Nudo di donna EGON SCHIELE















lunedì 16 gennaio 2012

. LE REGINE DEL TERRORE ANGELA E LUCIANA GIUSSANI: LE RAGAZZE DELLA MILANO BENE CHE INVENTARONO DIABOLIK. DI DAVIDE BARZI.





“Giornata triste quella di oggi per Diabolik: continuamente braccato com’è dall’ostinato ispettore Ginko , non potrà partecipare ai funerali di sua madre. Una mamma segreta, una dolce mamma milanese che lo ha messo al mondo venticinque anni fa.” (Corriere della Sera 11 febbraio1987).

Un'intrigante vicenda umana si snoda sullo sfondo della storia del costume di una società in cambiamento. La biografia assume i toni del romanzo e intreccia storie personali e vicende professionali tra gli accadimenti di una Milano che si appresta a diventare capitale dell’editoria e del fumetto. Un lavoro di ricerca di tutto rispetto attento non solo alla storia di Angela (10 giugno,1922 - 12 febbraio 1987) e Luciana (19 aprile, 1928 - 31 marzo, 2001) Giussani ma anche alle implicazioni sociali delle trasformazioni di un’epoca. Le sorelle Giussani, non sono soltanto le creatrici di Diabolik, una scelta editoriale coraggiosa per l’epoca e non priva di difficoltà, vissuta tra vicende giudiziarie e rivalità familiari, ma rappresentano il simbolo dell’emancipazione femminile. Un racconto che svela risvolti inediti sulla vita di due donne affascinanti e riservate che hanno fatto della propria vita un’avventura professionale, inconsapevoli di creare un personaggio che sarebbe diventato un cult della cultura italiana. Le Regine del Terrore (edizioni BD) è la storia inedita di Angela e Luciana Giussani scritta da Davide Barzi

Attraverso la narrazione fluida delle vicende, il lettore scopre il ritratto di due donne determinate e coraggiose. Angela, nata il 10 giugno 1922, ex modella, futura editrice e sceneggiatrice, è stata tra le poche donne in Italia ad avere negli anni Quaranta la patente di guida e nei Cinquanta il brevetto di volo. La sua è una famiglia della media borghesia milanese. Suo padre Enrico è titolare della azienda Croce & Giussani che produce tessuti per calzature, elastici e bottoni e conta ben 200 dipendenti tutti di sesso femminile. Luciana, nata il 19 aprile 1928, dopo un impiego presso un’azienda di elettrodomestici, abbandonerà questo lavoro per affiancare sua sorella nell’avventura editoriale. Sono anni importanti in cui Milano vive le sue prime trasformazioni. Viene impiantato il primo semaforo, viene concessa l’elettricità alle linee delle Ferrovie Nord, entrano in funzione i primi autobus e iniziano i lavori per la Nuova Piazza degli Affari e per il nuovo Palazzo della Borsa. Angela e Luciana trascorrono la propria adolescenza tra Milano e Cervia negli anni in cui la fine del fascismo determina un clima di disordine politico e Milano vive un’intensa attività editoriale, basti pensare alla nascita nel 1947 della casa editrice Fratelli Fabbri e nel 1949 della collana BUR della Rizzoli. La narrazione della storia prosegue con il racconto dell’incontro di Angela con Gino Sansoni, e del matrimonio celebrato il 28 giugno 1924, del  primo lavoro di Angela presso la casa editrice Astoria, fondata da suo marito, fino alla nascita della Astorina. Il libro racconta anche le storie dei viaggi, la fine del matrimonio, la nascita di Diabolik, le sue difficoltà iniziali nella vendita e la storia delle sue prime vicende giudiziarie legate al clima di censura che ostacolava in quegli anni, la naturale diffusione dei fumetti. “Angela intuisce che quello dei pendolari è un target dalle grandi potenzialità. Qualcosa da leggere, il cui tempo di lettura equivalga all’incirca al tempo del viaggio, potrebbe essere un’idea su cui investire denaro ed energie.” Nel novembre 1962 esce il primo numero di Diabolik intitolato Il Re del Terrore al costo di 150 lire. 

Le vendite interesseranno solo le zone del Nord Italia e la distribuzione sarà diffusa esclusivamente nelle edicole nei pressi delle stazioni ferroviarie. Barzi ricorda che nell'ottobre dello stesso anno, la Mondadori pubblica il primo numero di Panorama e nello stesso mese precipita l’aereo su cui viaggia Enrico Mattei mentre la Chiesa è impegnata nel Concilio Vaticano II. Un romanzo avvincente che tanto ha ancora da svelare ai lettori che non mancheranno di appassionarsi alla storia umana e professionale di due donne straordinarie. 

