilbert & George; David Hammons; Mona Hatoum; Damien Hirst; Joseph Kosuth; Jannis Kounellis; Barry Le Va; Mario Merz; Carsten Nicolai; Giuseppe Penone; Gerhard Richter; Pipilotti Rist; Keith Sonnier; Lawrence Weiner; Rachel Whiteread.
                                 

                                  

                                   
In foto: alcune immagini delle Snowballs di Not Vidal; l'artista Not Vidal; David Hammons/"Files in a Jar"; David Batchelor/"Concreto"; Giuseppe Penone/"Barra d'aria"; Joseph Beuys/"Teremoto in Palazzo"; Mona Hatoum/"Drowning Sorrow (wine bottles)".














lunedì 17 giugno 2013

ROY LICHTENSTEIN SCULPTOR



di Antonella Colaninno


"Di fatto le sulture di Lichtenstein sembrano impregnate di un'esperienza del vuoto, prediletta nelle culture orientali. [...] Avvicina l'immagine ad un'entità oltrepassabile fatta di sola luce, simile ad un'emissione proiettata sul muro, come un'ombra cinese. Risulta quasi una coagulazione di spazio, vicina alle vetrate medievali, perchè fatta di spazi barrati o delineati da contorni, ma attraversabili." Germano Celant


 Il Magazzino del Sale alle Zattere con le sue mura cinquecentesche, è oggi sede della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova. 


Le antiche volte dei Magazzini si colorano con le forme stravaganti delle sculture di uno dei maestri della Pop Art americana: Roy Lichtenstein, ripercorrendo quel filo immaginario che Emilio Vedova propose come strumento di dialogo tra la sua esperienza artistica e quella dei grandi artisti contemporanei. Sempre negli ambienti dei Magazzini infatti è in permanenza la mostra i "...Cosiddetti Carnevali..." un ciclo sul carnevale che il maestro veneziano realizzò a partire dalla fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 che documenta le suggestioni delle maschere dei carnevali del mondo durante i suoi viaggi in Nord Europa, Brasile e Messico. La mostra Roy Lichtenstein Sculptur a cura di Germano Celant, con gli allestimenti di Francesca Fenaroli dello Studio Gae Aulenti Associati e realizzata grazie alla collaborazione della Roy Lichtenstein Foundation di New York, presenta una serie di 45 opere tra disegni, bozzetti, collage, moquettes, modelli e sculture tutti realizzati tra il 1965 e il 1997, provenienti dalla fondazione americana oltre che da importanti musei e collezioni private. Una grande vetrina che passa attraverso echi di modernismo e di surrealismo ma con un gusto espressionista nell'uso del colore. La scultura di Roy Lichtenstein consuma il proprio plasticismo sino a perdere il senso del volume e a identificarsi con la superficie di uno spazio bidimensionale. La linea disegna una figura che si riempie attraverso gli spazi colorati, sottile e morbida essa si esprime nel disegno del fumetto e della cartellonistica pubblicitaria. Onde sinuose e linee rette sono elementi decorativi raffinati ed ironici decontestualizzati da qualsiasi entità di spazio e di tempo che ripercorrono l'idea "dell'appiattimento dei mass media." Una comunicazione "di superficie"che si svuota di contenuti e si smaterializza di fronte a qualsiasi rifermento con la realtà. "Di fatto l'emozionalità e l'esperienza della realtà lasciano campo ad un'informazione visuale e concettuale, la cui configurazione è indeterminata e indefinibile, priva di identità perchè multiforme ed aperta. Il reale si volatilizza e si sviluppa in un'alternativa immaginaria che elude ogni identificazione, a parte quella di essere ripetuta all'infinito: una prestazione dello stesso che vive di apparenza più che di sostanza" (Germano Celant). Nelle sculture c'è tutta la seduzione della grande macchina dell'industria culturale. I mass media filtrano la società ma la svuotano di contenuti, proponendo una dimensione surreale quale unica alternativa possibile in cui identificarsi, leggera e sognante, distante dalle contingenze reali. L'appiattimento dei volumi è la risposta alla volontà di annullare la partecipazione alle cose e il loro stesso spessore. Una sensorialità effimera ed entusiasta che si traduce nella trasparenza della forma e nella dimensione puramente materica degli spazi. L'immagine si espleta nella immediatezza della sua rappresentazione come nel mondo magico ed illusorio della comunicazione di massa dove ciò che conta è solo la potenza dell'immagine e la velocità del suo potere di fascinazione. L'assenza di tridimensionalità rappresenta la mancanza di adesione alla realtà mentre la forma si esalta nel valore assoluto della decorazione fermandosi allo stato superficiale delle cose, priva di concretezza e di azione.

