“Tuggener riesce a realizzare fotografie industriali che
lo qualificano come poeta, oltre che come pittore; un illusionista unico nel
suo genere, un singolare alchimista che, pur se in quantità ridotte, è in grado
di tramutare il piombo in oro” Max Eichenberger
di Antonella Colaninno
Il MAST di Bologna è un luogo sperimentale, uno spazio
espositivo nonchè centro polifunzionale dove le archeologie industriali e le
idee imprenditoriali rappresentano il progetto futurista della crescita
economica e culturale di una visione estetica del lavoro. Sorto nel quartiere
Reno di Bologna nell’ottobre del 2013, per volere dell’imprenditrice Isabella
Seragnoli, Il MAST (acronimo di Manifattura di Arti, Sperimentazione e
Tecnologia) ospita una mostra interessante del fotografo svizzero Jakob
Tuggener (1904-1988), “considerato uno
dei dieci fotografi industriali di maggior spicco che siano mai esistiti”.
Fotografo, ma anche regista e pittore, Tuggener si distingue per uno stile
poetico e uno sguardo esistenziale che indaga sul rapporto intimo tra l’uomo e
il lavoro, tra macchina e umanità. Questa poetica che unisce passione e
modernità, trova il suo punto di massima riflessione nel saggio fotografico “Fabrik” pubblicato nel 1943 , sulla relazione che lega l’uomo all’universo delle macchine. Il mondo delle
industrie appare dominare con la sua forza e i suoi ingranaggi, ma Tuggener
indaga l’animo umano penetrando con occhio ravvicinato sulle persone e sugli
oggetti, svelandone emozioni e pensieri attraverso l’obiettivo della sua Leica.
“[…] Tuggener compose menabò pronti per
la stampa: sequenze fotografiche rilegate comprendenti oltre 100 immagini
originali a tutta pagina o su due pagine per le quali, però, non riuscì mai a
trovare un editore adatto. L’unica eccezione fu la grandiosa “epopea illustrata
della tecnica”, uscita nel 1943 con il titolo Fabrik e considerata oggi una
pietra miliare nella storia del libro fotografico. Fu infatti grazie a questa
pubblicazione che Tuggener trovò spazio in prestigiose collettive come la “Prima mostra internazionale biennale di
fotografia” di Venezia nel 1957. Il suo destino di artista è legato alle
vicende professionali e alla crisi del ’29: rimasto senza lavoro si iscrisse
alla Reimann Schule di Berlino, “un’accademia
privata di arte e design”. Fabrik è descritto come un pezzo di storia
contemporanea e dell’umanità, un “documento
vivace, scottante, uno spaccato del mondo delle macchine in tutti i suoi
aspetti, sviluppi, potenzialità e limiti” (Arnold Burgauer). A prima vista,
con una serie di 72 fotografie, l’artista sembra voler ripercorrere la storia
dell’industrializzazione, ma da una lettura più approfondita e “con la giustapposizione associativa delle
fotografie simile a un film, Tuggener mirava anche a illustrare il potenziale
distruttivo del progresso tecnico indiscriminato, il cui esito, a suo vedere,
era la guerra in corso, per la quale l’industria bellica svizzera produceva
indisturbata.” Fabrik è considerato un successo artistico più che
commerciale, poiché il testo fu svenduto e si pensa che parte dei volumi
finirono persino al macero. L’opera fu sicuramente ispirata dalla conoscenza
che Tuggener aveva delle fabbriche, avendo svolto un apprendistato come
disegnatore tecnico proprio in uno stabilimento di Zurigo dove iniziò anche a
sperimentare la fotografia. Non fu però assunto come fotografo ufficiale, ma
ebbe l’incarico di realizzare “una sorta
di veduta interna della fabbrica” che dovesse “colmare il divario tra operai, impiegati e direzione”, riuscendo a
cogliere aspetti inconsueti e a fotografare “scene
inosservate della vita quotidiana in fabbrica”.
Le immagini realizzate da
Tuggener sono “composte come un montaggio
cinematografico” e osservano gli aspetti inconsueti della vita quotidiana
all’interno della fabbrica, per questo il fotografo riprende in primi piani il
volto degli operai come il fochista o l’addetto alla caldaia, mostrando in
questo modo espressioni inedite attraverso inquadrature da regista simili a
sequenze “da film muto”. Ma Tuggener
non realizzò solo fotografie industriali; ha lasciato infatti anche un “reportage” di immagini di balli e feste
mondane nel suo stile elegante e indiscreto che indaga particolari inediti
dell’alta società, rivelando la sensualità dilagante dei protagonisti e
l’atmosfera estetizzante del piacere mondano. Un lavoro che però non trovò il
consenso dei signori fotografati che “preferivano
restare anonimi o non essere visti in compagnia di determinate signore”. Lo
stesso Tuggener si definiva un artista di seta e di macchine per la sua strana
predilezione per questi punti estremi della società, dove “il lusso sfrenato e
le mani sporche del lavoro”, per “le donne seducenti e gli operai sudati”. “Li
riteneva di egual valore artistico e rifiutava di essere classificato come un critico
della società che contrapponeva due mondi antitetici.”
Pubblicato da Antonella Colaninno
In foto: Interno del MAST: Riflessi (foto di Antonella Colaninno); Nebbia (foto di Antonella Colaninno); foto da Fabrik 1933-1953; foto da Nuits de Bal 1934-1950.
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