Nudo di donna EGON SCHIELE















domenica 19 settembre 2010

DAI TRALCI DI VITE AI BOCCALI DI...VINI
PUGLIA FRA PASSATO E PRESENTE



di Antonella Colaninno


Il vino è considerato da sempre il nettare degli dei. La leggenda racconta che Dioniso, figlio di Zeus e Semele donò “…ai mortali il nettare che porta l’oblio”. La vite ha una storia molto antica, pare risalga a trecentomila anni fa, una pianta che cresceva spontanea nei boschi; da secoli essa è un tema ricorrente nelle iconografie e nelle varie fonti; la troviamo citata nell’Antico e nel Nuovo Testamento e lo stesso libro della Genesi attribuisce l’arte della viticoltura a Noè il quale pianta la vite inebriandosene poi, quando termina il Diluvio universale. La coltura della vite sarà introdotta nel bacino del Mediterraneo ed entrerà così, nel mito e nella cultura greca come bevanda afrodisiaca legata al culto del simposio e dell’amore; ma la sua tradizione è antica di millenni, la vite era già conosciuta in Età neolitica (9000-8000 a. C.) e la sua coltura fu praticata anche dagli Egizi. La filosofia antica ci racconta attraverso il pensiero di Senofonte, Aristotele, e Platone che nel simposio il vino aveva un ruolo importante, perché era capace di inebriare fino a provocare trasgressioni se bevuto in grandi quantità. Il bere si legava ad una ritualità sacra, connessa alle divinità di Demetra, Dioniso, e Afrodite, una vera arte che si univa ai piaceri del cibo e alle gioie dell’amore. Oltre al mito, troviamo riferimenti alla pratica della vendemmia ne “Le opere e giorni”di Esiodo, e molte sono anche le citazioni presenti in Omero, nell’Iliade e nell’Odissea. Dalla Grecia la coltura della vite raggiunse la nostra penisola trapiantandosi specie al sud, territorio ideale per il suo clima mite e diventò commercio primario dell’economia. La letteratura latina dedica pagine bellissime al vino come rimedio per gli affanni (Properzio) e alla viticoltura connessa alla conoscenza geologica del territorio e al principio che “l’agricoltore al profitto debba unire il gusto estetico”(M. Terenzio Marrone 116-27 a. C.), mentre secoli prima Platone (427-347 a. C.) consigliava il vino “come alleato per combattere la malinconia”. Con la fine dell’Impero romano nel 476, e ancor prima con l’avvento del Cristianesimo, il vino si veste di nuovi significati simbolici come sangue di Cristo, emblema di salvezza; l’economia, devastata dalle invasioni barbariche, si ricostruisce a partire dal VI secolo intorno all’attività dei monasteri, che diventano le nuove cellule dell’economia medioevale. Il tralcio di vite è presente come motivo decorativo nelle architetture e in molti codici miniati; tra le testimonianze artistiche pugliesi, il tema della vendemmia rappresenta un elemento importante nel mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto. A partire dal Cinquecento, l’uva sarà un tema ricorrente in molte nature morte. La mostra Dai tralci di vite ai boccali di...vini. Puglia tra passato e presente, curata da Elio Scarciglia e Michela Tocci allestita presso il Museo Civico di Bari nel 2008, ha illustrato attraverso testimonianze di cultura materiale la storia del vino e dell’estetica dei materiali ad esso connessi, compresi tra il VI secolo a. C. e i primi decenni del Novecento, privilegiando nella scelta i contenitori da vino in ceramica; una scelta questa non casuale, che si lega ad una tradizione importante nell’artigianato pugliese. Inoltre, il percorso espositivo ha accompagnato il visitatore in un viaggio tra le diverse culture alimentari che sono espressione di uno specifico contesto sociale. Il cibo si lega ad una vera e propria ritualità, fatta di comportamenti, abitudini, in cui gli oggetti da mensa