Nudo di donna EGON SCHIELE















domenica 28 marzo 2010

RIFLESSIONI SU ARTEFIERA







Arte Fiera è una grande vetrina sulla contemporaneità, attenta alle proposte del mercato dell’arte internazionale di qualità. La scelta dei contenuti esprime l’importanza di questo appuntamento fieristico che sottolinea soprattutto la “propria identità di fiera storicizzata”, nella continuità del pensiero dell’arte, nel confronto tra le creatività. Passeggiare all’interno degli spazi espositivi di Arte Fiera significa ripercorrere nel tempo le grandi esperienze visive dell’arte contemporanea attraverso la sensibilità di artisti che hanno lasciato un’ impronta ineguagliabile di stile. Ho trovato molto affascinante l’idea di utilizzare spazi alternativi a quelli fieristici per far dialogare l’opera d’arte non solo con il fruitore ma soprattutto con gli spazi urbani e con le persistenze architettoniche. Credo che un’opera così allestita trasmetta in chi la osserva un’emozione più profonda, perché si creano delle strane alchimie comunicative. Tra queste, l’opera “Speleotema” di Francesco Simeti installata a ridosso della volta affrescata del cortile dell’Archiginnasio e quella di Angela Glajcar, “Perforation Schewebend” allestita all’interno degli spazi della storica Galleria Cavour. Il potere dell’immagine accresce la sua carica suggestiva ponendosi in una continuità naturale con il passato e in un dialogo interattivo con gli spazi architettonici. E’come se l’opera raccontasse di sé, si svelasse intimamente al suo osservatore, lo trovo molto sensuale. Barry x Ball di Matthew Barney (Yellow-Black) Dual Dual Portrait installata negli spazi del Museo Archeologico, credo che sia molto forte nella sua carica comunicativa, la sua rivelazione coinvolge in ogni piccolo dettaglio, è un’opera che si apre completamente allo spazio circostante in una visione continua; credo si possa definire un capolavoro.
Tra gli appuntamenti di Arte Fiera di sabato 30 gennaio (unica mia giornata all’interno dei padiglioni) vorrei segnalare l’incontro con Angela Vettese sulla presentazione della terza edizione del Festival di Faenza in cui si è discusso sull’importanza di riscoprire il valore creativo e comunicativo dell’opera, e la conferenza di Renato Barilli, un estratto della IV edizione del Videoart Yearbook 2009, organizzato dal Dipartimento delle Arti Visive dell’Università di Bologna, svoltosi lo scorso luglio nel Chiostro di Santa Cristina. Una rassegna originale e innovativa che studia le possibili manipolazioni dell’immagine attraverso l’applicazione delle tecnologie digitali. Bella la Video performance di Giovanna Ricotta, artista performativa che usa il suo corpo come soggetto dell’opera e strumento di comunicazione.




ANTONELLA COLANINNO












Barry x Ball

Opera: Barry x Ball - Matthew Barney (Yellow - Black) Dual-Dual Portrait (2000-2009)
Sede espositiva: Museo Civico Archeologico (sala mostre)





