Nudo di donna EGON SCHIELE















giovedì 3 novembre 2011

JEAN CLAIR L’INVERNO DELLA CULTURA





“…pretendere di creare e diffondere “un’arte per tutti”, in teatri “popolari”, in spettacoli di avanguardia nelle periferie “diseredate”, in “laboratori creativi” istituiti all’interno di fabbriche in disuso: a conti fatti, anche quest’arte, che si proclama tanto più vicina al “popolo” quanto più ne è lontana, finirà per essere un altro divertimento per èlite alla ricerca del brivido dei bassifondi.”
“Creare dei musei equivale a riporre la propria speranza nella perennità di certi oggetti, una sorta di immortalità laica e repubblicana delle opere. Servirsi del cemento significa al contrario costruire in vista di scambi rapidi e nell’aspettativa di grandi distruzioni.”Osservando i “criteri” di lottizzazione in cemento, Jean Clair riscontra quanto il modello americano sia dilagato in Europa. Quello che si vede dal finestrino dell’auto percorrendo le strade della periferia e della campagna francese è “l’infinita promulgazione dell’identico”, una “proliferazione” che “[…] fa pensare alla propagazione cancerogena di un’unica cellula in un corpo vivente. Essa annuncia manifestamente una morte rapida.”
La critica di Jean Clair al sistema museale contemporaneo non lascia spiragli di ottimismo. Il museo è oggi, un “attore essenziale” di uno spettacolo di violenza vicina all’idolatria, la stessa che Tertulliano denunciava negli spettacoli dell’antichità. Clair parla di un vero e proprio “potere di falsificazione del museo” nel quale le opere consegnate perdono il significato e l’autenticità della propria natura per diventare dei falsi, vittime di un “imperialismo” che banalizza decontestualizzandole, “le circostanze della loro origine.”
Il museo come una moderna torre di Babele, rende vana l’ambizione di far dialogare le culture, una mera “debolezza” secondo Clair, nell’annebbiamento di una reale prospettiva di un museo che invece chiede “[…] alla cultura ciò che solo il culto poteva dare.”
Colpa di un Europa che ha penalizzato le identità nazionali? Con la tragica conseguenza di minoranze pronte a rivendicare se stesse con violenza, anche attraverso l’arte. Ogni cultura ha una sua identità, come ogni opera d’arte non può sottrarsi alla propria storia e al proprio “humus.” Non c’è arte che nasca dall’arte secondo quanto affermava invece, lo scrittore e politico francese Andrè Malraux, sostenitore della forza conoscitiva dell’arte in grado di innalzarci al sacro dove non c’è più religione. Quel Malraux che nel 1959 dette vita al ministero della Cultura, invenzione grandiosa secondo Jean Clair, se non fosse per “la sgradevole sensazione di una tutela dello Stato sulle cose dello spirito, e di un accaparramento sul senso della Storia” attraverso quelle strategie di comunicazione che fanno della cultura un “affare” e del museo uno strumento di trattative mercantili. “Chi osa oggi in Francia formulare l’espressione “cultura francese”, frutto di una lunghissima storia, o peggio ancora quella di “civiltà francese” o semplicemente la parola “Francia”? Conclude Clair che le idee di Malraux trovavano nell’arte un toccasana alle “inquietudini metafisiche” che rivendicavano la “fraternità tra i vivi” attraverso il “culto dei morti.” Musei come santuari di pellegrinaggio, come culto dell’arte e “avventura collettiva” simbolo di una pseudo coesione, “magazzini di civiltà estinte”, “quadri allineati” “che quasi nessuno sa più leggere.” Per Clair tutto questo è il sintomo di un vuoto e di uno smarrimento collettivo nel quale il museo si pone come l’emblema di una “fede in una cultura universale”, e l’opera d’arte un modo rapido e alternativo ad “una conoscenza da acquisire” che costa tempo e fatica. Tra queste opere si assiste alla “proliferazione della paccottiglia dell’arte contemporanea" che oggi invade perfino i castelli di Versailles e i palazzi di Venezia “[…] che hanno perso l’essenza di luoghi di memoria per accogliere le opere più “idiote” ed “immonde” che