Forse non tutti sanno che…Diabolik lo hanno creato loro!




Scritto da Antonella Colaninno

Davide Barzi (1972) vive e lavora a Pavia, è giornalista e sceneggiatore di fumetti, curatore di numerose mostre, e collaboratore delle principali case editrici e riviste del settore.

mercoledì 4 gennaio 2012

WASSILY KANDINSKY LO SPIRITUALE NELL’ARTE




“Per quanto riguarda l’analisi del colore, l’opera di Kandinsky si innesta invece nel solco di una tradizione teorica che dalla fondamentale Farbenlehre di Goethe (1810) e dalle riflessioni di Schopenhauer giunge, attraverso Turner e Delacroix, alla Legge del contrasto simultaneo dei colori di Chevreul (Parigi, 1838) e infine a Henry, Seurat e Signac. A queste ascendenze se ne possono accostare altre: Mallarmè, ad esempio, aveva studiato le relazione fra colore e suono, Rimbaud aveva stabilito un’equivalenza tra vocali e colori, Skrjabin compila tavole di concordanza tra elementi musicali e pittorici.” Elena Pontiggia

“Lo spirituale nell’arte non è stato il manifesto di una corrente, è stato il manifesto di una generazione.” Queste le parole di Elena Pontiggia nella sua postfazione a “Lo spirituale nell’arte”(Uber das Geistige in der Kunst, Insbesondere in der Malerei) un importante volume del secolo scorso, scritto nel 1910 da Wassily Kandinsky (Mosca 1866, Neuilly-sur-Seine, 1944) e pubblicato nel gennaio del 1912. 

Respinto più volte dagli editori per la difficoltà di lettura e per il suo stile “pesante e ingombro”, il volume sarà pubblicato dall'editore Reinhard Piper, grazie a Franz Marc, amico e collega di Kandinski. Kandinsky è noto per essere il padre dell’astrattismo e il fondatore insieme a August Macke e Franz Marc, del movimento d'avanguardia Der Blaue Reiter, nato a Monaco nel 1911 con lo scopo di seguire un percorso spirituale nell'arte, proiettato verso la rappresentazione astratta. 

Nello Spirituale Kandinsky sostiene l’inizio di una nuova epoca fondata sulla spiritualità. I mezzi di ricerca sono le arti, considerate come singole espressioni di un’ "arte monumentale". L’arte, per Kandinsky, è materia dello spirito e, allo stesso tempo, una “creazione della storia” e per tanto non deve restare solo figlia della sua epoca ma essere progressiva e ascendere ad un percorso spirituale in grado di colmare l’oscurità della decadenza in cui viviamo. Un vuoto in cui prendono forma gli spettri delle nostre paure. “L’oscurarsi dell’atmosfera spirituale, la mano che distrugge e guida e provoca una disperata paura, la via smarrita, la mancanza di guida […].” L’anima dell’artista è coinvolta nella creazione a prescindere dalla forma, così come lo scrittore è un profeta e la parola “il suo suono interiore”, e il musicista un vate che traduce “l’anima del presente.” “La musica di Schonberg ci conduce in una regione nuova, dove le esperienze musicali non sono acustiche, ma puramente psichiche.” “I musicisti più moderni, come Debussy, si affidano spesso a impressioni spirituali dettate dalla natura, trasfigurando le immagini in forma puramente musicale.” “Così Maeterlinck è forse uno dei primi profeti, dei primi scrittori, dei primi visionari di quella decadenza […].” La forma diventa uno strumento di ricerca che acquista una vita interiore, si anima di una linfa vitale nel naturalismo e nell’astrattismo traducendo le emozioni attraverso il colore. Kandisky recupera la forza cromatica, il suo effetto psichico e la sua energia, in grado di raggiungere l’anima secondo il “principio della necessità interiore”così che i colori possono accrescere o ridurre il proprio potenziale in base alla forma. Egli distingue il colore in caldo o freddo, chiaro o scuro che può declinarsi in caldo chiaro, caldo scuro, freddo chiaro e freddo scuro. Il colore caldo tende verso lo spettatore come il giallo, “colore folle”, mentre quello freddo come il blu, se ne allontana. Dalla fusione di questi colori si ottiene il verde che blocca il dinamismo dei due colori, una tinta immobile che Kandinsky traduce nel suono del violino e nell’immobilità della borghesia, mentre associa il giallo al suono della tromba e il blu alle note profonde del violoncello. Il bianco è invece il non colore del silenzio, della pausa, della purezza, della creazione. Il nero si traduce nel colore del lutto e della morte. Dalla loro fusione si ottiene il grigio, colore di immobilità come il verde, ma “senza speranza.” Il rosso è invece il colore del calore e dell’irrequietezza, del suono della fanfara. Dalla sua unione con il nero nasce il marrone, un colore pacato che al suo interno mantiene le vibrazioni del rosso. Il rosso unito al giallo crea l’arancione, un colore “serio e salutare”. Dal rosso e dal blu nasce il viola, freddo e serio, “spento e triste.” L’arte dunque, è al di sopra della natura e solo in essa l’artista è libero. Egli deve avere cura della sua anima e imparare ad educarla, perché solo così saprà ascoltarla e rispondere “al principio della necessità interiore.” E’ dall'anima che si raggiunge il bello. L’equilibrio tra forma, colore e necessità interiore determina la costruzione di composizioni melodiche come l’opera le Bagnanti (1895-1905) di Paul Cezanne definita da Kandinski una composizione melodica a ritmo aperto. La lettura dello Spirituale pone riflessioni su una visione dell’arte forse non ancora raggiunta e su un’epoca che non ha ancora sviluppato la capacità di cogliere nella realtà tangibile l’esperienza dello spirito. Un libro di profezie laiche secondo  Elena Pontiggia, “non un trattato di estetica” o “un manuale di tecnica pittorica” ma un libro in cui “misticismo e filosofia dell’arte, meditazioni metafisiche e segreti artigianali si sovrappongono e si confondono […]” ma forse in fondo solo la certezza di una responsabilità e di una speranza ancora a divenire.