Portatrice di una singolare diversità, la scultura di Barry X Ball comunica le impronte culturali tradizionali, moderate e modulate da un accento tecnologico che abbisogna di computer, penna ottica, muscoli forti, intelligenza trasversale. I suoi titoli sono lunghi, a volte lunghissimi e nell’abbondare delle loro parole più che nella resa finale dell’opera spesso si cela il significato intrinseco del lavoro. Marmo italiano o californiano, fondi oro, siano essi bizantini o giapponesi, onice iraniano traslucido, colle siliconate, i motivi black and white figli dell’antico gotico pisano, le tecniche di restauro, si assommano con precisione da archivista per costituire opere destinate a rimanere nel tempo, non solo per la loro massiccia fisicità, ma per un’organicità e forza di contenuto che si crea di rado nel rutilante mondo dell’arte contemporanea. Barry X Ball smagnetizza in tal modo il nastro della storia dell’arte, inscatola il tempo facendolo galleggiare, nella potenza del marmo, sulla superficie del presente.
Nella prima metà degli anni novanta Ball produceva un lavoro differente. Poi, insoddisfatto del “sistema”, sceglie una strada più personale ed apparentemente conformista cimentandosi nella vecchia capacità artigianale di lavorare la pietra. E lo fa divenendo membro fondatore della “Digital Stone Project”, ovvero operando un processo ellenistico e rinascimentale sommato alla più alta forma di tecnologia scultorea. Sebbene sempre tentato di occupare cesure ed infinite partizioni linguistiche, lo scultore americano afferma la realtà fisica dello spazio tridimensionale offerto dalla corposità e dalle forme solide della materia e si spinge in modo tale da farlo armonizzare con lo spazio naturale e le linee della figura.
I suoi ritratti di pietra abbisognano di una procedura minuziosa e lunghissima. I soggetti, necessariamente personaggi che ruotano intorno al mondo dell’arte, si devono sottoporre ad un’estenuante seduta durante la quale viene costituito il calco di gesso. Il provino consiste anche in molti scatti fotografici del volto, del cranio, dei particolari della testa che l’artista userà per l’iperrealista e fedele composizione dei ritocchi finali. Il salto temporale avviene quando il calco viene passato sullo schermo del computer mediante uno scanner tridimensionale che crea una matrice positiva virtuale. A questo punto l’artista può operare delle manipolazioni strecciando la figura con un elastico ipotetico per delle alterazioni che spesso vengono esplicitate nel titolo stesso dell’opera. Un file a controllo numerico dà la prima sgrezzatura alla forma di pietra, una macchina tarata con precisione che per prima lavora il marmo. Marmo scelto con cura dall’artista che ne decide la grandezza del blocco e il verso delle venature, determinanti per il risultato finale. Dopo il primo modellino interviene la manualità con un lavoro di pulizia che dura mesi. La pietra scelta da Ball ha milioni di anni e concettualmente il tempo e la storia geologica del materiale si integrano con il “senso della durata” che sta a fondamento dell’opera.
La storia dell’arte conosce a memoria elementi e componenti dell’opera di Ball, ma ciò che nasce dall’assemblaggio di tutti questi fattori è qualcosa di completamente nuovo. La scala dimensionale a volte resta fedele al modello, altre si rimpicciolisce. Nel caso del ritratto dell’amico-artista Matthew Barney la scultura marmorea raffigura questi in un atteggiamento serio e serafico mentre l’autoritratto, posizionato a comporre una sorta di giano bifronte, nuca con nuca, è un Barry X Ball urlante a significare lo sforzo prodotto e la corsa sfrenata nella quale è impegnato per realizzare il lavoro. Il carattere dei personaggi riprodotti penetra liberamente nell’opera divenendone uno degli elementi fondamentali. Il materiale usato, onice messicano, aggregato di lapislazzuli, marmo pakistano, così come l’uso della maniera rococò piuttosto che vittoriana dialogano con il soggetto rappresentato, la posa adottata o la scelta di tendere la pietra come una striscia tesa da un elastico. La datazione dell’opera occupa sempre uno spazio di tempo che va dai 3 agli 8 anni, vista l’enorme mole di lavoro che sta dietro la realizzazione di ogni singolo pezzo.
Scultore di straordinaria fantasia concettuale Ball si orienta anche nella pratica fotografica, con gli stessi soggetti ricorrenti nei lavori tridimensionali o con il suo autoritratto piegato ad un’anamorfosi e ad una triplice visibilità dell’immagine. Dotate di un’estetica strutturale ed una forma emblematica, le opere di Ball sono cariche di tensione, illusionismo, enfasi, ironia. Il design barocco, l’abilità tecnologica, la manualità esasperata e maniacale, tese al prodotto lucido e perfettamente finito, riportano a quell’ossessione dell’idea così connaturata con la poetica, l’inclinazione artistica, culturale e di atteggiamento caratteriale di questo potente e singolare artista contemporaneo.
Martina Cavallarin

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