Nudo di donna EGON SCHIELE















sabato 12 novembre 2011

SALVATORE SETTIS FUTURO DEL “CLASSICO”





L’antichità non ci è data in consegna di per sé – non è lì a portata di mano; al contrario, tocca proprio a noi saperla evocare. NOVALIS


Salvatore Settis (Rosarno, 11 giugno 1941) ipercorre in questo libro, un viaggio nel tempo sulle strade della storia dell’arte dalla classicità al postmodernismo, osservando i percorsi del classico e del classicismo. L'idea dell'antico si rinnova e viene riletta in età moderna come citazionismo. E’ sul classico greco e romano che si creano i lessici dell’arte e della cultura dei secoli a seguire che spesso si costruiscono su alcune deduzioni del classico e su una dialettica tra architettura e ornamento dove l’una prevarica l’altra nascondendone la fisionomia e legittimando la celebre citazione “l’ornamento è delitto” dal titolo della conferenza di Adolf Loos del 1910 Ornament und Verbrechen. Il riuso del classico fa riflettere sulla sua volgarizzazione e sulla sua vasta fruizione che ne hanno determinato la banalizzazione nella poetica del postmoderno.
Classico e classicismo hanno una origine antica e nel tempo i loro significati si sono allargati a diversi orizzonti di interpretazione. L’analisi di Settis solleva domande sulle relazioni tra classico e classicismo, sulla classificazione geografica di classico all’interno della sola area occidentale e sulla possibilità di considerare tante culture classiche in una prospettiva mondiale. La ricchezza della classicità ha lasciato però, un vuoto nella cultura moderna, dimenticata non solo sui banchi di scuola ma anche tra gli intellettuali. “Il passato si appiattisce sul presente” ponendo inevitabilmente la domanda se esso abbia oggi un senso nella contemporaneità che invece, tende piuttosto ad interrompere la “compattezza” del classico e ad estrapolarne solo dei frammenti.
Ma si può parlare di classicità greco romana o le due civiltà furono culturalmente agli antipodi? Cultura greca e cultura romana devono considerarsi anche alla luce della conquista romana sulla civiltà greca, in quanto i romani sostiene Settis, hanno fatto un lavoro di mediazione e di fondamento politico e militare che ne ha permesso il radicamento e la diffusione “nello spazio e nel tempo”, nonostante la perdita dell’autenticità. La cultura politica romana permise la trasmissione della classicità nel tempo non solo attraverso Bisanzio, ma anche nella continuità del Sacro Romano Impero con Carlo Magno, Federico II, Carlo V fino a Napoleone. E’ ben noto che l’arte romana espresse un carattere originale ed uno di imitazione, dal ritratto fisiognomico che rileva i tratti della personalità alla così detta copia romana di originali greci, una vena “classica” ed un aspetto “plebeo” (Bianchi Bandinelli). Grazie alle copie romane è stato possibile conoscere gli originali greci e i capolavori di artisti come Policleto e Mirone. Molte opere infatti, andarono perdute durante la guerra del Peloponneso che distrusse anche le polis e la loro democrazia. Settis pone a confronto il rigore del pensiero di Winkelmann che considerava l’arte romana con la sua rappresentazione illusionistica della realtà, come la fase decadente dell’arte greca, di cui esauriva il naturalismo, con la visione della scuola viennese di Franz Wickhoff e Alois Riegl che vide nell’arte romana l’inizio di un nuovo linguaggio originale (Kunstwollen) che passerà attraverso il Medioevo sino all’età moderna. Winkelmann tra l’altro, idealizzava la classicità greca nella quale ritrovava non solo una forma d’arte che interpretava la realtà, ma un “ideale etico ed estetico” basato sulla libertà e sull’illuminazione dello spirito e della mente. Per Winkelmann, scrive Settis, l’Atene democratica e classica…apriva le porte alla libertà dei moderni”, ma i moderni finirono per interpretarla in altro modo e non compresero il valore estetico dell’arte che contribuiva ad infondere un senso di libertà nell’individuo. Il modello antico (il termine “classico” entrò in uso solo in XIX secolo) nell’arte diventa un “elemento lessicale ricorrente” nel suo linguaggio universale ma, si veste di contenuti diversi, come la nudità nell’iconografia cristiana. L’autore pone anche una riflessione sul valore interpretativo di classico e moderno, una dialettica che si affermò nei secoli XIII e XIV e che non considera solo un ambito cronologico, ma quella volontà di far rivivere nel presente le qualità dell’antico. Al contrario, la modernità veniva intesa come superamento dell’antico e veniva essa stessa definita antica quando questa raggiungeva la perfezione del passato. Essere moderni significava essere “intrisi d’antico e nutriti di coscienza antiquaria”. Nelle arti figurative Giotto rappresentò l’inizio di uno spirito moderno, di una nuova maniera che seppe costruire uno stile attraverso la conoscenza dell’antico e che ebbe il suo massimo splendore nel Rinascimento. Resta comunque difficile poter circoscrivere il termine classico ad un solo significato e ad un’unica unità tematica e spazio temporale. La riflessione di Settis resta circoscritta all’ambito greco romano e all’ “apogeo della civiltà classica”. Il classico non va congelato in una dimensione lontana o imbalsamata “in immobile icona” ma compreso in “quel suo iterato morire e rinascere” che è “la forma ritmica della storia culturale europea”. Esso rappresenta la dimensione ideale per un confronto tra le culture poiché esso stesso fu luogo di “antichi scambi interculturali”.
“Quanto più sapremo guardare al “classico” non come una morta eredità che ci appartiene senza nostro merito, ma come qualcosa di profondamente sorprendente ed estraneo, da riconquistare ogni giorno, come un potente stimolo a intendere il “diverso”, tanto più da dirci esso avrà nel futuro. Anche il “classico”, saremmo tentati di dire, ha perso e sta perdendo molte battaglie. Non però la guerra.” (Salvatore Settis)

Scritto da Antonella Colaninno

Futuro del “classico”

Salvatore Settis
Giulio Einaudi editore 2004

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