confluiscono nell'arte contemporanea. Un gioco speculativo scrive Clair, dove gli interessi privati delle gallerie utilizzano la credibilità di una istituzione museale per la buona riuscita dell’operazione di marketing. Come il Louvre con Jan Fabre dove però, continua l’autore, il Louvre ha dovuto riconoscere a Fabre la griffe della massima modernità del proprio nome. “Jeff Koons non è che la fine di una lunga storia dell’estetica modernista che oggi viene chiamata il dècalè " (dècaler: “togliere le zeppe”). “Una volta” la pittura non faceva ridere e neppure piangere e si contraddistingueva per il “pudore, il riserbo, il non detto”. Oggi, le sculture di chiese e di templi confluiscono nei musei per essere oggetto di sollazzi delle foto dei turisti che amoreggiano con una Venere, “fanno le corna agli dei egizi”, mentre ostentano tatuaggi ed un look da turista “da spiaggia.” “Buffoni” e buffonate dell’arte sintomo di un’epoca in declino. “Estetica dello stercorario vigente in un’epoca ormai chiamata post-human.” “Il tempo del disgusto ha rimpiazzato l’età del gusto.” “[…] l’arte si è lanciata in una cerimonia strana dove il sordido e l’abiezione scrivono un capitolo inaspettato della storia dei sensi.” Ciò a cui fa riferimento Clair, non ha nulla di post-umano, ma di negazione dell’umano, di anti umanesimo in quelle manifestazioni pseudoartistiche che mortificano il corpo con violenze gratuite, prive di qualsiasi giustificazione antropologica e concettuale. Ma si sa che l’artista ha un' anima dannata spesso conflittuale che ha bisogno di vivere tutte le esperienze della conoscenza, dall’elevazione spirituale al buio più totale. Non un’elevazione dello spirito ma un abbassamento al livello freddo della scienza dove si può avvertire la presenza dell’aberrazione del male. Clair ricorda la mostra di Szeemann del 1972 dove l’intento di una mitologia personale dell’artista rivendicava un’arte come gnosi in nome di una crisi politica e sociale. Una nuova sacralità che al posto delle reliquie utilizzava la fanera. Per non parlare della violenza degli Azionisti, gruppo fondato a Vienna nel 1963.
Si assiste oggi, ad una crisi dell’arte che non ha più maestri perché non ha più nulla da insegnare se non i segreti di una strategia di vendita e di concorrenza sul mercato. Dalla sacralità dell”hic et nunc” di Benjamin, l’arte ha preferito diventare evento percorrendo le strade del dripping, dell’happening, della performance, dove “arte e crimine si congiungono” concretizzandosi come opera nella estemporaneità dell’azione del corpo umano. "Ciò che trovo più sconcertante è quello di voler considerare anti borghese un’anarchia di valori amorale e prevaricatrice che si fa passare per una liberalizzazione del costume e si confonde con la libertà. Di qui è semplice capire come l’arte possa essere strumentalizzata e trovare sponsor nelle istituzioni".

Scritto da Antonella Colaninno


“L’atto surrealista più semplice consiste, rivoltelle in pugno, nello
scendere in strada e sparare a caso, a più non posso, sulla folla…” (Andrè Breton, 1929, Secondo manifesto del surrealismo).
“Parlare di cultura è sempre stato contrario alla cultura”(Max Horkheimer, Theodor W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo da IV I mattatoi culturali, L’inverno della cultura di Jean Clair)
L’inverno della cultura (L’hiver de la culture)
Jean Clair
Edizioni Skira (2011)

Jean Clair è stato conservateur del Centre Pompidou, direttore del Musèe Picasso e, nel 1955, direttore della Biennale di Venezia del Centenario. Ha curato importanti esposizioni di richiamo internazionale (tra le ultime la mostra Crime et chatiment al Musèe d’Orsay nel 2010). E’ autore di saggi sull’arte e l’estetica che sono stati tradotti in numerose lingue. Nel maggio 2008 è stato eletto membro dell’Acadèmie Francaise. Per Skira ha pubblicato nel 2008 La crisi dei musei. La globalizzazione della cultura e, nel 2011, Breve storia dell’arte moderna.

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