investono un ruolo importante come testimonianza di un preciso periodo storico, mentre il banchetto sottolinea un momento di socialità, in cui la pratica del cibo si unisce al consumo del vino e all’ascolto della musica e della recitazione di poesie. Le prime tipologie ceramiche sono legate alla pratica del banchetto e del simposio e provengono dai siti di Egnazia (Br), di Rudiae(Le), Ruvo e Canosa; sono suddivise tra crateri, kantharos, rython, skyphos…e riportano disegni di scene di banchetti, di pigiatura dell’uva e figure di Dioniso ebbro. Da questi primi esemplari si passa poi ad altri manufatti di epoca successiva, come i boccali che avevano l’uso di contenitore e di unità di misura esclusivamente per il vino; questa funzione li differenzia dall’orciuolo, il cui uso non era solo di tipo alimentare, come si attesta da un documento napoletano datato 1313. I boccali in esposizione comprendono un arco cronologico che va dal XIII al XVIII secolo e sono relativi a diverse aree geografiche tra cui il sito di Castel Fiorentino, con esempi di ceramiche a bocca circolare e trilobata a disegni naturalistici e a soggetto geometrico di tradizione islamica. Altri esemplari provengono dalle fornaci di Viterbo, di Faenza e di Castel Nuovo e sono databili alla metà del XV secolo; essi uniscono all’elemento vegetale il profilo di una figura femminile. Alle fornaci di Casalnuovo (Manduria) e di Cutrofiano (Lecce) appartengono due esemplari di XVI secolo con decorazione ad elementi floreali e fitomorfi stilizzati. Alle fornaci di Laterza si riferiscono invece, un gruppo di ceramiche databili ai secoli XVII e XVIII con decoro in bianco e blu, tra cui due boccali con motivo geometrico e con profilo di un frate entrambi chiusi in un clipeo; un boccale con disegno della Madonna della Scala e motivo apotropaico; un’anfora biansata con il motivo del Leone rampante e tre bottiglie decorate in blu con disegni di paesaggio, di garofani e con pavone. Tre boccali trilobati rispettivamente di XVIII e di XX secolo sono stati realizzati nelle fornaci di Grottaglie e presentano motivi fitomorfici e geometrici stilizzati; infine, un esemplare di bottiglia a forma di donna con smalti blu e ocra proviene dal Museo Pomarici Santomasi di Gravina ed è stata realizzata nelle fornaci di Ariano Irpino in XIX secolo. Particolare attenzione è stata dedicata alla ceramica tradizionale e agli orciuoli di Grottaglie detti “li sruli”. Tra questi una serie di fiasche, di brocche e di bottiglie “a segreto”, con delicati decori in blu, verdi e ocra; di particolare rilievo sono i decori con putti e paesaggio di una brocca a segreto di XVIII secolo, realizzata nelle fornaci di Faenza e un esemplare di brocca a segreto con mottetto popolare, proveniente dal Museo Sigismondo Castromediano di Lecce, realizzata intorno al 1750 nelle fornaci di San Pietro in Lama. Di pregevole fattura sono invece, due manufatti realizzati nelle fornaci di Grottaglie; un boccale a segreto di fine XX secolo, con collo traforato a motivo floreale e una “vozza a bicchiere”di fine XIX secolo. Sempre da Grottaglie provengono una serie di ceramiche di XIX e XX secolo, tra cui un “quartarone” invetriato verde; un “cacabuzzulu” e una “buttija a pupa”. L’ultima sezione è dedicata a “li sruli”, cioè le tipiche ceramiche di Grottaglie, orciuoli trilobati con classico decoro ad orlo in ocra e blu disegnato all’esterno della bocca con motivo a fiore stilizzato che caratterizza le ceramiche di questa zona; soggetti floreali e personaggi in costume popolare arricchiscono le superfici di questi tradizionali oggetti dell’artigianato locale.

BIBLIOGRAFIA: catalogo della mostra - Mario Adda Editore

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