Nudo di donna EGON SCHIELE















venerdì 8 ottobre 2010

MARTA. IL NUOVO MUSEO DI TARANTO



di Antonella Colaninno

Marta è l’acronimo del nuovo Museo Nazionale Archeologico di Taranto riaperto al pubblico il 20 dicembre 2007 alla presenza del Ministro per i Beni Culturali Francesco Rutelli. Una realtà museale importante, tra le poche presenti sul territorio pugliese. Il Museo è stato istituito nel 1887, nell’attuale sede del Convento di S. Pasquale, detto anche dei frati Alcantarini, un edificio di XVIII sec. Dal 1903 l’edificio ha subito una serie di interventi con la ricostruzione, in primis, delle facciate su progetto di Guglielmo Calderoni; tra il 1935 e il 1941 è stata realizzata l’ala settentrionale progettata dall’architetto Carlo Ceschi. Il primo allestimento museale è stato realizzato in XIX sec. dall’archeologo Luigi Viola. Successivamente, l’esposizione museale ha visto gli interventi di Quintino Quagliati e Ciro Drago fino all’ultimo di Nevio Degrassi del 1963. La realizzazione del nuovo progetto ha previsto la chiusura della sede dal 2000 al 2007 al fine di realizzare un nuovo percorso espositivo che puntasse ai collegamenti territoriali e non solo alla semplice esposizione delle tipologie dei materiali con una ricostruzione sempre contestualizzata all’area di provenienza e all' itinerario cronologico della storia di Taranto dal IV sec. a.C. all' XI secolo d.C., ponendo in relazione Taranto con il mondo apulo e con i siti di Canosa, San Paolo, Civitate, Carbonara ed Egnazia. Attraverso la cultura funeraria della città greca di IV-III sec. a.C. si giunge alla città romana tra la fine del III sec. a.C. al IV sec. d.C.: dal municipio all’età giulio-claudia; il monumento onorario di Cn. Nearchus Nepos; la domus dell’Istituto Maria Immacolata e i bellissimi mosaici di età imperiale, le terme Pentascinenses. Inoltre, la cultura funeraria della città romana con la necropoli monumentale di Piazza d’Armi, le iscrizioni funerarie e il sarcofago della battaglia presso le navi. L’ultimo percorso della mostra, ancora in fase di allestimento, interessa la città tra tardoantico ed età bizantina tra V-XI sec. d. C. Il Museo prevede l’apertura degli spazi espositivi del secondo piano che comprenderanno materiale del periodo preistorico e dell’età arcaica. Nelle zone XX e XXI, nei corridoi che si affacciano sul chiostro, è ospitata la collezione di dipinti del Vescovo Giuseppe Ricciardi, un ricco lascito donato dal prelato al Museo. Una nuova collocazione trovano gli “Ori di Taranto” con diademi, tra cui gli orecchini ad elice e a navicella, che vengono ordinati per area e per cronologia per poter spiegare in quali rituali e in quale società si facesse uso di certi manufatti di alta oreficeria; infatti, pare che la città di Taranto fosse ricca di botteghe orafe che attestano una certa ricchezza e una sapiente conoscenza dell’arte di lavorare questo metallo nobile. Le sale dedicate a Taranto romana rivivono lo splendore della città attraverso la statuaria e i pavimenti a mosaico (ben conservati nella loro interezza), degli edifici pubblici e privati di età imperiale. Tra gli esemplari di architettura funeraria la notevole ricostruzione del Naiskos di IV-III sec.a.C., in cui sono inserite gli originali di sei metope di un fregio dorico, le cariatidi sul lato posteriore e le iscrizioni in una elegante scrittura damasiana. Tra i manufatti esposti l’originale schiaccianoci a forma di mani, la serie di giocattoli a forma di animali, le piccole culle a sonaglio, le statuine che richiamano il gioco dell’Ephedrismos e una serie di statuine votive ammucchiate che rendono l’idea della entità delle offerte votive fatte nei santuari. Specchi in metallo con cerniere ed eleganti figure a rilievo ci danno testimonianza di quanto fosse importante il culto della bellezza tra le donne della società greca. Gli allestimenti sono una testimonianza ricca e variegata delle società che hanno segnato la storia di questa città, ed il visitatore ricostruisce questi percorsi con la fantasia e con l’ausilio di moderne tecnologie multimediali che rappresentano un interessante filo rosso tra la memoria storica e le nuove conquiste tecnologiche.

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