Nudo di donna EGON SCHIELE















martedì 4 gennaio 2011

SALVADOR DALI' E LE FLUIDE ESSENZE DEL TEMPO



DI ANTONELLA COLANINNO

“…tanto è prolifica la fonte delle visioni paranoiche”. “Io non sono un pazzo”. Così scriveva Salvador Dalì, fantasioso e surreale fino al paradosso, mentre cercava dentro se stesso occhi che potessero guardare il mondo. Nella ricerca senza fine contro lo scorrere del tempo, Dalì aveva creato i suoi orologi fluidi, astrazioni meccaniche che, nel sogno e nella dimensione surreale, illuminano i lati oscuri del nostro essere. 

Egli è stato genio indiscusso della creatività, artista libero e incondizionato, romantico e stravagante, protagonista di sè e del suo tempo, istrionico pensatore, conservatore e amante del passato, ma attento anche ai cambiamenti della propria epoca. Nella sua arte Dalì ha cercato una forma e uno stile che esprimessero i fantasmi della solitudine che abitano la mente umana. Uno stile da apocalisse, il suo, che, secondo Vincenzo Trione, anticipa le catastrofi del nostro tempo: deserti, distese desolanti, sproporzioni e illusionismi, prospettive enigmatiche e visioni alienanti. E' l’incertezza a esprimere questi strani surrealismi inquieti ma quanto mai attuali e follemente affascinanti. Un universo del vago che cattura, disorientando, il pensiero, spogliando l’inconscio e sfiorando il limite di ogni umana percezione, perchè la pittura è specchio delle emozioni tradotte in segni, è lo strumento che esprime la morfologia della nostra psiche. L’arte, libera da ogni condizionamento, è uno strumento che consente di esprimere i lati oscuri della nostra mente, che“da firma ai processi mentali”, e scava nel tempo delle nostre vite per scoprire perversioni e debolezze, “la morte degli affetti”, “l’eccitazione per i dolori e le mutilazioni”. Dalì ha cercato di dare corpo alle emozioni e ai disagi organizzando, in un disegno razionale, la sfera dell’inconscio. Le porzioni di paesaggio rappresentano un palcoscenico surreale che accoglie una dimensione fluttuante, priva di centro. Per questo Dalì fa spesso riferimento a un lembo di terra, dalla natura arida e desertica, al confine con la Francia: la piana dell’Ampurdàn, un luogo caro e familiare insieme alla baia del Cadaquès, perchè qui, “In questo luogo privilegiato, il reale e il sublime quasi si toccano”

Queste allucinazioni popolano i paesaggi desertici di chiara identificazione, “paesaggi serpentini o dritti che costituiscono i duri, immobili riflessi della splendida anima chiusa nella terra.” “Le mattine sono gaie e selvagge, ferocemente analitiche e costruite; le sere sono morbidamente malinconiche, e gli alberi di olivo […] divengono immobili e grigi. L’ebbrezza del mattino sveglia nel mare piccole onde brillanti; la sera l’acqua diventa immobile come quella di un lago e rispecchia il dramma del precoce crepuscolo.” “Mi sento a casa solo qui, in questo luogo;…Partecipo al ritmo di una pulsione cosmica. Il mio spirito è in osmosi con il mare, gli alberi, gli insetti, le piante, e con questo raggiungo un reale equilibrio, che si traduce nei miei quadri” (S. Dalì). 

Dalì è un visionario di logiche inesistenti espresse attraverso visioni ordinate dal naturalismo surreale e dal linguaggio complesso senza senso. Perchè il paesaggio è il luogo del non detto e l’architettura la promessa di una nuova classicità da rivivere con libertà, affinchè possa guarire l’imperfezione estetica del nuovo secolo e accogliere il cambiamento in questo stato di stasi mentale. Perchè la bellezza è violenza degli equilibri, è armonia delle inquietudini espresse tra solennità ed evanescenza, tra equilibrio e caos, in assenza di logica narrativa, nell’enfasi di una luminosità torbida, inondata di luce infinita e surreale.

Pubblicato da Antonella Colaninno 







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