La fragilità del vetro e la caducità delle trasformazioni naturali evocate ripercorrono il progetto comune delle "Stanze del Vetro" sulla ricerca e sulla valorizzazione della lavorazione del vetro dal XX secolo sino ai nostri giorni, e della mostra "Fragile?" La mostra intende ricordare l'importanza dell'uso del vetro durante il XX secolo, come nuova forma di comunicazione e di dialogo con il mondo esterno. Trasparenza, fragilità e resistenza rappresentano la nuova comunicazione che non chiude le barriere ma si proietta verso la conoscenza della realtà e del linguaggio contemporaneo. "Fragile?" presenta 28 lavori di alcuni tra gli artisti contemporanei che hanno utilizzato il vetro per le loro creazioni. Un titolo che vuole ricordare non solo la fragilità di questo materiale, ma soprattutto la fragilità dell'individuo e la precarietà della condizione umana e dei suoi equilibri. Ma il vetro è anche un possibile contenitore che isola e racchiude, metafora della solitudine, del limite e delle difficoltà di comprendere ciò che spesso sfugge ai nostri sensi. Attraverso il vetro si evocano le tradizioni di culture a noi lontane dove questo materiale diventa l'espressione popolare di una forma violenta di decorazione urbana. Nel lavoro dell'artista scozzese David Batchelor (Dondee, 1955) "Concreto" (2012) punte di vetro colorato di diverse dimensioni sono fissate su una base di cemento e si ispirano a quei vetri rotti presenti sui muri delle case delle periferie brasiliane per identificare una proprietà privata e sono interpretate dall'artista come una forma naturale di street art. "Filies in a Jar"(1994) di David Hammons (Springfield, Illinois. 1943) si ispira all'idea di un organo in vitreo, tra esperimento e feticcio, e vuole interpretare la sessualità maschile così libera eppure chiusa in un barattolo di vetro, simbolo del potere di una censura che finisce per diventare il racconto di un mito. "Barra d'aria"(1969-1996) di Giuseppe Penone (Garessio, Italia, 1947) è un parallelepipedo di vetro che raccoglie i suoni del mondo esterno. Uno strumento naturale di percezione che assume valore di scultura. L'installazione "Terremoto in Palazzo"(1981) di Joseph Beuys (Germania, Krefeld, 1921 - Dusseldorf, 1986) ci consegna la testimonianza della dolorosa memoria collettiva di quel terremoto in Irpina del 1980, a cui il noto gallerista napoletano Lucio Amelio volle dedicare un'importante mostra. Vetri in bilico tra la vita e la morte tra fragili schegge ed equilibri precari raccontano la transitorietà imprevedibile dell'esistenza umana. Infine il cerchio delle bottiglie spezzate dell'artista libanese Mona Hatoum (Beirut, Libano, 1952) "Drowning Sorrows (wine bottles)", (2004) lascia libertà di interpretazione. C'è chi considera palese il messaggio di un esilio doloroso nel cerchio di un mare di cemento e chi invece preferisce pensare all'idea di una comunicazione spezzata, di un messaggio in bottiglia mai arrivato a destinazione e lasciato al mistero del mare.
Pubblicato da Antonella Colaninno
Luogo visitato il 1 giugno presso l'Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia.
In foto: alcune immagini delle Snowballs di Not Vidal; l'artista Not Vidal; David Hammons/"Files in a Jar"; David Batchelor/"Concreto"; Giuseppe Penone/"Barra d'aria"; Joseph Beuys/"Teremoto in Palazzo"; Mona Hatoum/"Drowning Sorrow (wine bottles)".
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