Scritto da Antonella Colaninno

Wassily Kandinsky
Lo spirituale nell’arte
A cura di Elena Pontiggia
TESTI E DOCUMENTI
SE srl Milano

lunedì 19 dicembre 2011

CESARE BRANDI TEORIA DEL RESTAURO




Quanti di noi ricorderanno le pagine di questo testo imprescindibile nella propria formazione storico artistica e non solo. Il volume raccoglie il lavoro svolto da Cesare Brandi all’Istituto Centrale del Restauro di cui è stato il direttore. Un libro che espone la teoria del restauro sulla base di enunciati e di considerazioni estetico filosofiche basilari per la metodologia di intervento. 

Il restauro deve mirare al ristabilimento della funzionalità, nonostante questo rappresenti “un lato o secondario o concomitante e mai quello primario e fondamentale che ha riguardo all’opera d’arte in quanto opera d’arte” e cioè, come "[...] un prodotto della spiritualità umana”. L’opera d’arte non si rappresenta solo sulla base della propria esistenza ma anche perché è parte della vita di ogni individuo, vive nella esperienza estetica individuale di ciascuno. Ed è lì, in quella esperienza estetica individuale che da prodotto umano “si ricrea” come opera d’arte. Prima di questa esperienza, l’opera d’arte lo è solo potenzialmente e solo dopo questo riconoscimento si può pensare all’intervento di restauro. Secondo quanto afferma Cesare Brandi è l’opera d’arte a condizionare il restauro e non il contrario.“Il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro.” Brandi sostiene che come prodotto umano l’opera d’arte ha una duplice istanza, storica ed estetica. La prima riguarda il suo tempo e il suo luogo, ma anche il tempo e il luogo delle singole esperienze, mentre la seconda riguarda il suo riconoscimento artistico. La “sua consistenza fisica” è la rivelazione nella materia dell’immagine, è la sua epifania che consente il riconoscimento estetico e rende il restauro indispensabile per la trasmissione della stessa al futuro. Ogni esperienza estetica individuale “appartiene alla coscienza universale.” L’opera d’arte è essa stessa la testimonianza dei tempi storici in divenire che vivono nella universalità del tempo e rappresentano il suo passato, la sua storia e il momento del riconoscimento come opera d’arte. Di qui, Brandi deduce che 1) “si restaura solo la materia dell’opera d’arte; che 2) “il restauro deve mirare al ristabilimento della unità potenziale dell’opera d’arte, purchè ciò sia possibile senza commettere un falso artistico o un falso storico, e senza cancellare ogni traccia del passaggio dell’opera d’arte nel tempo.” La consistenza fisica cioè, la materia, è costituita da due elementi fondamentali: l’aspetto e la struttura a cui si uniscono altri elementi esterni come “l’atmosfera e la luce” che concorrono alla rivelazione dell’immagine. Brandi parla di “unità potenziale dell’opera d’arte” che ha una valenza qualitativa determinata dal suo intero piuttosto che dal suo totale, perché le singole parti che la compongono, siano essi conci o tessere di un mosaico, singolarmente non avrebbero alcun senso e solo l’intero legittima l’immagine. Un’immagine dunque, che parla di per sé per ciò che appare e che non lascia spazio a riferimenti altri come accade invece nella realtà, dove la parte di un tutto rinvia al suo totale. Nell’opera d’arte una parte di un tutto parla solo per sé senza rimandi: un volto sarà solo un volto, così uno sguardo, non vi sono connessioni con la totalità del corpo umano.