Nudo di donna EGON SCHIELE















sabato 20 febbraio 2010

JAN FABRE VINCE IL PREMIO PINO PASCALI


Achille Bonito Oliva e Jan Fabre


La XII edizione del Premio Pino Pascali di Polignano a Mare ha premiato l’artista belga Jan Fabre, una tra le personalità più interessanti dell’arte contemporanea. L’artista belga originario di Anversa ha esposto le sue opere al Louvre dal 11 aprile al 7 luglio in una mostra dal titolo Jan Fabre au Louvre, l’ange de la metamorphase; trenta suoi capolavori sono stati allestiti nelle sale dedicate ai capolavori della pittura antica nordeuropea. Fabre rappresenta una tra le personalità più illustri del panorama artistico contemporaneo, per l’originalità della rappresentazione, ma soprattutto per la sua visione neoromantica del flusso inarrestabile della trasformazione che lega la materia al ciclo biologico della nascita e della morte attraverso il processo della metamorfosi. Il cambiamento è ciò che caratterizza la ciclicità delle fasi della vita e che supera il limite che separa l’uomo da altre forme viventi. L’insetto, nelle sue fasi di trasformazione da larva a forma evoluta, identifica al meglio il processo di metamorfosi, un concetto scientifico adottato dalla letteratura mitteleuropea per esprimere un significato più profondo, di natura esistenziale e, nel caso di Fabre, di natura spirituale. Metamorfosi ha un significato scientifico e filosofico legato alla naturale caducità della materia, ad un ciclo biologico naturale che si lega però, a significati e riflessioni più profondi. Nascita, vita, morte, rinascita. La rinascita è il superamento dei limiti: giorno e notte, luce e ombra, vita e morte. L’arte di Fabre vuole esprimere il divino, si interroga sul mistero della natura, sulla sua impenetrabilità e sulla sua bellezza. “Lo scarabeo rappresenta la metamorfosi, il ponte tra la vita e la morte”…”sopravvivono già da migliaia di anni con la loro corazza o scheletro esterno, mentre noi esseri umani disponiamo unicamente di uno scheletro interno. Come può l’essere umano formarsi uno scheletro esterno? Come possiamo proteggere la carne per farla sopravvivere in maniera diversa e più a lungo?...uno scarabeo è una metafora della mutazione e della resurrezione.” Nella scultura di Fabre lo scarabeo diventa un elemento modulare che si moltiplica fino a determinare la forma o “corpo spirituale”che l’artista vuole forgiare, come “La slitta notturna”(2004),(ali di scarabeo gioiellosu armatura di ferro e legno); o “Progetto per un territorio notturno(bozzolo)”(1997) (legno, terra, merda, coleotteri, filo di ferro, piastra). Questi “corpi spirituali”realizzati con gli scarabei sono ..”corpi come un involucro del nulla senza organi e sangue, corpi con una nuova pelle, una pelle che non si può più ferire, libera da stimmate, che si sottrae al senso di colpa cristiano o al concetto di peccato.” In Fabre c’è il recupero di una visione simbolica delle cose, di una interpretazione della natura come energia e armonia, il recupero di una simbologia antica, medievale. L’artista coglie la bellezza della natura e diventa “guerriero della bellezza”; “..combattere per credere nella umanità, combattere per una buona causa e credere nella vulnerabilità dell’essere umano. Il guerriero della bellezza cerca di destare e di difendere la vulnerabilità, l’indefinibile, l’irrazionale. La vulnerabilità della bellezza va difesa in quanto la bellezza o il corpo umano sono continuamente in pericolo.” Fabre crede nella forza della bellezza che deriva da valori etici: “la bellezza ha il colore della libertà”. La bellezza vive però nella sua imprescindibile dualità con l’orrido, e questo dualismo ha un valore antropologico, che si lega al momento della nascita poiché si viene strappati dal grembo materno in cui si vive per nove mesi in simbiosi. Lo stesso parto è l’esperienza spiritualmente più elevata per una donna, ma che si accompagna anche al dolore più forte. Come la bellezza vive il suo dualismo con l’orrido, così la vita non può essere concepita senza la morte; “la morte non sta al di fuori della vita, ma la accompagna. Per me la morte fa parte della vita, la morte e la vita formano un ciclo che si ripete….il processo di passaggio dalla morte alla vita, dalla finitezza a un nuovo inizio…” La creazione è un fatto di scienza, e l’arte un suo superamento, dal dato visibile a quello invisibile, da quello reale a quello estetico. Di qui l’utilizzo di elementi di natura legati in qualche modo alla creazione: l’insetto, l’osso, lo sperma, il sangue. E’ la materia che si costruisce di materia. Per Fabre il gufo nel suo essere uccello notturno, rappresenta la guida dell’anima in questo passaggio. Le maschere di gufo decapitate esprimono le varie identità dell’artista, e sono un tema presente nella sua produzione. Ma sono anche un archetipo desunto dall’antichità, dalla ritualità funeraria e carnevalesca, un simbolo, un oggetto di culto per far rivivere tra i vivi la presenza del defunto. La maschera come limite tra realtà e illusione, come simbolo di festa che celebra la carne; la maschera dunque, come esaltazione della vita e come espressione della morte. La maschera come simbolo che coglie l’essenza delle cose, quel limite tra infinito e finito. Il senso della caducità è un valore di amore verso la vita; la morte è un limite fisico di fine della materia che valorizza la vita, e l’artista come simbolo perpetua i significati delle cose, è l’equilibrio che unisce l’inizio e la fine. La dialettica vita-morte è una celebrazione della vulnerabilità dell’uomo in un’epoca che punta a celebrare il suo mito. Fabre stabilisce un rapporto tra l’uomo e l’animale che vuole ristabilire l’armonia tra la cultura e la natura. Fabre si definisce un artista che crede nell’umanità e nella bellezza e che difende la vulnerabilità del corpo. Si definisce un artista romantico poiché vive in “un tempo in prestito” al di fuori delle logiche del tempo e dei modelli imposti dal sistema. “Mi sento un artista d’avanguardia, perché credo nel romanticismo.”
ANTONELLA COLANINNO

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