Nudo di donna EGON SCHIELE















giovedì 3 giugno 2010

FIORI Natura e simbolo dal Seicento a Vangogh


Lawrence Alma-Tadema, A summer offering (1911)



FIORI
Natura e simbolo dal Seicento a Van Gogh.



Forlì, Musei San Domenico



24 gennaio - 20 giugno 2010


Così scrive Rudolf Borchardt, autore tedesco degli anni ’30 del Novecento nel suo libro “Il giardiniere appassionato”: “Ciò che ha commosso l’uomo al punto da renderlo appassionato imitatore, non è la bellezza sovrana dei fiori e delle piante, ma il fatto che niente sulla terra, al pari del fiore, si presenta come una figura semplice, che si avvolge con regolarità attorno a un asse centrale, il cui aspetto riconduce alle leggi dello spazio, la struttura a un ordine fondamentale: il tralcio, la foglia, il calice sono fratelli viventi dell’ovale, del cono, dell’ellisse, del cerchio……Il fiore, la foglia, il tralcio sono miracoli di ordine, l’uomo invece è tutto un disordine, ma proviene dall’ordine e a un ordine nuovamente aspira.”
La mostra dedicata ai fiori ripercorre nei secoli il cammino attraverso la natura e i suoi simboli, partendo dalla attribuzione della Fiasca impagliata celebrata come una delle più elevate espressioni del naturalismo di matrice caravaggesca, attribuita nel tempo a Tommaso Salini, Guido Cagnacci e Carlo Dolci. Il dipinto, conservato nella Pinacoteca comunale di Forlì, fu donato alla città dal conte Pietro Guarini, e fu all’epoca attribuito a Paolo Antonio Barbieri, fratello del Guercino. L’opera rappresenta un bouquet di iris e gladioli sistemati in una fiasca dal collo rotto, metafora del rapporto tra il bello e l’imperfetto, tra una bellezza spirituale e un corpo rovinato. Per la modernità del linguaggio, per il taglio luminoso e per il riferimento alla vanitas, la Fiasca impagliata è stata associata alla Canestra di frutta di Caravaggio, della Pinacoteca Ambrosiana di Milano, secondo quanto sostiene anche Antonio Paolucci. La mostra parte dunque, da una realtà locale per aprirsi ad una riflessione ben più estesa nei riferimenti cronologici e geografici. Ad inaugurare il percorso espositivo, le due sculture dei Bernini e di Vincenzo Vela e i “Campionari di fiori” di Girolamo Pini, per finire alla stanza dedicata al Novecento, al Simbolismo di Previati e alle “sindoni spettrali” di Moreau e Redon.
I fiori sono sensuali creature, morbide efflorescenze dai delicati profumi che “nascondono in sé un’anima da portare alla luce”. Goethe affermava che la pianta è un mistero perché vive tra la luce del cielo che vede fiorire il germoglio e il buio della terra.
Il fiore ha sempre avuto un grande valore simbolico nel tempo. Sin dalla pittura antica, le composizioni di fiori e di frutti indicavano un contesto paradisiaco, si pensi ad esempio, alla pittura paleocristiana, mentre negli antichi erbari prevale il gusto scientifico per la composizione analitica e descrittiva. Il fiore come simbolo di bellezza e di vanità legato all’idea della caducità del tempo si è affermato nella cultura seicentesca per poi diventare emblema del vizio nella metà dell’Ottocento con Baudelaire e i suoi “Fiori del male”. Nel Liberty l’elemento floreale ha dato vita ad un vero e proprio stile dalla linea morbida e sinuosa che si è diffuso in tutto il mondo, pur avendo avuto vita breve. Nelle tavole “Les Fleurs animes”di Grandville, i fiori rappresentano un delicato mondo fiabesco dove la figura femminile è associata all’idea del fiore e rappresentata con gli stessi elementi floreali. Il fiore ha sempre interpretato il proprio tempo, anche in relazione ad altri soggetti come le ghirlande che racchiudono all’interno immagini sacre, ma anche soggetti a carattere profano, come la tela a due mani del "San Giuseppe con il Bambino e Cherubini…” del