“Con ciò si documenta che l’unità organico-funzionale della realtà esistenziale risiede nelle funzioni logiche dell’intelletto mentre l’unità figurativa dell’opera d’arte si dà in una con l’intuizione dell’immagine come opera d’arte. "Ne risulta che l’intervento di restauro non dovrà prescindere dall'unità dell’opera né dalla sua istanza storica ed estetica altrimenti si correrebbe il rischio di creare un falso storico e venir meno al suo valore estetico. Nel caso si operasse con una aggiunta postuma necessaria per il ripristino dell’unità, questa dovrà essere sempre in stile e visibile come aggiunta ad uno sguardo ravvicinato e ingannare da lontano mentre, per la lacuna di colore", Brandi suggerisce l’applicazione della differenza di livello sulla base di fondo del dipinto. Dopo essere giunto alla conclusione che ricostituire l’unità potenziale dell’opera d’arte sia “l’imperativo stesso dell’istanza estetica in relazione al restauro”, Brandi affronta il problema del tempo in relazione all'opera d’arte e al restauro che riguarda da vicino l’istanza storica. Il tempo è un aspetto “fenomenologico” che si esplica in tre momenti diversi: come durata relativa alla creazione dell’opera; come tempo intermedio tra la creazione stessa e la conoscenza estetica dell’opera; come “attimo” di questa esperienza estetica. Il restauro dovrà rispettare i segni del tempo e quindi le patine e quelle parti aggiunte nel tempo. La patina ha valore nella istanza storica ed è legittimata anche nell’istanza estetica poiché riguarda la materia che è subordinata all’immagine. Brandi affronta anche il problema del rudere, “il monumento ridotto a un residuo della materia in cui fu composto”, "[...] ciò che testimonia della storia umana, ma in un aspetto assai diverso e quasi irriconoscibile rispetto a quello precedentemente rivestito”, una testimonianza mutila. Il rudere perde l’istanza estetica perché perde la forma e parte della materia riportando quasi al momento della creazione e il restauro consisterà nell’intervento conservativo a riguardo della sua storicità. Un rudere è “[...] ogni avanzo di opera d’arte che non possa essere ricondotto all’unità potenziale senza che l’opera divenga una copia o un falso di se medesima.” Per i ruderi annessi dall’origine ad altri complessi, questi costituiscono un unicum paesaggistico con l’ambiente circostante. L’opera d’arte ha un suo tempo ma anche un suo spazio che va tutelato durante il restauro quando questo si inserisce nel nostro spazio fisico anche in operazioni “negative” come lo spostamento e lo smontaggio, o semplicemente nel cambiare la sua collocazione o eliminare il piedistallo ad una statua.
Non mi soffermerò sui sette capitoli relativi all’Appendice essendo più direttamente inerenti a considerazioni specifiche sul restauro ma ve ne consiglio vivamente la lettura, come non mi soffermerò sulla Carta del Restauro 1972. 
Auguro a tutti una buona lettura…

Scritto da Antonella Colaninno

Cesare Brandi (Siena, 1906 - Vignano (Si), 1988) ha diretto l’Istituto Centrale del Restauro, ha insegnato presso l’Università di Palermo e Storia dell’arte contemporanea presso l’Università di Roma, dal 1967 al 1976. Nel catalogo Einaudi: Budda sorride (1973), Struttura e architettura (1975), Teoria generale della critica (1975), Scritti sull’arte contemporanea, vol.I (1976) e vol. II (1979), Persia mirabile (1978), Disegno della pittura italiana (1980), Diario cinese (1982), Disegno dell’architettura italiana (1985) e Pittura a Siena nel Trecento (1991).
Cesare Brandi
Teoria del restauro (1963)
2006, edito da Piccola Biblioteca Einaudi Arte. Teatro. Cinema. Musica.