Pubblicato da Antonella Colaninno

Luogo visitato il 31 maggio in occasione della mia partecipazione alla inaugurazione della 55 Biennale d'Arte di Venezia.

In foto: locandina della mostra; "House II, 1997; Roy Lichtenstein; "Sleeping Muse, 1983.


venerdì 14 giugno 2013

BEWARE OF THE HOLY WHORE Edvard Munch, Lene Berg and the Dilemma of Emancipation




DI ANTONELLA COLANINNO

"Outside the gate to the City of Free Love he met a peasant and he questioned about the city. 
-Yes, said the peasant, this is a state within a state. It is free and has free laws. Some of the laws say that people should stay awake and drink at night and sleep during the day.
Marriages are made without any priest or fuss - a marriage does not last for more than three years, otherwise they are punished - and they can also in fact make marriages for two or three days - An idealist-
-Yes, you see, let me tell you, they have brought Heaven down to Earth. No chains will bind free love - Long live Free Love!" (The City of Free Love - Edvard Munch)

“Beware of the Holy Whore: Edvard Munch, Lene Berg and the dilemma of the Emancipation” è il progetto organizzato dall’ OCA (Office for Contemporary Art Norway) e dalla Fondazione Bevilacqua la Masa per rappresentare la Norvegia alla 55 Biennale di Venezia. 

Esso intende riflettere sulle contraddizioni che spesso affiancano il difficile percorso di conquista per l’emancipazione tra libertà e isolamento, e del raggiungimento di una vita diversa. La Norvegia è stata la nazione simbolo della conquista per l’emancipazione e del superamento delle convenzioni, un passaggio storico non semplice che è stato segnato dai limiti imposti dalla censura. L’emancipazione sfugge, infatti, a quel controllo delle masse, tipico dei moderni sistemi socio politici in cui predomina il potere economico, e porta l’individuo a svincolarsi dal proprio contesto culturale e sociale, in un percorso fatto di passione per la libertà ma, allo stesso tempo, di limiti determinati dalle proprie sovrastrutture mentali. Solo con il tempo, questi slanci possono trasformarsi in azione collettiva verso il progresso, e portare a grandi cambiamenti. “Munch non parla di macchine, di città in via di costruzione, del mito positivista del progresso. Piuttosto, ci racconta di flusso e riflusso del presente, di una continua confusione tra l’esteriorità e l’essere interiore, in definitiva, della difficoltà di decidere cosa essere davvero.” (Angela Vettese). La libertà ha, infatti, in sé, una parte di repressione e sviluppa, per questo, ambiguità e una coscienza disturbata che in Munch si esprimono in quelle tipiche distorsioni spaziali che rappresentano le immagini riflesse delle distorsioni dell’io, tra magrezza, senso della morte, e liberazione dal giudizio altrui.  


La Norvegia, nel 1913, è stata la seconda nazione europea, dopo la Finlandia, a consentire il diritto di voto alle donne, ma, già dal 1884, è stata impegnata sul fronte della tutela dei diritti delle donne sul lavoro. Un passo importante per il cammino verso l’emancipazione, che però ha rappresentato una frattura sia per la cultura dominante dell’epoca che per l’identità individuale. Tutto questo ha coinciso, storicamente, con lo sviluppo industriale e con la conseguente crisi dei valori della società contadina, fondata sulla stabilità dell'educazione religiosa. Un percorso ancora in atto per molti Paesi, che ha segnato il grande conflitto tra società di massa e individuo, in una via senza uscita che ha condotto in molti casi, alla perdita dell’orientamento.
Il film della regista Lene Berg, proiettato nella prima sala della Fondazione Bevilacqua La Masa, apre il percorso della mostra. Il film è montato su una particolare regia dove il ruolo dei protagonisti è allo stesso tempo, anche un non ruolo. Esso, infatti, si svolge nella storia non-storia di un triangolo tra due uomini e una donna, che finisce col confondere i ruoli nel tentativo di cercare l’unità nella frammentarietà dell’individuo, cercando il raggiungimento di una vita diversa che resta però segnata dall’isolamento.

Pubblicato da Antonella Colaninno



Luogo visitato il 31 maggio 2013, in occasione della mia partecipazione alla inaugurazione della 55 Biennale d’Arte di Venezia.