Camoglino e del Gioacchino Assereto. La ghirlanda dei fiori è nata nei Paesi Bassi ed è stata introdotta in Italia da Jan Brueghel e dal suo allievo Daniel Seghers, pittori della scuola di Anversa. L’età barocca ha visto il trionfo del tema floreale soprattutto a Roma e a Napoli che sono state città per eccellenza del Barocco italiano. Tra le opere del Seicento il “Vaso di vetro, fiori recisi e farfalle” di Daniel Seghers (Anversa 1590 – 1661), un olio su rame del 1640, il “Vaso di fiori con ciclamini, monete, gioielli e pietre preziose sul piano”di Jan Brueghel il vecchio e Jan Brueghel il giovane (1620 – 1625 ca.), e il “Vaso di Fiori e bacile”di Carlo Dolci (olio su tela 1662), con il suo naturalismo delicato e passionale dai toni sensuali e la grande attenzione per il particolare, dalla macchia scura sul tovagliato rosso, alla goccia d’acqua sul bordo dello smalto della bacinella, alla fine cesellatura del vaso. Vorrei dedicare una nota alle tempere su pergamena di Giovanna Garzoni, con la sua natura morta dai toni metafisici e il “Mazzo di fiori entro un vaso ornato di putti e sirene” una composizione floreale che sembra appartenere alle trame di una fine tappezzeria. Tra le opere del Settecento, i “Garofani giganti” (1700) e il “Girasole gigante"(1721) di Bartolomeo Bimbi dai toni malinconici ma intensamente poetici. Il realismo e il Romanticismo ottocentesco lasciano grande spazio al tema floreale che continua ad essere presente nella pittura di genere e come soggetto protagonista della composizione, ad esempio, in opere come l’affascinante olio su tavola di Ferdinand Georg Waldmuller ("Mazzo di fiori in un vaso di porcellana con candelabro e argenteria" del 1839), e la passionale e vibrante opera di Francesco Hayez (1834) dal titolo “Fiori”, una miscellanea di fiori, in un delirio di colori e di profumi. “Ritratto della contessina Antonietta Negroni Prati Morosini” di Francesco Hayez (1858) rappresenta attraverso i fiori la grazia e la delicatezza della bambina, enfatizzate dalla peonia posata a terra e dal fascio tenuto tra il tulle dell’abito bianco. Un delizioso ritratto di un grande maestro che ha tradotto con sottili velature la leggerezza dei petali dei fiori. In “Madre e figlia”(1864-1865) di Frederic Leighton è un’incantevole scena di intimità familiare, i gigli sullo sfondo sono il simbolo di purezza e di una innocente sensualità. Il superbo realismo simbolico del “Ritratto di Anna Alma Tadema”(1883) e de “Il tributo all’estate”di Lawrence Alma Tadema e di Giuseppe Pelizza da Volpedo con il suo “Ricordo di un dolore” esprimono la nuova visione del fiore come simbolo, come testimonianza di un momento di vita intenso ed esclusivo. “Il centauro stanco” di Redon propone un’immagine sfuggente della natura che esce da uno schema logico razionale. La dolce malinconia delle opere di Emilio Longoni rinviano a riferimenti letterari. Il pastello su carta del 1900 dal titolo "Sola” ricorda la pittura di Federico Zandomeneghi nella pennellata densa e luminosa sospesa nella leggerezza di una dimensione dello spirito. “Le capinere” del 1884, probabilmente ispirata al romanzo “Storia di una capinera” del 1871 di Giovanni Verga (Paola Segramora Rivolta) è strutturato sulla morbidezza della linea dove il ramo di pesco e la schiena curva della suora convergono parallele verso il cielo, tagliate orizzontalmente dalla linea del muro. Ancora un ultimo riferimento all’opera di Cesare Tallone “Ritratto della figlia Irene”del 1898-1899, uno splendido ritratto di bambina dallo sguardo intenso e dolcemente malinconico. Il fascio di rose alle spalle sembra quasi accarezzare la figura, sottolineando la sua bellezza ancora acerba.

ANTONELLA COLANINNO

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