martedì 13 dicembre 2011

WORLD PRESS PHOTO 11





Correva l’anno 1955 quando la foto di un motociclista che cadeva dalla sua due ruote vinceva il primo World Press Photo. Da premio nazionale l’iniziativa ha assunto carattere internazionale e nel 1960 i foto giornalisti olandesi si sono costituiti in una Fondazione.Da allora l'immagine ha assunto il compito di documentare ciò che accade nel mondo, con le sue storie di vita che attraversano i continenti in un reportage fotografico che diventa memoria collettiva. "[...] without our photographs, there is no evidence. Photographs become our world’s collective memory.” David Burnett.
L’arte diviene inchiesta e l’immagine racconta la cronaca come strumento di indagine e di espressione.
Nata nel 1955, la World Press ogni anno porta i suoi scatti in giro per il mondo informando sulle storie individuali e collettive attraverso una campagna di sensibilizzazione spesso audace e poco confortante accompagnata da un programma di dibattiti e di incontri con i fotografi.  

Un' iniziativa che ha visto più volte premiato il fotografo statunitense Steve McCurry e ha decretato per il 2010 la vittoria della fotografa sud americana Jodi Bieber, con lo scatto che ritrae Bibi Aisha, una donna afgana dal volto sfigurato. La foto è apparsa sulla copertina della rivista Time il 9 agosto 2010.

 Molte foto sono diventate delle vere e proprie icone di uno status sociale e di un modo di essere. 

Scritto da Antonella Colaninno

World Press Photo PAN di  Napoli. Mostra visitata il 10 dicembre.

FILIPPINO LIPPI E SANDRO BOTTICELLI NELLA FIRENZE DEL ‘400



La Firenze del ‘400 si racconta nelle opere di Sandro Botticelli (Firenze, 1445 – Firenze, 1510) e Filippino Lippi (Prato, 1457 - Firenze, 1504) in un confronto diretto nel quale i due artisti fiorentini scandiscono le tappe di un secolo, tra la scommessa dei successi di Filippino e il tramonto artistico del Botticelli. Il raffinato umanesimo del Botticelli, autore di opere in cui il senso della rinascita e dell’ottimismo di un’epoca si irradia nella bellezza della Primavera e della Venere che nasce dalle acque del mare, contrasta con la sensibilità malinconica delle raffinate trasparenze di Filippino Lippi. Nato a Prato dalla relazione clandestina di Filippo Lippi con la monaca agostiniana Lucrezia Buti, Filippino fu allievo del Botticelli, ne apprese i segreti elevando il proprio talento artistico ben oltre gli insegnamenti del maestro e si affermò per uno stile elegante, delicato e malinconico. Autore degli affreschi della Cappella Strozzi in Santa Maria Novella a Firenze e della Cappella Carafa in Santa Maria sopra Minerva a Roma, commissioni conferitegli dal famoso mercante e banchiere Filippo Strozzi il Vecchio, e dal cardinale napoletano Oliviero Carafa, Filippino realizzò tra le altre, l’Adorazione dei Magi di San Donato a Scopeto e la Pala degli Otto in Palazzo Vecchio, su commissione di Lorenzo il Magnifico.

Importante fu il suo intervento per il completamento degli affreschi della Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine a Firenze a cui avevano già lavorato Masaccio e Masolino. La leggenda racconta che Filippo Lippi si invaghì di Lucrezia Buti mentre lavorava ad una pala d’altare per le suore di Santa Margherita nella città di Prato. La giovane novizia, dall'aspetto avvenente, posò come modella per il profilo della Madonna adorante il Bambino (1478) a cui è stato storicamente attribuito Filippino infante. Il dipinto è oggi conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze.
Il percorso espositivo della mostra presso le Scuderie del Quirinale, offre “la prima monografica di un artista fantasioso e di cultura vastissima” in una miscellanea di dipinti che uniscono opere di artisti come Sandro Botticelli, Filippo Lippi, Raffaellino del Garbo con il suo Ritratto di giovane, Piero di Cosimo con il dipinto Liberazione di Andromeda, Andrea di Cosimo e molti altri, accanto a documenti dell’epoca relativi alle vicende artistiche e personali di Filippino Lippi.
La mostra, a cura di Alessandro Cecchi, direttore della Galleria Palatina, degli Appartamenti Reali di Palazzo Pitti e del Giardino di Boboli in Firenze, sarà visitabile al pubblico sino al 15 gennaio 2012 presso le Scuderie del Quirinale.

Scritto da Antonella Colaninno